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martedì 6 agosto 2019

Richiedenti asilo: il Tribunale di Ancona spiega perchè i comuni non possono registrare la residenza alla luce del decreto sicurezza


L'ordinanza del Tribunale di Ancona, prima Sezione civile, 29 luglio 2019, che solleva la questione di legittimità costituzionale del d.l. 113/2018, convertito in legge 132/2018 (c.d. "decreto sicurezza") smonta in modo convincente la teoria secondo la quale la riforma introdotta dal governo non avrebbe in realtà impedito agli uffici demografici di registrare la residenza anagrafica dei richiedenti asilo.

Tale tesi è stata proposta dalla dottrina (ttps://www.segretaricomunalivighenzi.it/05-01-2019-una-lettura-tecnico-giuridica-della-polemica-che-infiamma-la-politica-sul-decreto-sicurezza) e poi ripresa da una serie di pronunce giurisprudenziali, richiamate dall'ordinanza del Tribunale di Ancona (Tribunale di Bologna, ordinanza del 2.5.2019; Tribunale di Firenze, ordinanza del 18.3.2019; Tribunale di Genova, ordinanza del 22.5.2019).
Si tratta del tentativo di attuare le disposizioni del "decreto sicurezza" in modo da fornire una lettura "costituzionalmente orientata". Che, ovviamente, il giudice di Ancona non condivide, allo scopo di individuare la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata.
In sintesi, le tesi "costituzionalmente orientata" sostiene che l’articolo 13 del d.l. 113/2018, convertito in legge 132/2018 ma non cancella il diritto dello straniero richiedente la protezione internazionale di iscriversi “personalmente” all’anagrafe dei residenti. Infatti, rimane in vigore - in quanto non espressamente abrogato -  l’articolo 6, comma 7, del d.lgs 286/1998 ai sensi del quale “Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione”.
Sulla base di queste teorie, alcuni comuni continuano ad accertare la residenza dei richiedenti asilo.
Si tratta di una tesi, tuttavia, che non persuade. Su La Gazzetta degli enti locali, ed. Maggioli, nel numero del 9 gennaio 2019, in proposito scrivemmo: "C’è allora da comprendere se l’articolo 13 del decreto sicurezza, a mente del quale il permesso di soggiorno rilasciato allo straniero richiedente protezione “non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi dell’art. 6, comma 7 del decreto legislativo 286 del 1998” produca realmente la conseguenza di impedirgli l’acquisizione della residenza.
La tesi che stiamo qui sintetizzando (ma non condividendo) sottolinea come il secondo periodo del comma 7 dell’articolo 6 del d.lgs 286/1998 disponga: “in ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza”. Da ciò si potrebbe desumere, quindi, “che l’iscrizione anagrafica dello straniero non ancora regolarmente soggiornante non possa più essere ottenuta in base al mero possesso del permesso di soggiorno; ma, sulla base dell’orientamento espresso dalla Cassazione nella celeberrima sentenza 14.3.1986, n. 1738 non può negarsi che trascorsi 3 mesi dall’inizio dell’ospitalità in uno dei centri di accoglienza lo straniero in attesa di protezione possa richiedere l’iscrizione anagrafica essendo per legge verificato il requisito della dimora abituale”.
Di conseguenza, l’impossibilità di acquisire la residenza sarebbe ricondotta solo al “periodo iniziale della permanenza del richiedente protezione nei centri di accoglienza e, comunque, fino alla conclusione del procedimento con cui lo Stato italiano si pronuncia sulla domanda di protezione, accolta la quale lo straniero è equiparato ai fini dell’iscrizione anagrafica ad un cittadino italiano”.
Tale teoria molto suggestiva tuttavia non considera alcuni elementi. In primo luogo il chiarissimo elemento testuale: il decreto sicurezza modificando l’articolo 4 del d.lgs 142/2015 ha aggiunto il comma 1-bis, ai sensi del quale “Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”. Dunque, l’intero articolo 6, comma 7, nonostante non sia abrogato, perde efficacia nei confronti degli stranieri richiedenti asilo. La norma non è stata abrogata perché vale sempre per gli stranieri: ma, in particolare per i richiedenti protezione internazionale non produce più alcun effetto.
