La circostanza che si dibatta se le vicende relative al Ministro della cultura e della consigliera con l’incarico fantasma siano o meno una questione privata evidenzia di per sé quanto grave sia la situazione generale della normativa e della concreta attuazione relativa agli incarichi negli uffici “di staff” degli organi di governo.
Il dubbio sull’attinenza a fatti
pubblici o privati è di per sé indice chiaro della percezione distorta di molti
soggetti politici delle regole del gioco, i quali leggono ed intendono le norme
come fondamento esattamente per gestire fatti “privati”, fatti propri. Dietro l’elemento
della “fiduciarietà” degli incarichi, si muove l’intento di gestire parti non
poco rilevanti della gestione pubblica, come si trattasse di questioni appunto
private.
Alcuni uffici, alcune cariche,
alcuni incarichi, sono considerati dagli organi di governo dotati del potere di
assegnarli, come esercizio puro e semplice di potere. In linea di teoria, nella
scienza amministrativa si parla anche di esercizio di “alta amministrazione”,
consistente nelle scelte discrezionali dei vertici politici dei soggetti da
preporre alle principali attività strategiche delle pubbliche amministrazioni
delle quali hanno la responsabilità.
Come noto, la Corte
costituzionale, con una giurisprudenza non del tutto convincente, riferendosi alla
dirigenza pubblica, non ammette lo spoil system per i dirigenti di “seconda fascia”
dello Stato o, comunque, per i dirigenti che nelle varie PA debbano svolgere funzioni
di diretta gestione operativa; ma, considera, invece, possibile e quasi inevitabile
lo spoil system per la dirigenza di prima fascia (segretari generali, direttori
generali, direttori di dipartimento), ritenendo costituzionalmente fondata la
circostanza che la scelta di detti dirigenti sia condizionata dalla loro “personale
adesione” alla linea politica della maggioranza di turno.
Ma, queste fessure aperte a
comprensibili esigenze che chi ha la responsabilità di esprimere un indirizzo
politico sia coadiuvato da chi tale indirizzo lo conosca e sia in grado di tradurlo
in norme e progetti operativi, si rivelano, poi, spazi per fraintendere la “personale
adesione” nel senso di giurata “appartenenza” e “discrezionalità” nel senso di
pieno arbitrio nello scegliere. Una scelta considerata come “fatto del principe”,
appunto privato, del quale non dare conto.
Sicchè la scelta può basarsi
sostanzialmente solo su “personale adesione” e “fiducia”, trascurando tutto il
resto: dalle modalità comunque da seguire per far accedere soggetti ad
incarichi pubblici, alla selezione fondata su titoli e competenze. Fino a
giungere al puro familismo o alla gestione di “clientes”, se non di affetti, da
compensare con incarichi.
Le crepe nel sistema divengono
voragini, se si passa dal già deleterio spoil system della dirigenza (che
genera, non di rado, incarichi fondati solo sulle tessere), alla gestione degli
uffici di staff.
In questo caso,
comprensibilmente, il Legislatore ha ampliato e di molto gli elementi di “fiduciarietà”
per la scelta dei principali collaboratori.
Ma, proprio la circostanza che
anche la selezione di chi va a formare gli “uffici di gabinetto” sia un
fenomeno regolato da norme sia di legge, sia regolamentari, evidenzia che non
si tratti per nulla di questioni private, bensì sempre e solo pubbliche, per
quanto private ed al limite dell’arbitrario possano essere poi i motivi per i
quali l’organo politico individui questa o quell’altra persona come collaboratore.
