Lo strano caso dell’offerta
economicamente più vantaggiosa e dell’autonomia “collaborativa” dell’Anac
Le dichiarazioni del Presidente
dell’Anac, Raffaele Cantone, raccolte in un suo intervento a un convegno di
Confindustria e riportate da Il Fatto Quotidiano edizione on line del 19 maggio
scorso, nell’articolo “Codice appalti,
Cantone: “Sono preoccupato, sento sentenze di morte. Tutti rimpiangono il
massimo ribasso”” inducono ad una serie di riflessioni.
Il Presidente dell’Anac inizia
con un’esortazione: “Sono molto
preoccupato in questa fase di come sta avvenendo il recepimento del codice. C’è
un clima surreale. C’è già chi sta dando sentenze sicure, sentenze di morte
inappellabili, in un Paese in cui non esiste la pena di morte”. Le sentenze
riguardano, è chiaro, il Codice dei contratti, che già qualcuno evidentemente
critica a fondo (per prima l’Ance), perché è all’evidenza di tutti che contiene
una serie di errori e di norme oscure.
Sarà probabilmente vero che “condannare
a morte” il d.lgs 50/2016 “in contumacia” è forse intempestivo, ma nel
ragionamento del dott. Cantone qualcosa non quadra. Infatti, l’articolo de Il
Fatto prosegue attribuendogli questa successiva dichiarazione: “Chiedo a tutti un attimo di calma Abbiamo un
codice appena uscito da un mese, mentre il precedente ci ha messo 4 anni”.
Dunque, il vertice Anac invita
alla prudenza e ad aspettare, evidenziando la velocità con la quale il nuovo
codice è stato approvato, ben prima dei 4 anni che furono necessari prima che
vedesse la luce il d.lgs 163/2006.
E’ lecito chiedersi, però, se l’obiettivo
di Parlamento e Governo, nel recepire col codice le direttive europee era fare
in fretta o produrre un codice ben fatto, capace di eliminare le molte storture
ed i problemi della precedente normativa.
Oggettivamente, la circostanza
che si siano fatte le corse per riuscire ad approvare il codice entro la
scadenza fissata dalla direttiva 24/2014/Ue, senza per altro nemmeno riuscirvi
sia pure per un solo giorno, sul piano dell’efficacia e della valutazione
strettamente tecnica del codice, non ha nessun tipo di rilievo.
Le norme, ma questo il
Presidente dell’Anac, non vanno certo interpretate ed applicate in funzione
della velocità con la quale sono approvate, ma in virtù dei loro contenuti. I
problemi derivano, dunque, dalla qualità di questi contenuti e non dai record
su pista di chi scrive i codici, per quanto, in questa “nuova era” appaia
sempre di più che il valore consista nella “velocità” in un afflato futurista,
alla Marinetti: sicchè, conta il “fare” e farlo velocemente, anche se, poi, nel
caso delle leggi, molte volte ci si ritrova davvero di fronte a scritti che, in
quanto a chiarezza, non vanno molto oltre lo “zang zang tumb tumb”.
Se si trattasse di scritti
letterari, andrebbe anche bene. Il problema è che le norme dovrebbero regolare
in modo chiaro e definito le regole del convivere civile. Qualcuno azzarderebbe
a dire che si dovrebbe garantire la “certezza del diritto”. Ma, forse,
rischierebbe di apparire un “purista del diritto”, cioè quella categoria di
soggetti che il Presidente Cantone ha nei mesi scorsi criticato, perché hanno
storto un po’ il naso di fronte all’idea di completare la regolazione degli
appalti attraverso l’indefinito cloud
(qualche parola moderna la può usare anche chi, da vintage resta attaccato al purismo) della soft law.
L’articolo de Il Fatto riporta
un’ulteriore dichiarazione di Cantone: “Le
critiche sono il frutto di una scarsa conoscenza di questo codice. Ci sono anche
norme scritte male ma in questo codice c’è un impianto coraggioso”.
Dunque, la sentenza del
Presidente dell’Anac sul tema delle critiche al Codice contiene due capi:
1)
chi critica lo
fa perché non conosce il codice, misconoscendo il coraggio di chi lo ha
scritto;
2)
ci sono norme scritte male.
Prendiamo atto di essere
iscritti d’ufficio tra coloro che, poiché esprimono alcune valutazione di
perplessità sul Codice autocertificano di non conoscerlo: questo ci consente di
essere scusati in partenza per gli errori commessi nel commentarlo in chiave
critica.
Ma, è il secondo punto quello
che interessa: “ci sono norme scritte male”. Ed è vero. Tanto è vero che si sta
già lavorando ad un “correttivo” al d.lgs 50/2016, del quale, qua occorre
dirlo, stupisce davvero la velocità: quasi non si è fatto in tempo a “varare”
il codice, che già lo si deve correggere.
Osserveremmo, ma questo non
farebbe altro che confermare la nostra scarsa conoscenza del Codice, che l’ammissione
che vi sono norme scritte male e la corsa al decreto correttivo, dovrebbe
essere la conferma che nonostante la grande velocità e l’encomiabile coraggio
nello scriverlo, proprio tutto tutto, nel codice bene non va.
Forse, allora, qualche rilievo
critico potrebbe essere utile ad aiutare a “scovare” le norme scritte, se non
lo si prendesse necessariamente come una sentenza di condanna a morte del
Codice, al netto della circostanza che, sempre forse, un minimo di libera
espressione del pensiero e di critica male non fa.
Un altro spunto interessante che
propone l’articolo riguarda un’ulteriore dichiarazione del vertice Anac: “C’è una lamentazione eccessiva sull’offerta
più vantaggiosa: tutti prima erano contro il massimo ribasso e ora tutti lo
rimpiangono”.
