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domenica 8 settembre 2024

Gli incarichi negli uffici di diretta collaborazione di Ministri e qualsiasi organo di governo sono un fatto totalmente pubblico, mai "privato"

 La circostanza che si dibatta se le vicende relative al Ministro della cultura e della consigliera con l’incarico fantasma siano o meno una questione privata evidenzia di per sé quanto grave sia la situazione generale della normativa e della concreta attuazione relativa agli incarichi negli uffici “di staff” degli organi di governo.

Il dubbio sull’attinenza a fatti pubblici o privati è di per sé indice chiaro della percezione distorta di molti soggetti politici delle regole del gioco, i quali leggono ed intendono le norme come fondamento esattamente per gestire fatti “privati”, fatti propri. Dietro l’elemento della “fiduciarietà” degli incarichi, si muove l’intento di gestire parti non poco rilevanti della gestione pubblica, come si trattasse di questioni appunto private.

Alcuni uffici, alcune cariche, alcuni incarichi, sono considerati dagli organi di governo dotati del potere di assegnarli, come esercizio puro e semplice di potere. In linea di teoria, nella scienza amministrativa si parla anche di esercizio di “alta amministrazione”, consistente nelle scelte discrezionali dei vertici politici dei soggetti da preporre alle principali attività strategiche delle pubbliche amministrazioni delle quali hanno la responsabilità.

Come noto, la Corte costituzionale, con una giurisprudenza non del tutto convincente, riferendosi alla dirigenza pubblica, non ammette lo spoil system per i dirigenti di “seconda fascia” dello Stato o, comunque, per i dirigenti che nelle varie PA debbano svolgere funzioni di diretta gestione operativa; ma, considera, invece, possibile e quasi inevitabile lo spoil system per la dirigenza di prima fascia (segretari generali, direttori generali, direttori di dipartimento), ritenendo costituzionalmente fondata la circostanza che la scelta di detti dirigenti sia condizionata dalla loro “personale adesione” alla linea politica della maggioranza di turno.

Ma, queste fessure aperte a comprensibili esigenze che chi ha la responsabilità di esprimere un indirizzo politico sia coadiuvato da chi tale indirizzo lo conosca e sia in grado di tradurlo in norme e progetti operativi, si rivelano, poi, spazi per fraintendere la “personale adesione” nel senso di giurata “appartenenza” e “discrezionalità” nel senso di pieno arbitrio nello scegliere. Una scelta considerata come “fatto del principe”, appunto privato, del quale non dare conto.

Sicchè la scelta può basarsi sostanzialmente solo su “personale adesione” e “fiducia”, trascurando tutto il resto: dalle modalità comunque da seguire per far accedere soggetti ad incarichi pubblici, alla selezione fondata su titoli e competenze. Fino a giungere al puro familismo o alla gestione di “clientes”, se non di affetti, da compensare con incarichi.

Le crepe nel sistema divengono voragini, se si passa dal già deleterio spoil system della dirigenza (che genera, non di rado, incarichi fondati solo sulle tessere), alla gestione degli uffici di staff.

In questo caso, comprensibilmente, il Legislatore ha ampliato e di molto gli elementi di “fiduciarietà” per la scelta dei principali collaboratori.

Ma, proprio la circostanza che anche la selezione di chi va a formare gli “uffici di gabinetto” sia un fenomeno regolato da norme sia di legge, sia regolamentari, evidenzia che non si tratti per nulla di questioni private, bensì sempre e solo pubbliche, per quanto private ed al limite dell’arbitrario possano essere poi i motivi per i quali l’organo politico individui questa o quell’altra persona come collaboratore.

L’articolo 14, comma 2, del d.lgs 165/2001 stabilisce che per l’esercizio delle funzioni di governo “il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l'amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. A tali uffici sono assegnati, nei limiti stabiliti dallo stesso regolamento: dipendenti pubblici anche in posizione di aspettativa, fuori ruolo o comando; collaboratori assunti con contratti a tempo determinato disciplinati dalle norme di diritto privato; esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni con incarichi di collaborazione coordinata e continuativa. Per i dipendenti pubblici si applica la disposizione di cui all'articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127. Con lo stesso regolamento si provvede al riordino delle segreterie particolari dei Sottosegretari di Stato. Con decreto adottato dall'autorità di governo competente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è determinato, in attuazione dell'articolo 12, comma 1, lettera n) della legge 15 marzo 1997, n. 59, senza aggravi di spesa e, per il personale disciplinato dai contratti collettivi nazionali di lavoro, fino ad una specifica disciplina contrattuale, il trattamento economico accessorio, da corrispondere mensilmente, a fronte delle responsabilità, degli obblighi di reperibilità e di disponibilità ad orari disagevoli, ai dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato. Tale trattamento, consistente in un unico emolumento, è sostitutivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale. Con effetto dall'entrata in vigore del regolamento di cui al presente comma sono abrogate le norme del regio decreto legge 10 luglio 1924, n. 1100, e successive modificazioni ed integrazioni, ed ogni altra norma riguardante la costituzione e la disciplina dei gabinetti dei Ministri e delle segreterie particolari dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato”.

