Le amministrazioni locali in
questi giorni si stanno dannando per trovare la soluzione ai problemi posti dal
Ccnl 21.5.2018, entrato in vigore a metà anno senza una completa disciplina di
diritto transitorio, con l’unica eccezione delle posizioni organizzative.
Il problema molto grave consiste
nel concludere entro il 2018 una trattativa negoziale resa complicata dalle non
poche innovazioni (generalmente non eclatanti e piccole, ma insidiose) introdotte
dal Ccnl ed avviata tardi a settembre/ottobre, con scarse possibilità di
giungere al termine in modo completo ed in tempo.
Le questioni in ballo sono
almeno le seguenti:
1.
se sia possibile e come attivare nuove
progressioni orizzontali a valere sul 2018;
2.
se sia possibile e come finanziare “vecchie”
indennità, come rischio, disagio e maneggio valori, in assenza del Ccdi la cui
sottoscrizione attuativa del nuovo Ccnl le sostituisce con l’indennità
condizioni di lavoro;
3.
se sia necessario attivare la nuova indennità
per servizi esterni riservata al personale della vigilanza;
4.
se sia necessario determinare le indennità per
specifiche responsabilità e l’indennità di funzione prevista per l’area di
vigilanza nei nuovi importi;
5.
se sia obbligatorio gestire la valutazione
relativa all’anno 2018 applicando il meccanismo di differenziazione dei premi
di risultato individuale imposto dall’articolo 69 del Ccnl.
Prima di addentrarsi
nell’analisi di questi problemi, qualche considerazione va necessariamente
svolta sul metodo seguito dalle parti contraenti, in particolare l’Aran, nella
formulazione e sottoscrizione del Ccnl.
Non si può fare a meno di
ricordare che molto di frequente l’Aran col ditino alzato, mediante i propri
pareri, “bacchetta” le amministrazioni evidenziando vizi ed errori della
contrattazione. Per altro, scatenando la conflittualità che da anni affligge il
sistema, considerando che i servizi ispettivi e la Corte dei conti considerano
come oro colato i pareri Aran, che in modo non infrequente si rivelano
contraddittori e del tutto non condivisibili. L’esempio del parere 18 giugno
2015, n. 19932 è eclatante: si tratta del parere col quale finalmente l’Aran
comprese che i progetti finanziabili con l’articolo 15, comma 5, del Ccnl
1.4.1999 non potevano essere sempre “innovativi” (anche la fantasia ha i suoi
limiti) ed ammise il loro mantenimento (confermato, oltre tutto, dall’articolo
67, comma 5, lettera b), del Ccnl 21.5.2015); tuttavia, con l’orientamento
applicativo Ral_1806 del 2015 l’Agenzia affermò che il parere avrebbe avuto
valore solo per il futuro, ma non per il passato. Come se un parere fosse una
legge e non, invece, un modo di intendere il significato di una norma, che in
quanto tale non
può che investirla sin dalla sua origine.
E’, dunque, molto grave che le
parti contraenti, ma soprattutto l’Aran pronta a dare lezioni a tutti su come
si contratta, abbiano creato le notevoli difficoltà operative nelle quali si
ritrovano adesso gli enti, per aver dimenticato di introdurre un sufficiente
regime di diritto transitorio riferito agli istituti innovati dal Ccnl
21.5.2018.