L’articolo 14, comma 2, del
d.lgs 165/2001 stabilisce che per l’esercizio delle funzioni di governo “il
Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive
competenze di supporto e di raccordo con l'amministrazione, istituiti e
disciplinati con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis,
della legge 23 agosto 1988, n. 400. A tali uffici sono assegnati, nei limiti
stabiliti dallo stesso regolamento: dipendenti pubblici anche in posizione di
aspettativa, fuori ruolo o comando; collaboratori assunti con contratti a tempo
determinato disciplinati dalle norme di diritto privato; esperti e consulenti
per particolari professionalità e specializzazioni con incarichi di
collaborazione coordinata e continuativa. Per i dipendenti pubblici si applica
la disposizione di cui all'articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997,
n. 127. Con lo stesso regolamento si provvede al riordino delle segreterie
particolari dei Sottosegretari di Stato. Con decreto adottato dall'autorità di
governo competente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
è determinato, in attuazione dell'articolo 12, comma 1, lettera n) della legge
15 marzo 1997, n. 59, senza aggravi di spesa e, per il personale disciplinato
dai contratti collettivi nazionali di lavoro, fino ad una specifica disciplina
contrattuale, il trattamento economico accessorio, da corrispondere
mensilmente, a fronte delle responsabilità, degli obblighi di reperibilità e di
disponibilità ad orari disagevoli, ai dipendenti assegnati agli uffici dei
Ministri e dei Sottosegretari di Stato. Tale trattamento, consistente in un unico
emolumento, è sostitutivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la
produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale. Con
effetto dall'entrata in vigore del regolamento di cui al presente comma sono
abrogate le norme del regio decreto legge 10 luglio 1924, n. 1100, e successive
modificazioni ed integrazioni, ed ogni altra norma riguardante la costituzione
e la disciplina dei gabinetti dei Ministri e delle segreterie particolari dei
Ministri e dei Sottosegretari di Stato”.
Leggi, regolamenti, decreti,
contratti collettivi, contratti individuali, trattamento economico fondamentale
ed accessorio, responsabilità, orario disagevoli, emolumenti. La trattazione
della gestione degli uffici di diretta collaborazione è ben lungi dal
consistere in una regolazione di “questioni private”.
La disposizione richiamata si
applica in via analogica anche al mondo degli enti locali, nel quale la costituzione
di uffici di staff è regolata dall’articolo 90 del d.lgs 267/2000, il cui comma
1 prevede: “Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può
prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco,
del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l'esercizio
delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge,
costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero, salvo che per gli enti dissestati o
strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo
determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono
collocati in aspettativa senza assegni”. Anche in questo caso tutto è “pubblico”,
lo spazio al “privato” è sostanzialmente nullo.
Il Dpcm 15
marzo 2024, n. 57, per altro, è il regolamento, uno tra i tanti di ciascun
singolo ministero, posto ad attuare le disposizioni dell’articolo 14 del d.lgs
165/2001, proprio per il Ministero della cultura.
E’ l’articolo 32 di tale
regolamento ad occuparsi degli uffici di diretta collaborazione. Il comma 1
specifica: “Gli uffici di diretta collaborazione esercitano le competenze di
supporto all'organo di direzione politica e di raccordo tra questo e le altre strutture dell'amministrazione, ai
sensi dell'articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, collaborando alla
definizione degli obiettivi, alla elaborazione
delle politiche pubbliche, alla
relativa valutazione e alle connesse
attività di comunicazione, con
particolare riferimento all'analisi
di impatto normativo, all'analisi
costi-benefici e alla congruenza fra obiettivi e risultati. Essi sono
costituiti nell'ambito del Gabinetto, il quale è centro di responsabilità
amministrativa, ai sensi dell'articolo 21, comma 2, della legge 31
dicembre 2009, n. 196”.
Visti gli alti fini della
funzione degli uffici di diretta collaborazione, appare molto difficile
ritenere che l’incarico di questo o quel componente risulti una questione “privata”.
