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sabato 1 dicembre 2018

Ccnl: l’inutile aggiunta di sconquassi a quelli già creati dall’articolo 67, comma 7



Su Il quotidiano degli enti locali l’articolo di V. Giannotti “Contrordine della Corte dei conti sugli aumenti contrattuali: senza legge vincolo alla sola produttività” commenta l’audizione della magistratura contabile in Parlamento, relativa al disegno di legge “concretezza”.
Come è noto, tale iniziativa legislativa contiene un’interpretazione autentica dell’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017, volta ad eliminare gli sconquassi scatenati dall’articolo 67, comma 7, del Ccnl 21.5.2018, che lo ha erroneamente ed inopportunamente richiamato, come se il vincolo alla spesa per il salario accessorio fosse riferito alla contrattazione nazionale collettiva e non a quella decentrata.

L’articolo evidenzia che la Corte dei conti avrebbe virato di 180 gradi rispetto al chiarimento finalmente fornito con la deliberazione 19/2018 della Sezione Autonomie, sicché il differenziale della spesa per progressioni orizzontali derivante dagli incrementi tabellari, nonché il costo dell’indennità di 83,20 euro che scatterà dal 2019, sarebbe da escludere dal computo del tetto di spesa per il 2016 solo per 2018 (per le progressioni orizzontali) e per il 2019 (nel caso degli 83,20 euro).
Ora, che chi ha sottoscritto il Ccnl inserendo l’improvvido articolo 67, comma 7, abbia commesso un errore estremamente grave, le cui conseguenze sono ancora presenti è oggettivo e palpabile. Ancor più grave è che l’errore sia stato rimediato con lo strumento debolissimo della dichiarazione congiunta n. 5, che ha scatenato, come prevedibile, letture diametralmente opposte tra sezioni della Corte dei conti, che hanno tenuto sotto scacco per tutta l’estate e l’inizio d’autunno le amministrazioni, rendendo loro impossibile quantificare con esattezza il fondo della contrattazione decentrata (e tanti saluti alla semplificazione per costituire il fondo, pur predicata dal d.lgs 75/2017).
Appare altrettanto grave, però, indulgere a dare valore di interpretazione cogente ad un’audizione della Corte dei conti, tendente a revisionare, in parte, il chiarimento, tardivo ed insufficiente, fornito solo a fine ottobre sul tema.
La deliberazione 19/2018 della Sezione Autonomie ha espresso il seguente principio di diritto: “Gli incrementi del Fondo risorse decentrate previsti dall’art. 67, comma 2, lettere a) e b) del CCNL Funzioni locali del 21 maggio 2018, in quanto derivanti da risorse finanziarie definite a livello nazionale e previste nei quadri di finanza pubblica, non sono assoggettati ai limiti di crescita dei Fondi previsti dalle norme vigenti e, in particolare al limite stabilito dall’art. 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017”. Nella delibera non si fa neanche lontanamente cenno a quanto riferito dalla Corte nell’audzione in Parlalento.
Ora: l’ordinamento giuridico attribuisce (è auspicabile, non ancora per molto, perché il sistema del controllo collaborativo della magistratura contabile ha solo reso ancor più complicato il quadro attuativo ed interpretativo) alla Corte dei conti una competenza a fornire pareri su temi di finanza pubblica; questi pareri si esprimono con deliberazioni delle competenti Sezioni.
Se la Corte dei conti ha da svolgere argomenti e valutazioni, la sede per agire è quella. Un’audizione è un’audizione: non è un parere, non è una sentenza, non ha nulla di cogente. E’ solo un intervento volto a chiarire al Parlamento aspetti tecnici e di opportunità di un disegno normativo. E come tale va letto e commentato.
Non è corretto attribuire ad un’audizione alcun significato ulteriore. Cogliere le contraddizioni interne all’operato della magistratura contabile è corretto e doveroso, purtroppo. Ma leggere l’audizione come una revisione della certificazione al contratto o come un atto che contraddice l’unica pronuncia formale sul tema, la delibera 19/2018 della Sezione Autonomie, no.
E’ compito dell’interprete leggere l’attualità ed i fatti dando loro il corretto peso. Sicuramente l’audizione “fa notizia” ed è giusto intervenire su quanto la Corte dei conti ha affermato. Ma è assolutamente corretto e necessario ricordare a tutti che l’audizione è priva di qualsiasi valore. Se la Corte dei conti ritiene di rivedere l’orientamento formalmente espresso con la deliberazione 19/2018, può naturalmente farlo, ma con un atto uguale e contrario. L’interprete non deve dedurre da un’audizione questo effetto.
Nel frattempo, si può auspicare che il Parlamento si affretti con l’interpretazione autentica che ponga nel nulla l’inaccettabile vulnus costituito dall’articolo 67, comma 7, del ccnl 21.5.2018, di fatto rendendo inoperante l’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2018.
Sarebbe interessante, tuttavia, se le cose non finissero lì, con l’interpretazione autentica e si procedesse oltre, per scoprire come sia stato possibile e perché l’insorgere del guazzabuglio creato da una clausola contrattuale, l’articolo 67, comma 7, sbagliata che si poteva e doveva non sottoscrivere o, comunque, cancellare di corsa, prima della sottoscrizione definitiva del contratto.


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