venerdì 20 maggio 2016

Serviva un Codice dei contratti fatto bene o fatto in fretta?


Lo strano caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa e dell’autonomia “collaborativa” dell’Anac

Le dichiarazioni del Presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, raccolte in un suo intervento a un convegno di Confindustria e riportate da Il Fatto Quotidiano edizione on line del 19 maggio scorso, nell’articolo “Codice appalti, Cantone: “Sono preoccupato, sento sentenze di morte. Tutti rimpiangono il massimo ribasso”” inducono ad una serie di riflessioni.

Il Presidente dell’Anac inizia con un’esortazione: “Sono molto preoccupato in questa fase di come sta avvenendo il recepimento del codice. C’è un clima surreale. C’è già chi sta dando sentenze sicure, sentenze di morte inappellabili, in un Paese in cui non esiste la pena di morte”. Le sentenze riguardano, è chiaro, il Codice dei contratti, che già qualcuno evidentemente critica a fondo (per prima l’Ance), perché è all’evidenza di tutti che contiene una serie di errori e di norme oscure.
Sarà probabilmente vero che “condannare a morte” il d.lgs 50/2016 “in contumacia” è forse intempestivo, ma nel ragionamento del dott. Cantone qualcosa non quadra. Infatti, l’articolo de Il Fatto prosegue attribuendogli questa successiva dichiarazione: “Chiedo a tutti un attimo di calma Abbiamo un codice appena uscito da un mese, mentre il precedente ci ha messo 4 anni”.
Dunque, il vertice Anac invita alla prudenza e ad aspettare, evidenziando la velocità con la quale il nuovo codice è stato approvato, ben prima dei 4 anni che furono necessari prima che vedesse la luce il d.lgs 163/2006.
E’ lecito chiedersi, però, se l’obiettivo di Parlamento e Governo, nel recepire col codice le direttive europee era fare in fretta o produrre un codice ben fatto, capace di eliminare le molte storture ed i problemi della precedente normativa.
Oggettivamente, la circostanza che si siano fatte le corse per riuscire ad approvare il codice entro la scadenza fissata dalla direttiva 24/2014/Ue, senza per altro nemmeno riuscirvi sia pure per un solo giorno, sul piano dell’efficacia e della valutazione strettamente tecnica del codice, non ha nessun tipo di rilievo.
Le norme, ma questo il Presidente dell’Anac, non vanno certo interpretate ed applicate in funzione della velocità con la quale sono approvate, ma in virtù dei loro contenuti. I problemi derivano, dunque, dalla qualità di questi contenuti e non dai record su pista di chi scrive i codici, per quanto, in questa “nuova era” appaia sempre di più che il valore consista nella “velocità” in un afflato futurista, alla Marinetti: sicchè, conta il “fare” e farlo velocemente, anche se, poi, nel caso delle leggi, molte volte ci si ritrova davvero di fronte a scritti che, in quanto a chiarezza, non vanno molto oltre lo “zang zang tumb tumb”.
Se si trattasse di scritti letterari, andrebbe anche bene. Il problema è che le norme dovrebbero regolare in modo chiaro e definito le regole del convivere civile. Qualcuno azzarderebbe a dire che si dovrebbe garantire la “certezza del diritto”. Ma, forse, rischierebbe di apparire un “purista del diritto”, cioè quella categoria di soggetti che il Presidente Cantone ha nei mesi scorsi criticato, perché hanno storto un po’ il naso di fronte all’idea di completare la regolazione degli appalti attraverso l’indefinito cloud (qualche parola moderna la può usare anche chi, da vintage resta attaccato al purismo) della soft law.
L’articolo de Il Fatto riporta un’ulteriore dichiarazione di Cantone: “Le critiche sono il frutto di una scarsa conoscenza di questo codice. Ci sono anche norme scritte male ma in questo codice c’è un impianto coraggioso”.
Dunque, la sentenza del Presidente dell’Anac sul tema delle critiche al Codice contiene due capi:
1)       chi critica lo fa perché non conosce il codice, misconoscendo il coraggio di chi lo ha scritto;
2)      ci sono norme scritte male.
Prendiamo atto di essere iscritti d’ufficio tra coloro che, poiché esprimono alcune valutazione di perplessità sul Codice autocertificano di non conoscerlo: questo ci consente di essere scusati in partenza per gli errori commessi nel commentarlo in chiave critica.
Ma, è il secondo punto quello che interessa: “ci sono norme scritte male”. Ed è vero. Tanto è vero che si sta già lavorando ad un “correttivo” al d.lgs 50/2016, del quale, qua occorre dirlo, stupisce davvero la velocità: quasi non si è fatto in tempo a “varare” il codice, che già lo si deve correggere.
Osserveremmo, ma questo non farebbe altro che confermare la nostra scarsa conoscenza del Codice, che l’ammissione che vi sono norme scritte male e la corsa al decreto correttivo, dovrebbe essere la conferma che nonostante la grande velocità e l’encomiabile coraggio nello scriverlo, proprio tutto tutto, nel codice bene non va.
Forse, allora, qualche rilievo critico potrebbe essere utile ad aiutare a “scovare” le norme scritte, se non lo si prendesse necessariamente come una sentenza di condanna a morte del Codice, al netto della circostanza che, sempre forse, un minimo di libera espressione del pensiero e di critica male non fa.
Un altro spunto interessante che propone l’articolo riguarda un’ulteriore dichiarazione del vertice Anac: “C’è una lamentazione eccessiva sull’offerta più vantaggiosa: tutti prima erano contro il massimo ribasso e ora tutti lo rimpiangono”.
Come si sa, coloro che il Codice lo conoscono bene e, di conseguenza, ne parlano solo bene, nella loro agiografia hanno esaltato la decisione di rendere il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa come quello principale, subordinando il criterio del massimo ribasso.
