Il sindaco neo eletto del comune di Padova ha assunto un portavoce
con uno stipendio di livello dirigenziale, di circa 82.500 euro.
La notizia vera, tuttavia, non è questo lecito utilizzo di una
figura, quella del portavoce, ammessa dalla legge, ma un’altra e la
fornisce il Corriere di Verona del 29 luglio 2017, nell’articolo
“Pd, bufera sull`ex segretario portavoce del sindaco a
cinquemila euro al mese”.
L’articolo riporta gli elementi di rilievo dell’assunzione fatta
dal primo cittadino di Padova, che riguarda l’ex segretario
provinciale del Pd padovano. La domanda è: quali sono i meriti e le
specifiche professionalità in base alle quali l’ex segretario del
partito che esprime il nuovo sindaco di Padova?
Risponde l’articolo, sintetizzando il curriculum del portavoce del
sindaco: “diplomato al liceo scientifico Tito Lucrezio Caro di
Cittadella, responsabile regionale delle politiche giovanili della
Cgil dal 2008 al 2010, consigliere del Pd in Comune a Padova nella
scorsa legislatura e segretario provinciale dem dal 2013 fino a due
settimane fa”. Non molto, sembra: di laurea, pure necessaria
per incarichi dirigenziali (ma non per quelli in staff agli organi di
governo, grazie ad una delle riforme del precedente Governo) non c’è
traccia, mentre non si evince nemmeno un’esperienza professionale
come giornalista o nel campo della comunicazione.
Il fatto è che i veri meriti del destinatario dell’assunzione come
portavoce l’articolo li evidenzia poco dopo: “è stato uno dei
principali artefici non solo della caduta anticipata (tramite
sfiducia davanti a un notaio) dell'ex primo cittadino leghista
Massimo Bitonci, ma pure della candidatura a sindaco di Giordani, già
presidente dell’lnterporto. Ed era quindi scontato che,
nel suo staff, il neo inquilino numero uno di Palazzo Moroni trovasse
spazio per chi, forse più di ogni altro, gli era stato a fianco
prima e durante una campagna elettorale lunga e faticosa”.
Bene, apprendiamo che il “merito” è soltanto e solo di carattere
politico. E non è che vi fossero soverchi dubbi.
Allora, la questione che si pone, piuttosto, è un’altra. E’
evidente che l’agone politico implica alleanze, amicizie,
schieramenti e fedeltà varie. Altrettanto noto è che non tutti i
componenti degli organici dei partiti possono accedere a cariche
politiche, il cui numero, per quanto molto elevato, risulta in ogni
caso ristretto. Non tutti possono divenire ministri, assessori,
consiglieri eccetera. Allo stesso modo, anche gli incarichi nei
vertici delle società pubbliche sono limitati, anche se
numerosissimi.
La legge, allora, prudenzialmente, mette a disposizione degli organi
di governo numerose altre possibilità di cooptare uomini di partito,
senza troppi fastidi di concorsi pubblici o prove selettive. La legge
150/2000, ad esempio, consente di assumere appunto addetti stampa o
portavoce. Ed, in effetti, come portavoce può essere incaricato
chiunque, a prescindere da qualificazione professionale ed
esperienza.
Negli enti locali, poi, l’articolo 110 del d.lgs 267/2000 consente
di attivare gli incarichi dirigenziali “a contratto”: ottimo ed
utilizzatissimo sistema per cooptare come dirigenti esponenti di
partito utili ad incidere il principio che vorrebbe la separazione
della politica dalla gestione; fa il paio l’articolo 108, che
consente di incaricare direttori generali, molto spesso null’altro
che assessori aggiunti, altrettanto spesso lanciati dalla posizione
di “city manager” verso incarichi politici più alti (si veda il
caso dell’attuale sindaco di Milano). Infine, sempre il d.lgs
267/2000 offre la possibilità di dare incarichi non meglio
specificabili di “staff” agli organi di governo, consentendo
trattamenti retributivi dirigenziali anche a chi disponga della sola
licenza media.
E’ noto che queste norme spesso portano verso abusi o scelte,
comunque, discutibili (la scorsa estate a Roma scoppiarono i casi
degli incarichi come capo di gabinetto, vice capo di gabinetto, capo
della segreteria e capo del personale).
Il tutto anche perché il legislatore ammanta questi incarichi in
presupposti di “elevata professionalità”, sempre “non
riscontrabile negli organici” o di capacità di gestire “con
efficienza ed efficacia”.
Sarebbe molto più chiaro ed onesto dire le cose come stanno: si
tratta di opportunità di assegnare veri e propri incarichi politici
ad esponenti di partito, iscritti o meno, per compensare sforzi fatti
in campagna elettorale o comunque per costituire staff politici di
supporto ai vertici. Veri e propri finanziamenti ai partiti, che
possono, così, mettere a carico delle finanze pubbliche gli
emolumenti dei propri quadri.
Almeno si uscirebbe da ogni equivoco e si darebbe ai cittadini
elettori modo di capire davvero come si utilizza la spesa pubblica e
le modalità dell’esercizio del potere, in modo trasparente.
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