Leggi, regolamenti, decreti, contratti collettivi, contratti individuali, trattamento economico fondamentale ed accessorio, responsabilità, orario disagevoli, emolumenti. La trattazione della gestione degli uffici di diretta collaborazione è ben lungi dal consistere in una regolazione di “questioni private”.

La disposizione richiamata si applica in via analogica anche al mondo degli enti locali, nel quale la costituzione di uffici di staff è regolata dall’articolo 90 del d.lgs 267/2000, il cui comma 1 prevede: “Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni”. Anche in questo caso tutto è “pubblico”, lo spazio al “privato” è sostanzialmente nullo.

Il Dpcm 15 marzo 2024, n. 57, per altro, è il regolamento, uno tra i tanti di ciascun singolo ministero, posto ad attuare le disposizioni dell’articolo 14 del d.lgs 165/2001, proprio per il Ministero della cultura.

E’ l’articolo 32 di tale regolamento ad occuparsi degli uffici di diretta collaborazione. Il comma 1 specifica: “Gli uffici di diretta collaborazione esercitano le competenze di supporto all'organo di direzione politica e di raccordo tra questo  e le altre strutture dell'amministrazione, ai sensi  dell'articolo  14, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,  collaborando alla definizione degli obiettivi, alla elaborazione  delle  politiche pubbliche, alla relativa valutazione e  alle  connesse  attività  di comunicazione, con particolare  riferimento  all'analisi  di  impatto normativo, all'analisi costi-benefici e alla congruenza fra obiettivi e risultati. Essi sono costituiti nell'ambito del Gabinetto, il quale è centro di responsabilità amministrativa, ai  sensi  dell'articolo 21, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196”.

Visti gli alti fini della funzione degli uffici di diretta collaborazione, appare molto difficile ritenere che l’incarico di questo o quel componente risulti una questione “privata”.

Il successivo comma 4, oltre tutto, specifica come dotare l’ufficio di diretta collaborazione, evidenziando che la sua composizione a ben vedere non debba essere legata al caso: “Agli Uffici di cui al comma 2, fatto salvo quanto  previsto  per le Segreterie dei Sottosegretari di  Stato,  è  assegnato  personale dipendente del Ministero e di altre amministrazioni pubbliche,  enti, società in house, anche in posizione di aspettativa, fuori  ruolo  o comando, ai sensi dell'articolo 17, comma 14, della legge  15  maggio 1997, n. 127, nel numero massimo di  cento  unità,  comprensivo,  in numero  non  superiore  a  venticinque,  di  esperti  estranei   alla amministrazione assunti  con  contratto  a  tempo  determinato  o  di collaborazione  comunque  di  durata  non  superiore  a   quella   di permanenza in carica del Ministro, nel rispetto dei  vincoli  imposti dagli stanziamenti di bilancio. Per i dipendenti di società in house si applica l'art. 19, comma 9-bis, del decreto legislativo 19  agosto 2016, n. 175”. I soggetti ai quali rivolgersi per inserirli nella struttura dell’ufficio di staff dovrebbero essere “esperti”, cioè persone dotate di competenze chiare, evidenziabili e dimostrabili, utili proprio al conseguimento degli alti fini degli uffici.

Proprio questa necessità costituisce un primo limite, che dovrebbe essere invalicabile, alla scelta sia pur ampiamente discrezionale dell’organo di governo: per quanto le ragioni alla base della scelta del soggetto da incaricare possano esservi elementi “personali”, financo privati, come la “personale adesione”, la “tessera”, la diuturna conoscenza, persino la parentela o legami affettivi, dovrebbe in ogni caso essere la qualità di “esperto” la costante irrinunciabile. L’amico fraterno, la persona affidabile, nota, comprovata, se non “esperta” non potrebbe essere incaricata.