Questo, affermano i conoscitori, dovrebbe migliorare l’efficienza degli appalti e metterli meglio al riparo dai pericoli di corruzione.
L’Ance, come si diceva, ma non solo, ha mosso una serie di rilievi nei confronti di questa decisione (che per altro in effetti lascia per strada l’80% circa delle gare, quelle di valore inferiore al milione di euro, per le quali sarà ancora consentito il massimo ribasso). Le ragioni critiche riguardano l’aggravio procedimentale connesso alla complessità del criterio, ma anche l’incoerenza con le direttive europee che prevedono la possibilità di limitare il massimo ribasso solo a specifiche tipologie appalti o a certe stazioni appaltanti, ma non in riferimento al valore delle basi di gara.
Ancora, il favore verso l’offerta economicamente più vantaggiosa appare certamente contrastare con l’altro elemento considerato “cardine”: l’obbligatorietà di affidare gli appalti sulla base del solo progetto esecutivo: è evidente che in presenza di un progetto esecutivo rispondente alle indicazioni di legge, non residuano eccessivi spazi per un apporto “migliorativo” o “qualitativo” da parte delle imprese, in sede di offerta economicamente più vantaggiosa.
Che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, poi, di per sé possa considerarsi come un “baluardo” contro la corruzione appare oggettivamente controverso. Sicuramente di questo è convinto, oggi, il Presidente dell’Anac. Non ne era affatto persuaso, però, l’Avcp, poi confluita nell’Anac, solo 5 anni fa. Infatti, nell’introduzione del Quaderno “Il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa” del dicembre 2011, a cura dell’Avcp, si legge: “Alcuni fenomeni di corruzione verificatisi agli inizi degli anni ’90 provocarono il forte irrigidimento della normativa sui rapporti contrattuali tra enti pubblici e privati. Infatti, con l’emanazione della legge quadro sui lavori pubblici nel 1994 (legge 109/1994, cd “legge Merloni”) si è cercato di limitare il più possibile la discrezionalità dell’amministrazione a tutti i livelli del procedimento, sia per quanto riguarda le procedure di aggiudicazione, con la previsione del divieto dell’utilizzo della procedura negoziata per gli appalti di importo superiore a 300.000 euro, sia con riferimento ai criteri di aggiudicazione, prevedendo per gli appalti di importo inferiore alla soglia Comunitaria, quale unico criterio adottabile, quello del prezzo più basso”.
Ciò in considerazione dell’abuso cui si presta questo criterio, che consente i cosiddetti “bandi fotografia”, la possibilità, cioè, di predeterminare requisiti di offerta posti a consentire di predeterminare il vincitore. Un sistema, questo, del quale negli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo si fece larghissimo uso.
Ma, in tempi più recenti, cosa si è detto, prendendo in esame il tema anticorruzione? “Particolarmente critica risulta la fase dell’aggiudicazione, caratterizzata dall’accresciuta discrezionalità tecnica dell’amministrazione appaltante, in ragione della reintroduzione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e della previsione della valutazione dell’anomalia dell’offerta”. Si tratta di una valutazione sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa tratta dal quaderno “La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione”, studio preliminare curato dal Dipartimento della Funzione Pubblica nel 2013 in vista dell’approvazione del Piano Nazionale Anticorruzione.
E cosa ne dice l’Anac presieduta da Cantone dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’aggiornamento al Piano Nazionale Anticorruzione del 2015? Ecco: “nella fase di progettazione della gara, potrebbe essere utile per il RPC conoscere il numero di affidamenti fatti in un determinato arco temporale che hanno utilizzato come criterio di scelta quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV). Sebbene, infatti, questo criterio troverà uno spazio sempre maggiore con l’introduzione delle nuove direttive, esso presenta un più elevato rischio di discrezionalità rispetto al criterio del prezzo più basso”.
Insomma, verrebbe da pensare che sulla funzione di per sé anticorruttiva dell’offerta economicamente più vantaggiosa in tempi non sospetti più di un autorevole soggetto ha espresso perplessità non dissimili da quelle oggi manifestate da chi commenta il nuovo codice. Il che, forse, dovrebbe consigliare un atteggiamento meno radicalmente di opposizione a dette critiche, volto a considerare che l’obbligo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in presenza di progetti esecutivi ben dettagliati e correttamente disposti, oggettivamente non si concilia, come del resto ha più volte sottolineato la giurisprudenza (forse troppo purista) amministrativa.
In ultimo: va benissimo che il Presidente dell’Anac esprima le proprie idee sul Codice. Tuttavia, c’è una cosa da chiarire. L’Anac è un’autorità “indipendente”, per la quale, quindi, il Codice altro non è se non uno strumento. Se è giusto, allora, che il Presidente commenti il Codice, senza indulgere a critiche preconcette, altrettanto è corretto aspettarsi che non inneschi polemiche nei confronti di chi esprime critiche più pronunciate, soprattutto visto che il Codice richiede dei correttivi che il Governo si appresta ad approvare.
L’indipendenza dell’Anac è fondamentale, proprio affinchè il Codice sia appunto uno strumento e non un elemento di propaganda né contro, né pro questo o quel Governo, questo o quel redattore del testo.



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