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mercoledì 28 novembre 2018

Incarichi ad avvocati nella PA: le vedove inconsolabili della fiduciarietà

Le Linee Guida 12 dell'Anac, in obbedienza al Trattato Ue, alla Direttiva Direttiva 2014/24/UE del 2014, all'articolo 97 della Costituzione, agli articoli 4 e 17 del d.lgs 50/2016, hanno ribadito che gli incarichi che le pubbliche amministrazioni possono conferire agli avvocati per la prestazione del servizio di patrocinio in giudizio non può essere attribuito per via fiduciaria.

Sia che si tratti di incarico per una singola difesa (secondo lo schema, sicuramente errato ed inesistente nel diritto europeo, della "prestazione d'opera"), sia che si tratti di un servizio strutturato di attività difensive pluriennali (ma, poi: come si determina la spesa? Mistero), occorre una procedura selettiva e, comunque, una motivazione specifica anche per i casi - che restano - di affidamento diretto.
Eppure, le urla delle vedove inconsolabili e delle prefiche per la scomparsa della "fiduciarietà" continuano a levarsi, nel Paese nel quale la concorrenza è vista sempre e solo come un fastidio.
In molte amministrazioni, tanto gli organi di governo, quanto i tecnici (che dovrebbero guardarsi sempre dalla tensione verso incarichi connessi all'espressione di sentimenti, quali la fiducia), ritengono di essere dotati, per destinazione esoterica, del potere arcano di potere e dovere individuare con la sfera di cristallo, loro e solo loro, quell'unico avvocato - bravissimo - che, grazie ai suoi superpoteri, visualizzati grazie alla capacità di amministratori e tecnici di consultare fondi di tazzine di caffè, voli di uccelli, viscere di capra e direzione del fumo, viene incaricato in quanto meritevole della "fiducia", derivante dai riti propiziatori.
Non risulta ancora chiaro che si applica la concorrenza anche tra professionisti. Lo stesso Ministro della Funzione Pubblica, non senza intenti fortemente critici nei confronti dei dipendenti pubblici (comprese le vedove inconsolabili della fiduciarietà) lo ha detto in una recente intervista al Messaggero: "Quando si fa la libera professione tutti danno il massimo perché sono sul mercato ogni giorno, nel pubblico no”.
Ecco, benissimo: gli avvocati, come qualsiasi altro professionista, come qualsiasi altro imprenditore, cerchi di "dare il massimo", visto che operando "sul mercato ogni giorno" debbono conquistare le fette di clientela grazie alla loro capacità. Che comprende anche quella di prendersi il disturbo di partecipare a confronti che la PA deve necessariamente realizzare.
Le vedove della fiduciarietà, spesso, sono le stesse che, poi, innalzano alti lai contro la fiduciarietà dei quali la politica si intende avvalere per gli incarichi dirigenziali o ai segretari comunali.
Un po' di coerenza non farebbe male.
Soprattutto, un po' di mira sulla fiducia: questa va riposta nelle proprie capacità di adottare decisioni legittime e provvedimenti corretti. A quel punto, la scelta dell'avvocato, pur delicata e meritevole ovviamente di ogni attenzione, diviene meno legata alla capacità occulta di selezionare l'avvocato bravissimo (come se la controparte, al contrario, scelga sempre l'avvocato incapace). La scelta dell'avvocato conta. Ma, prima ancora, conta la correttezza nella gestione. Che implica anche, quando si deve scegliere l'avvocato, accettare che la fiduciarietà non esiste.

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