In particolare, il comma 6 dell’articolo 32 del citato regolamento ministeriale è dedicato ai “consiglieri”: “Possono inoltre essere chiamati a collaborare con gli Uffici  di cui al comma 2, nei limiti degli ordinari  stanziamenti  di  bilancio destinati al Gabinetto, fino a quindici Consiglieri, nonché'  fino  a ulteriori quindici Consiglieri a titolo gratuito, salvo  il  rimborso delle spese effettivamente sostenute, parametrate ai limiti  previsti dalla normativa vigente in materia di trattamento di missione  e  nel rispetto dei pertinenti stanziamenti di bilancio. I Consiglieri  sono scelti tra esperti di particolare professionalità e specializzazione nelle   materie   di   competenza   del   Ministero   e   in   quelle giuridico-amministrative   ed   economiche,    con    incarichi    di collaborazione,  di  durata  comunque  non  superiore  rispetto  alla permanenza in carica del Ministro, ai sensi dell'articolo  14,  comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.  A  un  massimo  di cinque dei trenta consiglieri di cui al presente  comma  può  essere affidato l'incarico di responsabile  per  l'attuazione  di  specifici progetti. Il Ministro, con il decreto con cui dispone l'incarico, da' atto dei requisiti di particolare professionalità del Consigliere  e allega un suo dettagliato curriculum”.

Anche in questo caso, la norma dispone vincoli sulla scelta, quindi non arbitraria: i consiglieri a loro volta debbono essere “esperti”, ma non solo: debbono disporre anche di una professionalità “particolare”, cioè di spicco e più alta della media, ed inoltre dimostrare anche una “specializzazione” nell’ambito dell’incarico. Insomma, i requisiti professionali richiesti, e da dimostrare nel provvedimento di incarico, sono di assoluta eccellenza.

Sebbene la normativa non indichi il metodo per reclutare questi soggetti, lasciando ampi margini proprio alla discrezionalità, tuttavia gli incarichi avvengono per provvedimento pubblico, con decreto ministeriale. Anche questo conferma che la questione è integralmente pubblico. E ogni provvedimento amministrativo deve essere pubblico, accessibile e motivato: la motivazione, nel caso di specie, deve dare conto del rispetto del vincolo interno ad incaricare “esperti”, spiegando perché la persona incaricata lo sia. E non si è esperti in quanto “persona di fiducia”, bensì principalmente esperto ed eventualmente, ma in via del tutto accessoria, anche persona conosciuta, di fiducia e con particolari legami.

E bisogna evidenziare che esiste un altro vincolo, esterno, al potere di incaricare persone negli uffici di staff: l’assenza delle cause di inconferibilità ed incompatibilità, previste dal d.lgs 39/2013, una delle molte norme che compongono il complesso apparato anti corruzione ed anti conflitto di interessi del pacchetto “Severino”. La norma, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), si applica anche ai «componenti di organi di indirizzo politico», intesi come “le persone che partecipano, in via elettiva o di nomina, a organi di indirizzo politico delle amministrazioni statali, regionali e locali, quali Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, parlamentare, Presidente della giunta o Sindaco, assessore o consigliere nelle regioni, nelle province, nei comuni e nelle forme associative tra enti locali, oppure a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali”.

Le successive lettere spiegano che:

g) per «inconferibilità», la preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli incarichi previsti dal presente decreto a coloro che abbiano riportato condanne penali per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico;

h) per «incompatibilità», l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l'incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l'assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico”.

Questi sono ulteriori elementi che rendono pubblica qualsiasi vicenda di attribuzione di incarichi a soggetti facenti parte degli uffici di diretta collaborazione e costituiscono elementi della motivazione, perché occorre dare pubblicamente conto dell’inesistenza delle cause indicate, ostative all’assegnazione dell’incarico.

A tale scopo, non ha alcun rilievo la circostanza che l’incarico sia retribuito o a titolo gratuito. Gli atti da adottare sono gli stessi, i regimi di pubblicità e motivazione anche: semplicemente, non sarà da attivare la procedura per assumere l’impegno della spesa pubblica connessa.

Come visto sopra, in ogni caso, ai consiglieri incaricati a titolo gratuito va riconosciuto comunque “il  rimborso delle spese effettivamente sostenute, parametrate ai limiti  previsti dalla normativa vigente in materia di trattamento di missione  e  nel rispetto dei pertinenti stanziamenti di bilancio”: pertanto comunque si tratta di gestire una fonte di spesa, la cui legittimità è da collegare:

1)    alla corretta attribuzione dell’incarico;

2)    alla connessione stretta della spesa con lo svolgimento dell’incarico.

Ma non basta. A conferma che gli incarichi negli staff sono questione certamente pubblica è anche il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, di cui al dPR 62/2013. Vero che un consigliere incaricato come collaboratore non è un lavoratore subordinato e, quindi, non è un dipendente di una PA. Ma l’articolo 2, comma 3, del dPR 62/2013 dispone: “Le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 estendono, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal presente codice a tutti i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione. A tale fine, negli atti di incarico o nei contratti di acquisizioni delle collaborazioni, delle consulenze o dei servizi, le amministrazioni inseriscono apposite disposizioni o clausole di risoluzione o decadenza del rapporto in caso di violazione degli obblighi derivanti dal presente codice”.

