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mercoledì 4 settembre 2024

Il consigliere "fantasma" del Ministro della cultura: caso per nulla isolato che conferma 30 anni di norme deleterie per la PA #Boccia #Sangiuliano

 La vicenda del Ministro della cultura e della consulente fantasma non dovrebbe risultare utile ad insegnare quali siano le molte, troppe, storture della normativa sugli incarichi di lavoro autonomo nella PA, ma utile per confermare quanto esiziali siano le norme prodotte dal 1993, anno della “riforma Cassese”, passando dal biennio 1997-1998, epoca delle esiziali riforme Bassanini, per poi procedere con le riforme di altri inquilini di Palazzo Vidoni, tutte indirizzate a fare della PA un mercato di piazza di incaricati, consulenti, consiglieri, segretari particolari: Frattini, Nicolais, Brunetta, Madia, senza soluzioni di continuità, senza mai rimedio alcuno ad un sistema che fa acqua da tutte le parti.

Di vicende identiche, o molto simili, a quella attualmente agli onori della cronaca, ve ne sono migliaia, reperibili negli enti locali, nelle regioni, nelle società partecipate soggette comunque a regole pubblicistiche della disciplina dei rapporti di lavoro autonomo.

Qualsiasi componente di organo di governo di qualsiasi livello, appena insediato immediatamente ritiene che sia consustanziale al proprio “potere” nominare, incaricare, qualcuno: passando da nomine ed incarichi istituzionali, a incarichi i più disparati a frotte di consiglieri e consulenti. Senza quasi mai alcuna selezione effettiva, sulla base dell’appartenenza o spesso realmente di soli specifici individualissimi rapporti personali.

Quando negli anni ’90 si è attuato l’articolo 97 della Costituzione e il principio ivi indirettamente posto della distinzione tra le funzioni politiche e di governo, da quelle gestionali, qualcuno ebbe modo di pensare che dal “governo degli atti”, si dovesse passare al “governo degli uomini”: il ministro, il sindaco, il presidente di regione, che non può più adottare direttamente l’atto amministrativo o la decisione concreta, diviene assegnatario del potere di nominare e incaricare, almeno parte delle compagini di vertice.

Non solo si istituì il deleterio spoil system all’italiana, col quale rilevanti parti dei vertici dirigenziali si selezionano senza concorso ma per l’esiziale “personale adesione” alle politiche della maggioranza; in più si sono allargate all’infinito le maglie di nomine ed incarichi in uffici di gabinetto, di progetto e per consiglieri di ogni genere: da quello giuridico a quello economico, a quello tecnico, a quello per l’immagine, a quello per i rapporti con i social (gli uffici stampa erano da anni caratterizzati da questo “mercato nel tempio”), all’utilizzatissimo consulente per l’organizzazione “di eventi”.

Dovrebbe risultare chiaro da anni e da sempre che i casi, quando emergono, sono solo la piccolissima punta di un icerberg, che nella parte sommersa è di enormi dimensioni.

Incarichi assegnati senza selezione, senza verificare titoli e competenze, senza nessun genere di riferimento per definire gli importi dei compensi. Senza nessuna trasparenza sul perché, sul come e sul quando. Le regole anticorruzione fanno acqua da tutte le parti.

Si è pensato che la “fiducia”, parola e concetto presente nella Costituzione solo per la disciplina dei rapporti tra Parlamento e Governo, fosse la formula magica per garantire che la nomina, l’incarico, la consulenza, il counselling, fossero utili, necessari, opportuni, congrui. Ma, purtroppo, proprio il caso attualmente agli onori della cronaca dimostra l’opposto: una persona incaricata in maniera opaca, forse per nulla incaricata, violando qualsiasi regola di “fiducia”, pubblica atti e documenti, azione che sarebbe del tutto inibita a un dipendente pubblico o ad un consulente “vero”, abilitato a trattare dossier e questioni solo dopo e non prima della formalizzazione di un incarico, chiaro nella spesa, nei modi e nei limiti e, soprattutto, soggetto alle regole del dPR 62/2013, il “codice di comportamento” dei dipendenti pubblici, che però va applicato anche a qualsiasi soggetto che riceva appalti, commesse e consulenze dalla PA.

Paradossalmente, il consulente incaricato non si sa come, non si sa con quale atto, non si sa con quale spesa o proprio per nulla incaricato, ma presente negli uffici e messo nelle condizioni di acquisire documenti e registrare immagini e audio, proprio per il fatto di non aver sottoscritto alcun contratto, di non aver sottoscritto nessun impegno anticorruzione e anti conflitto di interessi, sfugge a qualsiasi possibile reazione di autorità competenti, come l’Anac, per quanto debole e sfocata possa essere tale “reazione”.

Dovrebbe risultare da simili macerie che questo sistema ormai ultra trentennale, va chiuso. Basta con lo spoil system sconsiderato; basta con la “fiducia”; basta con consiglieri e consulenti incaricati senza alcuna selezione plausibile; basta con la creazione di apparati burocratici amministrativi e paralleli, composti da soggetti che proprio per la loro “personale adesione”, si guardano bene dal contraddire, dal suggerire strade più corrette. Il travisamento del principio del “risultato”, tragicamente enunciato nel codice degli appalti, fa ormai apparire che tutto è lecito per raggiungere un fine, anche l’inutile, anche l’abborracciato, anche il costoso, anche l’inopportuno.

La parola “basta” a tutto ciò, però, da anni e da sempre non è stata pronunciata, né lo sarà mai: cambiano le maggioranze, ma gli appetiti dei componenti restano sempre uguali: nominare, incaricare il consulente, il consigliere, l’esperto, il tecnico, il manager, in una spirale deleteria, senza fine.

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