La carenza risulta tanto più
imperdonabile, se si considera che il ritardo – oggettivo – col quale gli enti
stanno attivando la contrattazione decentrata è certamente dovuto ad un altro
clamoroso errore: la sciagurata disposizione contenuta nell’articolo 67, comma
7, del Ccnl, foriera di pareri contrastanti (come sempre) della Corte dei conti
e dell’impossibilità di determinare con sicurezza l’ammontare delle risorse
decentrate, vista l’assurda incertezza creata dalle parti contraenti sulla
neutralità (che c’è sempre stata) degli incrementi contrattuali rispetto ai
limiti di crescita dei fondi decentrati. Un errore clamoroso sul piano tecnico,
segno di una capacità molto povera di utilizzare l’autonomia delle parti, che
con la dichiarazione congiunta numero 5 hanno confessato l’errore, ma senza
assumersi la responsabilità di emendarlo cancellando l’articolo 67, comma 7,
innescando, invece, il contrasto interpretativo sulla forza della dichiarazione
congiunta. Un’abdicazione all’autonomia contrattuale tale da indurre il
Governo, mediante il disegno di legge “concretezza”, a rimediare attraverso un’interpretazione
autentica dell’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017, finalizzata ad azzerare
gli effetti dello sciagurato articolo 67, comma 7. Un vero e proprio umiliante
“commissariamento” di parti contraenti evidentemente non in grado di sottoscrivere
contratti collettivi nazionali né semplificati (come pure avrebbe previsto la
riforma Madia), né efficaci.
Purtroppo, l’intervento del
Governo, se davvero giungerà, arriverà a fine anno. Quindi il rimedio allo
sventurato articolo 67, comma 7, sarà tardivo e non solleva i comuni da
problema che ha certamente cagionato il ritardo nell’avvio della contrattazione
che adesso li attanaglia.
A questo, si aggiunte, appunto,
la carenza di un diritto transitorio su alcuni istituti, comunque decisivi.
Eppure, le parti si sono rese conto, nonostante tutto, dell’esigenza di regole
di diritto transitorio qui e là. Infatti, per l’attivazione delle innovazioni
che riguardano la regolamentazione dell’area delle posizioni organizzative,
l’articolo 13, comma 3, del Ccnl 21.5.2018 prevede: “Gli incarichi di posizione organizzativa di cui all’art.8 del CCNL del
31.3.1999 e all’art.10 del CCNL del 22.1.2004, già conferiti e ancora in atto,
proseguono o possono essere prorogati fino alla definizione del nuovo assetto
delle posizioni organizzative, successivo alla determinazione delle procedure e
dei relativi criteri generali previsti dal comma 1 dell’art 14 e, comunque, non
oltre un anno dalla data di sottoscrizione del presente CCNL”. Una vera e
propria disciplina transitoria. Era così difficile dettarne una specifica per
ciascuno degli istituti nuovi del Ccnl? Invece, come vedremo, un minimo di
diritto transitorio lo si scorge solo per l’indennità condizioni di lavoro,
l’indennità per servizi esterni e l’indennità di funzioni.
Ovviamente, sul piano tecnico
non era per nulla difficile un diritto transitorio chiaro, ampio e diffuso a
tutti gli istituti nuovi. Tuttavia, non si può non rilevare come le parti si
siano lasciate condizionare dalla fretta per la volata finale spinta dal
Governo Gentiloni. E’ stato per tutti fin troppo evidente il tentativo di
provare ad ottenere il consenso elettorale del pubblico impiego, da parte della
maggioranza uscente, attraverso la corsa affannata a sottoscrivere i contratti
collettivi a ridosso del 4 marzo 2018 (la preintesa del contratto delle
Funzioni Locali è del 23 febbraio).
Le parti con altrettanta
evidenza si sono prestate a questo frettoloso affanno. E le conseguenze si
vedono. L’assenza di un completo e ragionato regime transitorio è cagionata
certamente da questo rush finale e costituisce ulteriore prova dello spreco
dell’autonomia negoziale delle parti.
Aran e sindacati nazionali hanno
fatto la loro parte, lasciando alle amministrazioni locali e alle rsu la patata
bollente di un Ccnl molto difficile da attuare col Ccdi locale. E la questione
è ormai sempre più scottante.
Andiamo, allora, al primo tema
proposto: è possibile e come attivare
nuove progressioni orizzontali a valere sul 2018?
La risposta è: sì, è possibile.
Sul “come” ci si deve intendere. Vi sono, infatti, due alternative situazioni.