Dunque, anche il collaboratore nello staff politico deve rispettare il codice di comportamento, che deve essere però espressamente richiamato e specificato:

a)     nel provvedimento di incarico;

b)    oppure nel contratto.

Segno che, sempre a smentita dell’idea che possa trattarsi di vicende “private” il provvedimento pubblico di assegnazione dell’incarico non possa mai mancare, anche perché costituisce il titolo perché il consigliere incaricato o, comunque, l’addetto allo staff possa poi svolgere i compiti assegnati.

Compiti che non necessariamente consistono nel gestire procedimenti amministrativi: anzi, nel caso di consiglieri è evidente che l’assenza di un rapporto organico con la PA, nascente solo a seguito della sottoscrizione di un contratto di lavoro subordinato, impedisca loro di svolgere funzioni gestionali ed operative: il consigliere, appunto, consiglia, esprime, quindi, pareri, oppure suggerisce azioni, modi, piani, strategie.

Il che, però, non impedisce al consigliere di accedere ad informazioni, atti, documenti, di partecipare a riunione. Il componente dello staff, insomma, pur non gestendo, comunque assume ovviamente una serie di informazioni dall’interno e conosce per via diretta fascicoli e dossier.

Per questo può influire e non poco sulle scelte. Per questo deve rispettare, allora, le regole del codice di comportamento: non accettare regali superiori ai limiti previsti (150 euro); non può partecipare ad associazioni e organizzazioni in conflitto di interesse con la PA, ad esempio perché ne ricavino sovvenzioni o contributi; deve comunicare eventuali interessi finanziari in conflitto; deve astenersi su qualsiasi dossier che possa coinvolgere anche indirettamente la propria sfera o quella di parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente.

Il dipendente, come anche il collaboratore o il consigliere, ancora, “si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza”. Il che rende molto problematico, come si può intuire, l’incarico in un ufficio di diretta collaborazione connesso a rilevanti, quando non prevalenti, ragioni “private”; il conflitto di interessi è dietro l’angolo e può derivare anche da rotture impreviste e traumatiche della relazione privata di fiducia tra incaricante ed incaricato.

Ai sensi dell’articolo 16, comma 1, del codice di comportamento, “La violazione degli obblighi previsti dal presente Codice integra comportamenti contrari ai doveri d’ufficio. Ferme restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni contenute nel presente Codice, nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di prevenzione della corruzione, dà luogo anche a responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile del pubblico dipendente, essa è fonte di responsabilità disciplinare accertata all’esito del procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni”.

Ancora una volta, si nota che nulla, in un incarico in uno staff, può essere “privato” e lasciato a prassi non regolate e non controllabili.

Per questo, occorre che gli incarichi siano formalizzati con provvedimenti, trasparenti e pubblici. Solo la regolare costituzione almeno di un rapporto di servizio può dare titolo ad entrare nelle sedi di una PA, a partecipare alle riunioni ed alle occasioni ufficiali, a conoscere i dossier e trattare quanto di competenza, ad effettuare missioni rimborsabili nelle quali esprimere idee ed azioni per conto della PA, a rispondere della violazione di regole di comportamento, di segretezza, di prevenzione di conflitti di interessi.

Le recenti vicende dimostrano l’esistenza di ampie falle nel sistema di regolazione e gestione degli incarichi negli uffici di staff degli organi di governo. La “fiducia” e la “personale adesione” prendono il sopravvento sulla qualità di esperto dotato di particolari competenze e specializzazione; le ragioni delle scelte restano oscure; i trattamenti economici regolati sommariamente; le regole operative da seguire, come per esempio il divieto di trattare direttamente procedimenti amministrativi, infrante in continuazione; l’assunzione delle responsabilità proprie comunque di ogni soggetto che svolga attività a beneficio di un PA ai sensi del pacchetto anticorruzione, messa sullo sfondo.

Il tutto, proprio perché è fino troppo diffusa e troppo profonda l’idea di chi sia chiamato a svolgere funzioni di governo che si gestisca la PA “come un’azienda”, come un “affare privato”, senza che controlli interni, di apparati amministrativi soggetti a spoil system e quindi deboli ed assertivi, possano funzionare per prevenire ed indirizzare, ed in totale assenza di un qualsiasi controllo esterno volto a fare da seria deterrenza all’idea che la gestione del potere comporti indiscriminato arbitrio.

 

 

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