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martedì 16 ottobre 2018

Segretari comunali e responsabili anticorruzione: i mali del giornalismo di inchiesta sulla PA, alla caccia dello scandalo a qualsiasi costo



Il pamphlet La Casta ha rafforzato quel filone giornalistico di inchiesta sulla PA, che ormai pervade tutti i media.
Giustissimo che la stampa faccia da cane da guardia contro le disfunzioni della PA, per denunciarle e così anche sollecitare possibili rimedi.
Purtroppo, però, dalla giusta azione di controllo, spesso, troppo spesso, il clamore facile delle inchieste, fa scadere nell’ “inchiestismo scandalistico”, volto necessariamente a cercare l’uomo che morde il cane. E a suggerire rimedi “tanto al chilo” ai quali, purtroppo, spesso la politica finisce per credere davvero: l’esempio più eclatante è la sciagurata campagna contro le province, che ha prodotto la più disastrosa delle riforme mai viste.

Nell’alveo di questo tipo di inchieste giornalistiche, spesso inclini a cogliere pochi casi singoli per poi elevarli a paradigma generale rientra certamente quella della rubrica Dataroom di Milena Gabanelli, dedicata ai responsabili della prevenzione della corruzione ed ai segretari comunali.
Un’inchiesta che riporta certamente notizie sulle quali è necessaria ed opportuna la massima attenzione, ma intrisa di errori e superficialità.
L’inchiesta afferma: “Negli enti locali italiani, i Responsabili dell’Anac, salvo eccezioni, sono i segretari generali: circa 7.000 in tutto, nominati dal sindaco, o dal Presidente della Provincia”.
I segretari comunali (basta consultare il Conto annuale del tesoro) non arrivano a 3.500. Quindi la cifra riporta sopra non è corretta. Forse l’inchiesta si riferisce al numero complessivo dei responsabili della prevenzione della corruzione, ma avrebbe dovuto precisare che non tutti coincidono col segretario comunale.
Meno che mai si tratta di responsabili “dell’Anac”, come del resto precisa sul Corriere del 16 ottobre 2018 il presidente dell’Anac, nell’intervento titolato “La prevenzione della corruzione, i poteri dell`Autorità”, ove si legge: “L'Autorità nazionale anticorruzione, infatti, non ha alcun potere nella loro nomina ne alcun ruolo rispetto al loro operato. Gli Rpc sono dipendenti della singola amministrazione e questo incarico è conferito dai vertici della amministrazione di appartenenza, senza nessuna interlocuzione con l'Anac”.
L’inchiesta prosegue ricordando che “l’Anac, con una circolare raccomanda di «evitare di designare, quale responsabile della prevenzione della corruzione, un dirigente nei confronti del quale siano pendenti procedimenti giudiziari», o che non abbia dato «dimostrazione nel tempo di comportamento integerrimo»”. Dopo di che elenca alcuni casi di segretari comunali incappati in inchieste giudiziarie. Si afferma: “che sono almeno 20 gli enti che non hanno sentito la necessità di adempiere alle raccomandazioni”.
Leggendo l’articolo, però, si apprende che la gran parte dei procedimenti giudiziari riguardano casi di responsabilità erariale, all’esame della Corte dei conti. Certo, si tratta sicuramente di procedimenti giudiziari. Ma, l’articolo sembra suggerire una sorta di collegamento necessario tra responsabilità erariale e corruzione. Il che non è. La magistratura contabile segue una giurisdizione che si occupa di questioni totalmente diverse. Atti che non possono minimamente essere tacciati di rivelarsi in violazione della normativa anticorruzione, potrebbero comunque determinare danno all’erario. E’ certo meglio evitare casi di conflitto di interessi tra ente danneggiato e funzionario riconosciuto responsabile del danno, ma è opportuno precisare che l’indicazione dell’Anac è con ogni evidenza riferita a procedimenti giudiziari di carattere penale o anche civili, amministrativi e contabili, ma in questi ultimi tre casi se l’illegittimità civile o amministrativa e la responsabilità erariale possano ricondursi a violazioni della normativa anticorruzione.
Ancora, l’inchiesta evidenzia: “Dati alla mano: una media di oltre 1.500 casi di corruzione ogni anno, 818 sentenze definitive di condanna nel solo 2016 per peculato, indebita percezione di erogazioni pubbliche a danno dello Stato, corruzione in atti giudiziari, d’ufficio, concussione. Eppure 3 enti su 4, non hanno mai stato segnalato alcun caso di corruzione. Ma chi avrebbe dovuto segnalarlo? Proprio i Responsabili Anticorruzione”.
E’ evidente l’equivoco. Sostanzialmente, i redattori ritengono che spetti al responsabile della prevenzione della corruzione segnalare casi di corruzione di natura penale.
Un errore di visione che denuncia scarsa conoscenza della legge 190/2012 e delle sue previsioni. I responsabili della prevenzione della corruzione (che nei comuni sono i segretari comumnali) intervengono con pochi mezzi a disposizione e pochi strumenti efficaci allo scopo di prevenire la corruzione di natura amministrativa, non quella penale, che non rientra nella loro competenza. La legge 190/2012 disciplina le azioni per la prevenzione in via amministrativa della corruzione, non la sua repressione per via giudiziaria. Lo chiarisce molto bene ancora una volta il presidente dell’Anac nel già ricordato suo intervento: “Quanto all'affermazione contenuta nell'inchiesta secondo cui non si sa in quali casi gli Rpc abbiano segnalato il verificarsi di fatti di corruzione, va chiarito che non si tratta di ufficiali di polizia nè giudiziaria nè di sicurezza ma di soggetti chiamati a far rispettare un impianto di norme (dai piani di prevenzione, ai codici etici alle norme sulla trasparenza) che, anche secondo i migliori standard intemazionali, hanno come obiettivo di provare ad evitare che la corruzione si verifichi”.
E’ bene ricordare che di recente i segretari comunali sono stati travolti da un’ondata loro molto sfavorevole, sfociata nel tentativo di abolirli con la sciagurata riforma Madia della dirigenza, fortunatamente fermata dalla Corte costituzionale con la provvida sentenza 251/2016.
Inchieste imprecise e generalizzanti (20 casi “delicati” su 7000 soggetti, danno un indice di eventuale inopportunità degli incarichi dello 0,28%; poiché le amministrazioni interessate sono 15.000, come precisa sempre il presidente dell’Anac, l’indice è più che dimezzato) come questa, non sono di utilità alcuna per il miglioramento del sistema, ma servono a soffiare il vento nelle vele del populismo, sempre incline ad abolire, sopprime ed abrogare, senza avere mai un’idea di cosa e come costruire.
Non resta, quindi, in conclusione che associarsi alle parole del presidente dell’Anac, sempre espresse nell’intervento del 16/10/2018: “Infine, mi faccia però spezzare una lancia in favore degli Rpc (responsabili della prevenzione della corruzione, nda); i casi indicati dalla Gabanelli sono gravi e le amministrazioni che non rimuovono quelli nominati in modo inopportuno violano lo spirito della legge; verificheremo tutti i casi ed interverremo di conseguenza. È però giusto ricordare che le amministrazioni tenute a nominare un Rpc sono almeno 15 mila. Ci possono essere certamente mele marce (e non sono mancati persino casi di arresti di Rpc) ma va evidenziato anche che sono tanti coloro che stanno provando a vincere una sfida difficilissima; quella di imporre i valori dell'anticorruzione dall'interno, senza aspettare indagini, manette ed agenti provocatori.



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