Una prima, probabilmente rara ma
sussistente, è che l’ente abbia sottoscritto un Ccdi prima del Ccnl 21.5.2018 e
con esso abbia stabilito di effettuare le progressioni orizzontali per il 2018,
evidentemente con le “vecchie” regole.
In questo caso, le progressioni
si possono considerare “salve” se anche la procedura si sia conclusa entro il
21.5.2018. In caso contrario, il rischio che qualcuno ne eccepisca la
regolarità è molto alto.
Infatti, l’articolo 16 del Ccnl
21.5.2018 ha integralmente stravolto le modalità delle progressioni orizzontali;
e non si deve dimenticare che sono state anche introdotte nuove posizioni
economiche. La gestione delle Peo secondo le vecchie regole preclude certamente
a chi era nelle posizioni massime l’opportunità di un’ulteriore progressione.
Molto probabilmente, comunque,
quell’ente che avesse già sottoscritto un Ccdi con l’accordo per destinare
parte delle risorse alle Peo, non avrà concluso la procedura entro il 21.5.2018.
La situazione generale, quindi,
sarà sostanzialmente identica a quella di enti che ancora non abbiano
sottoscritto alcun Ccdi.
In questo caso, non resta che
attivare le Peo nel rispetto delle previsioni dell’articolo 16 del Ccnl
21.5.2018 (ovviamente se il fondo lo consente e se l’amministrazione abbia
espressamente fornito l’indirizzo di partire con le Peo nel 2018).
E’ chiaro che l’attivazione
delle Peo presuppone necessariamente la rivisitazione del fondo, applicando le
regole del nuovo Ccnl.
Occorre chiedersi se un
contratto ad esempio stipulato a ottobre 2018 possa appunto prevedere, ad anno
quasi terminato, la procedura per le progressioni orizzontali. Sappiamo che la
costante giurisprudenza della Corte dei conti è contrarissima all’attivazione di
qualsiasi sistema premiale a fine anno, perché non è possibile attivare nei
dipendenti la consapevolezza di una specifica attenzione alla loro prestazione
lavorativa, scaturente in un possibile premio per il merito.
Questa giurisprudenza, però,
dovrebbe essere destinata a mutare radicalmente, visto che l’articolo 16 del
Ccnl 21.5.2018 ha integralmente regolato in modo nuovo le Peo, stabilendo che “sono attribuite in relazione alle risultanze
della valutazione della performance individuale del triennio che precede
l’anno in cui è adottata la decisione di attivazione dell’istituto, tenendo
conto eventualmente a tal fine anche dell’esperienza maturata negli ambiti
professionali di riferimento, nonché delle competenze acquisite e certificate a
seguito di processi formativi”.
Il riferimento al triennio
precedente, esclude la necessità di decidere di attivare le Peo all’inizio
dell’anno.
L’opportunità di evitare di
partire a fine anno, discende, semmai, dall’indirizzo espresso dalla Ragioneria
generale dello Stato e seguito da Corte dei conti ed Aran, secondo il quale è
necessario che le Peo siano riconosciute entro l’anno di attivazione solo se la
procedura si concluda entro quel medesimo anno. Quindi, se un Ccdi sottoscritto
definitivamente il 31.10.2018 preveda le Peo, la procedura si dovrebbe
concludere entro il 31.12.2018. E siccome il Ccnl demanda alla contrattazione
decentrata proprio la materia della regolazione delle procedura, il Ccdi deve
dettare le regole procedurali, per poter ottenere l’obiettivo di chiuderla
entro la fine dell’anno.
C’è da osservare, comunque, che
l’indirizzo interpretativo citato prima (per altro erroneo) è da considerare
superato. L’articolo 16, comma 7, del Ccnl prevede che “L’attribuzione della progressione economica orizzontale non può avere
decorrenza anteriore al 1° gennaio dell’anno nel quale viene sottoscritto il
contratto integrativo che prevede l’attivazione dell’istituto, con la
previsione delle necessarie risorse finanziarie”. Le parti hanno risolto il
problema della decorrenza della Peo, sciogliendo ogni legame con la data di
conclusione della procedura valutativa (il problema è se e quando Rgs e Corte
dei conti si rassegneranno a prendere atto della disposizione contrattuale).