Quindi, gli uffici demografici semplicemente laddove ricevano una dichiarazione di domicilio ai fini dell’acquisizione della residenza da parte di un richiedente protezione internazionale debbono chiudere immediatamente la procedura con una reiezione, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, della legge 241/1990.
In ogni caso, anche il riferimento alla datata pronuncia della Cassazione non modifica l’innovazione introdotta dal decreto sicurezza. Che consiste esattamente nella radicale ristrutturazione del sistema di accoglienza, operato dall’articolo 12 del d.l. 113/2018, convertito in legge 132/2018. Tale sistema adesso a regime consente di accogliere non più i richiedenti protezione internazionale, bensì solo ed esclusivamente i titolari della protezione internazionale. I Cas e gli Sprar sono di fatto “chiusi” e sostituiti dal “Sistema di protezione per i titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati” (SIPROIMI). Quindi, non c’è materialmente più la distinzione del richiedente protezione internazionale che soggiorni presso un Cas o uno Sprar per meno di tre mesi, da quello che vi soggiorni da più di tre mesi. I richiedenti asilo non possono soggiornare più nel sistema di accoglienza".
L'ordinanza del Tribunale di Ancona conferma ed approfondisce le perplessità sulla sostenibilità della tesi secondo la quale i richiedenti asilo possono ancora ottenere la registrazione demografica, fornendo motivazioni in parte coincidenti, in parte ulteriori, rispetto a quelle proposte da chi scrive a suo tempo.
L'ordinanza 29.7.2019,. condivisibilmente, evidenzia che l'interpretazione posta a salvaguardare la sussitenza in capo al richiedente asilo della possibilità di ottenere la residenza "priva di significato la portata innovativa della norma e conduce ad una interpretazione abrogante, per le ragioni di seguito indicate:
- la procedura di iscrizione semplificata è stata abrogata con una norma apposita, pertanto, non vi era la necessità di ribadire il difetto di automatismo tra rilascio del permesso di soggiorno ed iscrizione all’anagrafe con una ulteriore disposizione. Tra tutti i possibili significati riconducibili ad una norma, infatti, si deve optare per quello che riconnette alla medesima un qualche effetto, se esistente;
- in ogni caso, pur assumendo quello indicato dai giudici di merito richiamati come il significato della norma, non si comprende quale sia il senso del richiamo all’art. 6 T.U. immigrazione, laddove si afferma che il permesso di soggiorno non è titolo ai sensi di quella norma (la disposizione non si occupa affatto dell’automatismo tra rilascio del permesso di soggiorno ed iscrizione all’anagrafe, ma pone semplicemente la regolarità del soggiorno dello straniero quale condizione per la parificazione al cittadino ai fini dell’applicazione della disciplina);
- la mancata modifica dell’art. 6 T.U. immigrazione, che viene evocata a riprova  dell’applicazione della disciplina ordinaria in materia di iscrizione all’anagrafe anche al richiedente asilo titolare del permesso di soggiorno, non rileva in alcun modo. Anzi, è proprio l’art. 4 comma 1 bis d.lgs. 142/2015 che, quale norma di pari rango e posteriore, introducendo una deroga, sottrae uno spazio applicativo all’art. 6 T.U. immigrazione, escludendo che il permesso per richiesta asilo sia prova della regolarità del soggiorno ai fini della sua applicazione".
Nè all'interprete, nè al giudice, nè all'operatore, è consentito di interpretare norme di legge in modo da ottenere il risultato abnorme della loro impossibile attuazione. Il sostanziale divieto imposto dal decreto sicurezza di acquisizione della residenza posto ai richiedenti asilo può risultare non condivisibile sul piano della filosofia del diritto e sociale; ma, questo non può condurre ad interpretazioni abroganti, perchè questo compito è riservato alla Corte costituzionale. E bene ha fatto il giudice di Ancona a sollevare la questione di legittimità costituzionale, per dirimere la questione, ricordando a tutti quali sono i canoni interpretativi e operativi da rispettare sempre.

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