Come si sa, coloro che il Codice
lo conoscono bene e, di conseguenza, ne parlano solo bene, nella loro agiografia
hanno esaltato la decisione di rendere il criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa come quello principale, subordinando il criterio del massimo
ribasso.
Questo, affermano i conoscitori,
dovrebbe migliorare l’efficienza degli appalti e metterli meglio al riparo dai
pericoli di corruzione.
L’Ance, come si diceva, ma non
solo, ha mosso una serie di rilievi nei confronti di questa decisione (che per
altro in effetti lascia per strada l’80% circa delle gare, quelle di valore
inferiore al milione di euro, per le quali sarà ancora consentito il massimo
ribasso). Le ragioni critiche riguardano l’aggravio procedimentale connesso
alla complessità del criterio, ma anche l’incoerenza con le direttive europee che
prevedono la possibilità di limitare il massimo ribasso solo a specifiche
tipologie appalti o a certe stazioni appaltanti, ma non in riferimento al
valore delle basi di gara.
Ancora, il favore verso l’offerta
economicamente più vantaggiosa appare certamente contrastare con l’altro
elemento considerato “cardine”: l’obbligatorietà di affidare gli appalti sulla
base del solo progetto esecutivo: è evidente che in presenza di un progetto
esecutivo rispondente alle indicazioni di legge, non residuano eccessivi spazi
per un apporto “migliorativo” o “qualitativo” da parte delle imprese, in sede
di offerta economicamente più vantaggiosa.
Che il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, poi, di per sé possa considerarsi come un “baluardo”
contro la corruzione appare oggettivamente controverso. Sicuramente di questo è
convinto, oggi, il Presidente dell’Anac. Non ne era affatto persuaso, però, l’Avcp,
poi confluita nell’Anac, solo 5 anni fa. Infatti, nell’introduzione del Quaderno
“Il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa” del
dicembre 2011, a cura dell’Avcp, si legge: “Alcuni
fenomeni di corruzione verificatisi agli inizi degli anni ’90 provocarono il
forte irrigidimento della normativa sui rapporti contrattuali tra enti pubblici
e privati. Infatti, con l’emanazione della legge quadro sui lavori pubblici nel
1994 (legge 109/1994, cd “legge Merloni”) si è cercato di limitare il più
possibile la discrezionalità dell’amministrazione a tutti i livelli del procedimento,
sia per quanto riguarda le procedure di aggiudicazione, con la previsione del divieto
dell’utilizzo della procedura negoziata per gli appalti di importo superiore a
300.000 euro, sia con riferimento ai criteri di aggiudicazione, prevedendo per
gli appalti di importo inferiore alla soglia Comunitaria, quale unico criterio
adottabile, quello del prezzo più basso”.
Ciò in considerazione dell’abuso
cui si presta questo criterio, che consente i cosiddetti “bandi fotografia”, la
possibilità, cioè, di predeterminare requisiti di offerta posti a consentire di
predeterminare il vincitore. Un sistema, questo, del quale negli anni ’80 e ’90
dello scorso secolo si fece larghissimo uso.
Ma, in tempi più recenti, cosa
si è detto, prendendo in esame il tema anticorruzione? “Particolarmente critica risulta la fase dell’aggiudicazione, caratterizzata
dall’accresciuta discrezionalità tecnica dell’amministrazione appaltante, in
ragione della reintroduzione del criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa e della previsione della valutazione dell’anomalia dell’offerta”.
Si tratta di una valutazione sul criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa tratta dal quaderno “La
corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione”, studio preliminare
curato dal Dipartimento della Funzione Pubblica nel 2013 in vista dell’approvazione
del Piano Nazionale Anticorruzione.
E cosa ne dice l’Anac presieduta
da Cantone dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’aggiornamento al
Piano Nazionale Anticorruzione del 2015? Ecco: “nella fase di progettazione della gara, potrebbe essere utile per il
RPC conoscere il numero di affidamenti fatti in un determinato arco temporale
che hanno utilizzato come criterio di scelta quello dell’offerta economicamente
più vantaggiosa (OEPV). Sebbene, infatti, questo criterio troverà uno spazio
sempre maggiore con l’introduzione delle nuove direttive, esso presenta un più
elevato rischio di discrezionalità rispetto al criterio del prezzo più basso”.
Insomma, verrebbe da pensare che
sulla funzione di per sé anticorruttiva dell’offerta economicamente più
vantaggiosa in tempi non sospetti più di un autorevole soggetto ha espresso
perplessità non dissimili da quelle oggi manifestate da chi commenta il nuovo
codice. Il che, forse, dovrebbe consigliare un atteggiamento meno radicalmente
di opposizione a dette critiche, volto a considerare che l’obbligo dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, in presenza di progetti esecutivi ben
dettagliati e correttamente disposti, oggettivamente non si concilia, come del
resto ha più volte sottolineato la giurisprudenza (forse troppo purista)
amministrativa.
In ultimo: va benissimo che il
Presidente dell’Anac esprima le proprie idee sul Codice. Tuttavia, c’è una cosa
da chiarire. L’Anac è un’autorità “indipendente”, per la quale, quindi, il
Codice altro non è se non uno strumento. Se è giusto, allora, che il Presidente
commenti il Codice, senza indulgere a critiche preconcette, altrettanto è
corretto aspettarsi che non inneschi polemiche nei confronti di chi esprime
critiche più pronunciate, soprattutto visto che il Codice richiede dei
correttivi che il Governo si appresta ad approvare.
L’indipendenza dell’Anac è
fondamentale, proprio affinchè il Codice sia appunto uno strumento e non un
elemento di propaganda né contro, né pro questo o quel Governo, questo o quel redattore del testo.
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