Il consiglio è di non attivare
le Peo nel 2018, perché il tempo a disposizione è molto ridotto e perché la
Corte dei conti comprenderà l’irrilevanza della data di conclusione della
procedura, ai fini della decorrenza, sicuramente tra troppo tempo.
Seconda questione: è possibile e come finanziare “vecchie”
indennità, come rischio, disagio e maneggio valori, in assenza del Ccdi la cui
sottoscrizione attuativa del nuovo Ccnl le sostituisce con l’indennità
condizioni di lavoro?
Questo quesito impone un’analisi
che poi varrà trasversalmente anche per tutti gli altri analoghi: indennità per
servizio esterno ed indennità di funzioni (queste ultime, riferite all’area
della vigilanza).
In questo caso, un norma di
diritto transitorio simile a quella escogitata per le PO esiste.
Preliminarmente, comunque,
occorre evidenziare che gli enti non possono sottrarsi al dovere di
rideterminare l’importo del fondo della contrattazione decentrata secondo le
nuove regole dettate dall’articolo 67 del Ccnl 21.5.2018. Tale dovere è ancora
maggiore per gli enti con la dirigenza, chiamati a scorporare le risorse che
finanziavano appunto le PO.
La costituzione del fondo di per
sé non crea obbligazioni: è solo il presupposto per la contrattazione
finalizzata alla destinazione delle risorse. Oggi, nella vigenza dell’articolo
68 del Ccnl 21.5.2018, la contrattazione decentrata deve destinare le risorse
secondo queste regole. E, se le destina, deve attribuirle anche all’indennità
condizioni di lavoro.
Ora, l’articolo 70-bis, comma 5,
del Ccnl, stabilisce che questa indennità (sostituitva delle tre dedicate a
rischio, disagio e maneggio valori) “trova
applicazione a far data dal primo contratto integrativo successivo alla
stipulazione del presente CCNL”.
Dunque, abbiamo una soluzione
parziale. Fino alla sottoscrizione del nuovo Ccdi si applica la disciplina
precedente. Gli enti, quindi, continuano ad erogare le indennità di rischio,
disagio e maneggio valori negli importi determinati sulla base delle regole
contrattuali decentrate vigenti. La nuova indennità condizioni di lavoro
partirà solo dopo la sottoscrizione del primo Ccdi successivo al Ccnl e non
sarà retroattiva. Per l’anno 2018, quindi, un dipendente percettore
dell’indennità di rischio potrebbe ricevere tale indennità, per un certo
importo, fino al mese di ottobre, per poi vedere in busta paga una nuova
denominazione dell’indennità, con altro importo a novembre e dicembre.
A questo punto il problema si
sposta. La norma di diritto transitorio di cui al comma 5 dell’articolo 70-bis,
vale a condizione che l’ente disponga di un Ccdi valido ed efficace. Quando e a
che condizioni ciò si verifica?
Non vi sono particolari problemi
per l’ente che abbia sottoscritto il Ccdi entro il 21.5.2018: potrà continuare
ad erogare le indennità in argomento fino alla sottoscrizione (o anche fino
alla data di efficacia delle clausole) del nuovo Ccdi.
E l’ente che entro il 21.5.2018
non abbia sottoscritto il Ccdi e sia rimasto ancora con il Ccdi del 2017? La
situazione qui è in via di fatto più complicata. Non lo sarebbe in via di
diritto, per la semplice ragione dell’esistenza della clausola di ultrattività
dei Ccdi contenuta nell’articolo 5, comma 4, del Ccnl 1.4.1999: “I contratti collettivi decentrati
integrativi devono contenere apposite clausole circa tempi, modalità e
procedure di verifica della loro attuazione. Essi conservano la loro efficacia fino alla stipulazione dei
successivi contratti collettivi decentrati integrativi”.
