Che le affermazioni del sindaco
Raggi di aver condotto personalmente la pratica per l’incarico dirigenziale
conferito a Renato Marra, fratello di Raffaele Marra all’epoca dirigente del
personale del comune di Roma, siano un fatto che costituisce reato di falso era
piuttosto facile aspettarselo.
Oggettivamente, una volta archiviata
l’ipotesi di abuso d’ufficio, l’insistenza sul reato di falso era fondata sull’argilla:
la presupposizione che il sindaco mentì rispetto al ruolo svolto da Raffaele
Marra (qualificato come limitato alla sola redazione di atti contenenti decisioni
adottate esclusivamente dal sindaco) “per
non dimettersi in base al codice etico del Movimento 5 stelle”. Un “movente”
davvero di poca consistenza.
Rilevato che l’incarico né abbia
dato vita al reato di abuso d’ufficio, né al reato connesso di falso, due
osservazioni sono opportune.
La prima riguarda ciò che
verosimilmente sarebbe accaduto se il sindaco di Roma fosse stato condannato:
si sarebbe riaperta con estrema velocità la corsa a riformare la dirigenza
pubblica nel solco della devastante riforma Madia, allo scopo di sottrarre per
sempre gli organi di governo da qualsiasi tipo di responsabilità. E’ da ricordare
che la micidiale riforma Madia nella sostanza intendeva legittimare incarichi
arbitrari, affidati “pescando” da ruoli unici senza alcuna particolare
motivazione rispetto al soggetto scelto, così legittimando incarichi legati
prevalentemente se non esclusivamente a comunanza d’intenti, amicizia,
collaborazione nella campagna elettorale, affinità politiche. Non è, comunque,
detto che lo scampato pericolo non consigli comunque di provare a ripercorrere
una riforma che a quanto pare al Ministro Bongiorno non dispiace molto, ma che
non è mai stata espressamente osteggiata nemmeno dal partito di maggioranza
relativa in Parlamento.
La seconda concerne, invece, un
fatto estraneo al processo penale, ma molto rilevante sul piano amministrativo.
Sebbene non vi sia stato alcun reato, la violazione delle misure previste dalla
normativa anticorruzione (in particolare il dovere di astensione imposto dagli
articoli 6 e 7 del dpr 63/2013) e delle regole per definire gli incarichi dirigenziali
costituiscono illegittimità amministrative tanto evidenti, quanto passate del
tutto inosservate.
Per molti osservatori, specie
dei media non specializzati, sarebbe stato ed è un bene che il sindaco di Roma venisse
e sia stato assolto, perché “un sindaco deve avere il diritto di incaricare
persone di propria fiducia”.
Ecco, questo assunto è totalmente
sbagliato, contrario all’attuale assetto della Costituzione ed alle norme che
presidiano gli incarichi dirigenziali.
Il sistema non prevede in alcun
modo la fiducia come presupposto per l’assegnazione degli incarichi dirigenziali.
Lo chiariscono le norme a presidio:
Articolo 19, commi 1, 1-bis, e 2 del d.lgs 165/2001
|
Articolo 109, comma 1, d.lgs 267/2000
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1. Ai fini del conferimento di ciascun incarico di
funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle
caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della
struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del
singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza
nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle
specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di
direzione eventualmente maturate all'estero, presso il settore privato o
presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento
dell'incarico. Al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi
diversi non si applica l'articolo 2103 del codice civile.
|
1. Gli incarichi dirigenziali sono conferiti a tempo
determinato, ai sensi dell'articolo 50, comma 10, con provvedimento motivato
e con le modalità fissate dal regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei
servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli
obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente
della provincia e sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del
sindaco o del presidente della provincia, della giunta o dell'assessore di
riferimento, o in caso di mancato raggiungimento al termine di ciascun anno
finanziario degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione
previsto dall'articolo 169 o per responsabilità particolarmente grave o
reiterata e negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro.
L'attribuzione degli incarichi può prescindere dalla precedente assegnazione
di funzioni di direzione a seguito di concorsi.
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Come si nota, nessuna delle due
norme (la seconda specificamente dedicata all’ordinamento degli enti locali) fa
riferimento minimo a rapporti di fiducia tra sindaco e dirigenza; al contrario,
entrambe sono orientate ad una proceduralizzazione rivolta a vincolare l’organo
di governo ad indirizzare le proprie scelte sulla base della valutazione delle
capacità tecniche e professionali.
Il problema è la totale assenza di
controlli esterni e preventivi di legittimità sugli atti. Appalti, assunzioni,
incarichi, contributi a terzi, provvedimenti concessori sono qualificati
espressamente come ambiti a rischio di corruzione dalla legge 190/2012. Le
misure per prevenire i molti pericoli corruttivi e di legittimità previsti
dalla normativa anticorruzione, però, sono insufficienti ed inefficienti. Si
tratta di una miriade di meri adempimenti, centinaia di pubblicazioni di atti,
o di complessi documenti come i piani triennali di prevenzione della
corruzione, che restano lettera morta e non hanno fin qui mai avuto la capacità
né di prevenire, né di scovare nessun comportamento corruttivo o illegittimo.
La trasparenza, la pubblicità,
sono benvenute e utili. Ma, per “prevenire” occorrono strumenti che “prevengano”,
capaci. Cioè di evitare che un atto illegittimo o corruttivo produca i suoi
effetti.
Gli incarichi dirigenziali,
visto che non sono né devono essere atto di vassallaggio nella disponibilità
del feudatario, debbono essere sottoposti a controlli preventivi di legittimità
da parte di autorità terze, per evitare che i fatti di Roma, che
per altro si verificano trasversalmente sempre in tutti gli altri 8.100 comuni
italiani, si ripeteranno. Non c’è reato, ma illegittimità amministrativa
sì.
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