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giovedì 16 agosto 2018

Ponte Morandi, ovvero degli obblighi flessibili o delle deroghe

La categoria del cosiddetto "obbligo flessibile" in tema di vaccini ha, giustamente, indotto chi abbia un minimo di cultura giuridica e rispetto della funzione di "ordinamento" delle norme a criticare aspramente l'assioma impossibile. Un obbligo, come tale, è cogente e costrittivo. Pensare ad un obbligo "flessibile" è lo stesso che affermare che l'obbligo non è tale e che solo la coscienza individuale fissa i comportamenti, non l'ordinamento giuridico.

L'inevitabile irrisione dell'obbligo flessibile, però, non deve farci dimenticare che solo la formula semantica è nuova. Perchè, purtroppo, nel nostro ordinamento di obblighi flessibili ve ne sono, da sempre, molti.
Le concessioni autostradali ne sono l'emblema. Pochi esempi. La normativa sulla trasparenza, strettamente connessa con le misure anticorruzione, impone alle società partecipate dalla Pubblica Amministrazione tutta la complessa serie di pubblicazione sui siti prevista dal decreto legislativo 33/2013. Ma, questi oneri di pubblicità non si applicano alle società quotate in Borsa. E le concessionarie stradali, holding comprese, sono quotate: quindi, niente trasparenza. E, come è noto, i contratti di concessione sono per giunta segretati.
Obbligo flessibile, dunque? No: "deroga" normativa. Ciò che è un obbligo per molti, non lo è per pochi.
La normativa sugli appalti è particolarmente restrittiva, in Italia, nei confronti degli affidamenti cosiddetti "in house", cioè appalti che un soggetto, pubblico o privato, affida direttamente a società da questo controllate.
La stessa cautela riguarda gli affidamenti "in house" effettuati da soggetti pubblici o privati, regolati dall'articolo 177, comma 1, del codice dei contratti, d.lgs 50/2016, il quale prevede: "Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all'ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità. La restante parte può essere realizzata da società in house di cui all'articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato".
Disposta la regola generale, consistente in un obbligo, ecco subito dopo la sua flessibilizzazione, tramite l'immancabile "deroga". Il comma 1 dell'articolo 177, infatti, conclude così: "Per i titolari di concessioni autostradali, ferme restando le altre disposizioni del presente comma, la quota di cui al primo periodo è pari al sessanta per cento". Dunque mentre l'insieme dei concessionari, pubblici o privati, può affidare in house solo il 20% degli appalti di lavori servizi e forniture, il sottoinsieme dei concessionari autostradali può affidare in house il 40% di questi appalti.
E' evidente che questo fitto sistema di deroghe, certamente non limitato al solo ambito delle concessioni autostradali, non è la causa della tragedia di Genova.
Altrettanto chiaro è che spesso le deroghe valgono per soggetti dotati di particolare forza lobbystico-contrattuale, non inferiore a quella dei "comitati del No", molte volte evocati come concausa, se non proprio come causa diretta, di eventi tragici, come se non fosse normale che l'azione amministrativa incontri sempre e comunque dei dissensi e come se non fosse necessario che la cosiddetta "responsabilità" politica, sempre richiamata ma mai concretizzata, superasse anche i dissensi, indicando le ragioni per le quali interessi privati debbano cedere a superiori interessi collettivi.
Certo, però, è che se i contratti sono segreti, se per alcuni soggetti le deroghe consentono un agire che per qualsiasi altro soggetto pubblico o privato non è nemmeno pensabile, tutta la dialettica per i pro o contro iniziative di investimento rimarrà opaca e condizionata da interessi che non sono solo collettivi.

2 commenti:

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  2. In disparte il fatto che questa gente al governo, compreso il presidente del consiglio (fortuna che è avvocato, ma tutti hanno il diritto di assentarsi durante le lezioni se devono fare pipi) confonde revoca con risoluzione (o decadenza come afferma il contratto di concessione).
    Lo scandalo sta nell'art. 9-bis, commi 1 e 2, della convenzione secondo i quali
    « … il Concessionario avrà diritto, nel rispetto del principio dell'affidamento, ad un indennizzo/risarcimento a carico del Concedente in ogni caso di recesso, revoca, RISOLUZIONE, anche per inadempimento del Concedente, e/o comunque cessazione anticipata del rapporto di Convenzione pur iodotto da atti e/o fatti estranei alla volontà del Concedente, anche di natura straordinaria e imprevedibile, ivi inclusi mutamenti sostanziali del quadro legislativo o regolatorio.
    In tal caso - fermo restando il subentro del Concedente in tutti i rapporti attivi e passivi di cui è titolare il Concessionario e relativi all'oggetto della presente Convenzione -l'indennizzo / risarcimento di cui al comma 1, dovuto dal Concedente al Concessionario, sarà pari ad un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile dalla data del provvedimento di recesso, revoca o RISOLUZIONE del rapporto, sino alla scadenza della concessione, al netto dei relativi costi, oneri, investimenti ed imposte prevedibili nel medesimo periodo, scontati ad un tasso di rendimento di mercato· comparabile e maggiorato delle imposte che il Concessionario dovrà corrispondere a fronte della
    percezione dell'importo da parte del Concedente, decurtato:
    - dell'indebitamento finanziario netto assunto dal Concedente alla data del trasferimento stesso;
    - dei flussi di cassa della gestione percepiti dal Concessionario durante lo svolgimento dell'ordinaria amministrazione decorrente dalla data dell'atto / provvedimento di recesso, revoca, RISOLUZIONE, cessazione anticipata del rapporto di convenzione fino alla data di trasferimento della concessione».

    Ora è evidente che la previsione dell'indennizzo IN OGNI CASO è una mostruosità giuridica (se introdotta oggi in un contratto di concessione il responsabile del concedente sarebbe arrestato e la chiave della cella buttata a mare).

    La norma sarebbe (quasi) corretta se fosse riferita, oltre che alla revoca, alla RISOLUZIONE PER FATTO IMPUTABILE AL CONCEDENTE mentre non trova giustificazioni nel caso di RISOLUZIONE IN DANNO PER FATTO DEL CONCESSIONARIO (come potrebbe essere ipotizzato, ferme restando le garanzie procedimentali, nel caso di Genova). Aver previsto il risarcimento pari al cosiddetto lucro cessante o mancato utile anche per RISOLUZIONE TOUT COURT (quindi anche per fatto imputabile al concessionario) è la trappola giuridica in cui si è infilata ANAS con la stipula della convenzione (ovviamente sottoscritta dal solito Pietro Ciucci)

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