Dunque, se fossimo in un mondo
perfetto, il problema per l’ente privo di Ccdi sottoscritto nel 2018 non si
porrebbe: continuerebbe a produrre effetti il Ccdi del 2017, sicchè non vi
sarebbe necessità di destinare le risorse del fondo a titolo di indennità
condizione lavoro, continuando di conseguenza ad erogare le indennità rischio,
disagio e maneggio valori. Sappiamo, però, che incredibilmente e non
condivisibilmente servizi ispettivi e Corte dei conti non riconoscono – davvero
non si sa perché e come questo sia possibile – la validità del principio di
ultrattività dei contratti decentrati ed hanno attivato migliaia di procedure
sanzionatorie per mancanza o tardività del Ccdi, violando platealmente un
principio posto tra le parti finalizzato proprio ad escludere la possibilità
stessa di vuoti contrattuali. Contare, quindi, sul contratto 2017 è in astratto
possibile, ma in concreto il rischio è che organi non inclini ad accettare
l’ordinamento per quello che è possano in futuro eccepire.
Allora, la scelta finale è: se
l’ente ritiene di riuscire a concludere la contrattazione entro il 2018, faccia
pure ed attivi, in modo non retroattivo, la nuova indennità condizioni lavoro.
Altrimenti, potrà continuare ad
erogare le vecchie indennità fino a sottoscrizione del Ccdi.
Per le successive due domande se sia necessario attivare la nuova
indennità per servizi esterni riservata al personale della vigilanza; e se sia necessario determinare le indennità
per specifiche responsabilità e l’indennità di funzione prevista per l’area di
vigilanza nei nuovi importi le risposte sono esattamente le stesse proposte
sopra, perché per queste nuove indennità si ripete la norma di parziale diritto
transitorio secondo la quale esse trovano “applicazione
a far data dal primo contratto integrativo successivo alla stipulazione del
presente CCNL”.
E’ da ricordare che
l’attivazione dell’indennità condizioni di lavoro e dell’indennità per servizi
esterni implica la determinazione in sede di contrattazione decentrata dei
criteri per scegliere il valore di essa entro la forcella compresa tra 1 e 10
euro al giorno di effettivo svolgimento delle attività indennizzate. L’indennità
di funzioni, invece, implica la sufficiente capienza del fondo.
Infine, l’ultima domanda: è obbligatorio gestire la valutazione
relativa all’anno 2018 applicando il meccanismo di differenziazione dei premi
di risultato individuale imposto dall’articolo 69 del Ccnl?
Qui le cose si complicano e di
molto. Il testo dell’articolo 69 è il seguente:
1. Ai dipendenti che
conseguano le valutazioni più elevate, secondo quanto previsto dal sistema di
valutazione dell’ente, è attribuita una maggiorazione del premio individuale di
cui all’art. 68, comma 2, lett. b), che si aggiunge alla quota di detto premio
attribuita al personale valutato positivamente sulla base dei criteri
selettivi.
2. La misura di detta
maggiorazione, definita in sede di contrattazione integrativa, non potrà
comunque essere inferiore al 30% del valore medio pro-capite dei premi attribuiti
al personale valutato positivamente ai sensi del comma 1.
3. La contrattazione
integrativa definisce altresì, preventivamente, una limitata quota massima di
personale valutato, a cui tale maggiorazione può essere attribuita.
Come si nota, non c’è, per
questa fattispecie, alcun genere di norma di diritto transitorio che, al
contrario, si sarebbe considerata assolutamente necessaria ed opportuna.