Il successivo comma 4, oltre
tutto, specifica come dotare l’ufficio di diretta collaborazione, evidenziando
che la sua composizione a ben vedere non debba essere legata al caso: “Agli
Uffici di cui al comma 2, fatto salvo quanto
previsto per le Segreterie dei
Sottosegretari di Stato, è
assegnato personale dipendente
del Ministero e di altre amministrazioni pubbliche, enti, società in house, anche in posizione di
aspettativa, fuori ruolo o comando, ai sensi dell'articolo 17, comma
14, della legge 15 maggio 1997, n. 127, nel numero massimo
di cento
unità, comprensivo, in numero
non superiore a
venticinque, di esperti estranei
alla amministrazione assunti
con contratto a
tempo determinato o di collaborazione comunque
di durata non
superiore a quella
di permanenza in carica del Ministro, nel rispetto dei vincoli
imposti dagli stanziamenti di bilancio. Per i dipendenti di società in
house si applica l'art. 19, comma 9-bis, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175”. I soggetti ai quali
rivolgersi per inserirli nella struttura dell’ufficio di staff dovrebbero essere
“esperti”, cioè persone dotate di competenze chiare, evidenziabili e
dimostrabili, utili proprio al conseguimento degli alti fini degli uffici.
Proprio questa necessità
costituisce un primo limite, che dovrebbe essere invalicabile, alla scelta sia
pur ampiamente discrezionale dell’organo di governo: per quanto le ragioni alla
base della scelta del soggetto da incaricare possano esservi elementi “personali”,
financo privati, come la “personale adesione”, la “tessera”, la diuturna
conoscenza, persino la parentela o legami affettivi, dovrebbe in ogni caso
essere la qualità di “esperto” la costante irrinunciabile. L’amico fraterno, la
persona affidabile, nota, comprovata, se non “esperta” non potrebbe essere
incaricata.
In particolare, il comma 6 dell’articolo
32 del citato regolamento ministeriale è dedicato ai “consiglieri”: “Possono
inoltre essere chiamati a collaborare con gli Uffici di cui al comma 2, nei limiti degli
ordinari stanziamenti di
bilancio destinati al Gabinetto, fino a quindici Consiglieri, nonché' fino a
ulteriori quindici Consiglieri a titolo gratuito, salvo il
rimborso delle spese effettivamente sostenute, parametrate ai
limiti previsti dalla normativa vigente
in materia di trattamento di missione
e nel rispetto dei pertinenti
stanziamenti di bilancio. I Consiglieri
sono scelti tra esperti di particolare professionalità e
specializzazione nelle materie di
competenza del Ministero
e in quelle giuridico-amministrative ed
economiche, con incarichi
di collaborazione, di durata
comunque non superiore
rispetto alla permanenza in
carica del Ministro, ai sensi dell'articolo
14, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
A un massimo
di cinque dei trenta consiglieri di cui al presente comma può essere affidato l'incarico di
responsabile per l'attuazione
di specifici progetti. Il
Ministro, con il decreto con cui dispone l'incarico, da' atto dei requisiti di
particolare professionalità del Consigliere
e allega un suo dettagliato curriculum”.
Anche in questo caso, la norma
dispone vincoli sulla scelta, quindi non arbitraria: i consiglieri a loro volta
debbono essere “esperti”, ma non solo: debbono disporre anche di una
professionalità “particolare”, cioè di spicco e più alta della media, ed
inoltre dimostrare anche una “specializzazione” nell’ambito dell’incarico.
Insomma, i requisiti professionali richiesti, e da dimostrare nel provvedimento
di incarico, sono di assoluta eccellenza.
Sebbene la normativa non indichi
il metodo per reclutare questi soggetti, lasciando ampi margini proprio alla
discrezionalità, tuttavia gli incarichi avvengono per provvedimento pubblico,
con decreto ministeriale. Anche questo conferma che la questione è integralmente
pubblico. E ogni provvedimento amministrativo deve essere pubblico, accessibile
e motivato: la motivazione, nel caso di specie, deve dare conto del rispetto
del vincolo interno ad incaricare “esperti”, spiegando perché la persona
incaricata lo sia. E non si è esperti in quanto “persona di fiducia”, bensì
principalmente esperto ed eventualmente, ma in via del tutto accessoria, anche
persona conosciuta, di fiducia e con particolari legami.