Infatti, il Ccnl 21.5.2018 è
intervenuto a metà anno e mai la contrattazione decentrata avrebbe potuto
concludersi – per quanto veloce – prima di settembre. Pretendere che il nuovo
sistema di attribuzione dei premi si autoapplichi da subito alla gestione 2018
è oggettivamente una forzatura. Sarebbe stato necessario che il Ccnl
specificasse che la decorrenza del nuovo sistema partisse dall’1.1.2019,
scongiurando la complicazione estrema che deriverà da un modo di gestire i
premi innovativo innestato a forza ad anno iniziato.
In assenza della norma
transitoria, l’unica conclusione da trarre è che le valutazioni per il 2018
dovranno assicurare la differenziazione imposta dall’articolo 69.
Sul piano squisitamente tecnico,
ciò potrebbe non costituire un grande problema: basta, infatti, mettere a punto
un foglio di calcolo per gestire la complicata equazione a due incognite posta
dalla norma.
Però, l’applicazione
dell’articolo 69 comporta la necessaria sottoscrizione dell’accordo decentrato.
Infatti, l’articolo 7, comma 4, lettera b), assegna alla materia della
contrattazione i “criteri per
l'attribuzione dei premi correlati alla performance”; l’articolo 69, come
visto, assegna alla contrattazione il compito di definire la misura della
maggiorazione spettante al personale valutato positivamente (ed occorre che il
sistema di valutazione stabilisca quando la valutazione è positiva: occorre,
quindi, anche attivare e concludere la relazione del confronto) ed anche la
percentuale limitata di dipendenti ai quali attribuirla concretamente.
Si tratta di materie di estrema
delicatezza, tali da determinare conflitti potenziali e difficoltà molto forti
nel giungere all’accordo necessario.
In ogni caso, se però si stipula
il Ccdi per attuare le previsioni dell’articolo 69, allora significa che c’è un
nuovo Ccdi; quindi, si verifica la condizione per sostituire alle indennità di
rischio, disagio e maneggio valori quella per le condizioni di lavoro e per
attivare l’indennità di funzione per la polizia municipale, oltre a far scattare
le condizioni per la legittima pretesa dell’incremento dei massimi dell’indennità
per specifiche responsabilità.
L’equilibrio del Ccdi 2018
stipulato prima della vigenza del nuovo Ccnl o del Ccdi applicato per
ultravigenza salta, anche se limitatamente ai pochi mesi restanti.
C’è da chiedersi se, allora, per
evitare l’effetto domino, sia possibile sottoscrivere un Ccdi limitato ad
alcuni istituti, ad esclusione di altri e, quindi, avvalersi della
contrattazione per stralci. Il Manuale
per la trasmissione dei contratti integrativi all’A.Ra.N. e al CNEL sembra
ammetterlo. Il Ccnl, però, vorrebbe che la contrattazione avvenisse in sessione
unica per tutte le materie.
Anche ammettendo la possibilità
di un contratto stralcio, resterebbe la difficoltà di superare il testo delle
norme di diritto transitorio relative alle nuove indennità, che rimettono al Ccdi
la loro attivazione. Occorrerebbe motivare molto bene che un Ccdi stralcio,
riferito solo alla premialità (per esempio) non sia tale, perché limitato solo
ad alcune materie, da sbloccare l’applicazione delle indennità medesime.
Altra opzione potrebbe
consistere nel sottoscrivere il contratto entro il 31.12.2018, con la clausola
secondo la quale gli istituti economici valgono a decorrere dal 31.12.2018 e a
valere dall’anno 2019; in questo modo si evita di far cadere sul 2018 variazioni
rilevanti sull’assetto delle indennità, che scatteranno nel 2019 assicurando
comunque l’operatività delle regole sulla produttività.
In ogni caso, un bel rebus
operativo, fonte di tensioni con i sindacati e, quindi, di ritardi e difficoltà
estreme nella sottoscrizione degli accordi, superabile con l’atto unilaterale
previsto dall’articolo 8, comma 5, del Ccnl. Tutte tensioni e difficoltà che un
utilizzo sagace, pieno e consapevole dell’autonomia negoziale avrebbe dovuto e
potuto evitare.
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