E bisogna evidenziare che esiste
un altro vincolo, esterno, al potere di incaricare persone negli uffici di
staff: l’assenza delle cause di inconferibilità ed incompatibilità, previste
dal d.lgs 39/2013, una delle molte norme che compongono il complesso apparato
anti corruzione ed anti conflitto di interessi del pacchetto “Severino”. La
norma, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), si applica anche ai «componenti di
organi di indirizzo politico», intesi come “le persone che partecipano, in
via elettiva o di nomina, a organi di indirizzo politico delle amministrazioni
statali, regionali e locali, quali Presidente del Consiglio dei ministri,
Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario
del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400,
parlamentare, Presidente della giunta o Sindaco, assessore o consigliere nelle
regioni, nelle province, nei comuni e nelle forme associative tra enti locali,
oppure a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in
controllo pubblico, nazionali, regionali e locali”.
Le successive lettere spiegano
che:
“g) per «inconferibilità», la
preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli incarichi previsti dal
presente decreto a coloro che abbiano riportato condanne penali per i reati
previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, a coloro
che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato
regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività
professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati componenti di
organi di indirizzo politico;
h) per «incompatibilità»,
l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di scegliere, a pena
di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra la permanenza
nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di
diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che
conferisce l'incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero
l'assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico”.
Questi sono ulteriori elementi
che rendono pubblica qualsiasi vicenda di attribuzione di incarichi a soggetti
facenti parte degli uffici di diretta collaborazione e costituiscono elementi
della motivazione, perché occorre dare pubblicamente conto dell’inesistenza
delle cause indicate, ostative all’assegnazione dell’incarico.
A tale scopo, non ha alcun
rilievo la circostanza che l’incarico sia retribuito o a titolo gratuito. Gli
atti da adottare sono gli stessi, i regimi di pubblicità e motivazione anche:
semplicemente, non sarà da attivare la procedura per assumere l’impegno della
spesa pubblica connessa.
Come visto sopra, in ogni caso, ai
consiglieri incaricati a titolo gratuito va riconosciuto comunque “il rimborso delle spese effettivamente
sostenute, parametrate ai limiti
previsti dalla normativa vigente in materia di trattamento di
missione e nel rispetto dei pertinenti stanziamenti di
bilancio”: pertanto comunque si tratta di gestire una fonte di spesa, la
cui legittimità è da collegare:
1)
alla corretta attribuzione dell’incarico;
2)
alla connessione stretta della spesa con lo
svolgimento dell’incarico.
Ma non basta. A conferma che gli
incarichi negli staff sono questione certamente pubblica è anche il codice di
comportamento dei dipendenti pubblici, di cui al dPR 62/2013. Vero che un
consigliere incaricato come collaboratore non è un lavoratore subordinato e,
quindi, non è un dipendente di una PA. Ma l’articolo 2, comma 3, del dPR
62/2013 dispone: “Le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma
2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 estendono, per quanto
compatibili, gli obblighi di condotta previsti dal presente codice a tutti
i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e
a qualsiasi titolo, ai titolari di organi e di incarichi negli uffici
di diretta collaborazione delle autorità politiche, nonché nei confronti
dei collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e
che realizzano opere in favore dell’amministrazione. A tale fine, negli atti
di incarico o nei contratti di acquisizioni delle collaborazioni, delle
consulenze o dei servizi, le amministrazioni inseriscono apposite
disposizioni o clausole di risoluzione o decadenza del rapporto in caso di
violazione degli obblighi derivanti dal presente codice”.
Dunque, anche il collaboratore
nello staff politico deve rispettare il codice di comportamento, che deve
essere però espressamente richiamato e specificato:
a)
nel provvedimento di incarico;
b)
oppure nel contratto.
Segno che, sempre a smentita
dell’idea che possa trattarsi di vicende “private” il provvedimento pubblico di
assegnazione dell’incarico non possa mai mancare, anche perché costituisce il
titolo perché il consigliere incaricato o, comunque, l’addetto allo staff possa
poi svolgere i compiti assegnati.
Compiti che non necessariamente
consistono nel gestire procedimenti amministrativi: anzi, nel caso di
consiglieri è evidente che l’assenza di un rapporto organico con la PA,
nascente solo a seguito della sottoscrizione di un contratto di lavoro subordinato,
impedisca loro di svolgere funzioni gestionali ed operative: il consigliere,
appunto, consiglia, esprime, quindi, pareri, oppure suggerisce azioni, modi,
piani, strategie.
Il che, però, non impedisce al
consigliere di accedere ad informazioni, atti, documenti, di partecipare a
riunione. Il componente dello staff, insomma, pur non gestendo, comunque assume
ovviamente una serie di informazioni dall’interno e conosce per via diretta
fascicoli e dossier.
Per questo può influire e non
poco sulle scelte. Per questo deve rispettare, allora, le regole del codice di
comportamento: non accettare regali superiori ai limiti previsti (150 euro);
non può partecipare ad associazioni e organizzazioni in conflitto di interesse
con la PA, ad esempio perché ne ricavino sovvenzioni o contributi; deve
comunicare eventuali interessi finanziari in conflitto; deve astenersi su qualsiasi
dossier che possa coinvolgere anche indirettamente la propria sfera o quella di
parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di
persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di
soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o
grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di
soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente,
ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o
stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente.
Il dipendente, come anche il
collaboratore o il consigliere, ancora, “si astiene in ogni altro caso in
cui esistano gravi ragioni di convenienza”. Il che rende molto
problematico, come si può intuire, l’incarico in un ufficio di diretta
collaborazione connesso a rilevanti, quando non prevalenti, ragioni “private”;
il conflitto di interessi è dietro l’angolo e può derivare anche da rotture
impreviste e traumatiche della relazione privata di fiducia tra incaricante ed
incaricato.
Ai sensi dell’articolo 16, comma
1, del codice di comportamento, “La violazione degli obblighi previsti dal
presente Codice integra comportamenti contrari ai doveri d’ufficio. Ferme
restando le ipotesi in cui la violazione delle disposizioni contenute nel
presente Codice, nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di
prevenzione della corruzione, dà luogo anche a responsabilità penale,
civile, amministrativa o contabile del pubblico dipendente, essa è fonte di
responsabilità disciplinare accertata all’esito del procedimento disciplinare,
nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni”.
Ancora una volta, si nota che
nulla, in un incarico in uno staff, può essere “privato” e lasciato a prassi non
regolate e non controllabili.
Per questo, occorre che gli
incarichi siano formalizzati con provvedimenti, trasparenti e pubblici. Solo la
regolare costituzione almeno di un rapporto di servizio può dare titolo ad entrare
nelle sedi di una PA, a partecipare alle riunioni ed alle occasioni ufficiali,
a conoscere i dossier e trattare quanto di competenza, ad effettuare missioni
rimborsabili nelle quali esprimere idee ed azioni per conto della PA, a
rispondere della violazione di regole di comportamento, di segretezza, di
prevenzione di conflitti di interessi.
Le recenti vicende dimostrano l’esistenza
di ampie falle nel sistema di regolazione e gestione degli incarichi negli uffici
di staff degli organi di governo. La “fiducia” e la “personale adesione”
prendono il sopravvento sulla qualità di esperto dotato di particolari
competenze e specializzazione; le ragioni delle scelte restano oscure; i
trattamenti economici regolati sommariamente; le regole operative da seguire,
come per esempio il divieto di trattare direttamente procedimenti
amministrativi, infrante in continuazione; l’assunzione delle responsabilità
proprie comunque di ogni soggetto che svolga attività a beneficio di un PA ai
sensi del pacchetto anticorruzione, messa sullo sfondo.
Il tutto, proprio perché è fino
troppo diffusa e troppo profonda l’idea di chi sia chiamato a svolgere funzioni
di governo che si gestisca la PA “come un’azienda”, come un “affare privato”, senza
che controlli interni, di apparati amministrativi soggetti a spoil system e
quindi deboli ed assertivi, possano funzionare per prevenire ed indirizzare, ed
in totale assenza di un qualsiasi controllo esterno volto a fare da seria
deterrenza all’idea che la gestione del potere comporti indiscriminato arbitrio.
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