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lunedì 7 marzo 2022

Altro che "paura della firma". La PA adotta decisioni troppo avventate perchè mancano i controlli

 

Come volevasi dimostrare, nella Pubblica Amministrazione non si pone un problema di “paura della firma”, bensì dell’opposta “paura di non firmare” o “eccessiva disinvoltura nel firmare”.

La cartina di tornasole del fenomeno è data in modo molto evidente dalla sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Toscana 3 marzo 2022, n. 39, che ha accertato il danno erariale prodotto dal sindaco del comune di Firenze ed alcuni dirigenti, connesso all’assunzione nello staff del sindaco, con inquadramento e retribuzione da dirigenti, di due addetti entrambi privi di laurea (requisito necessario per l’inquadramento e, all’epoca, per la retribuzione dirigenziale), uno dei quali col solo titolo del diploma di scuola superiore e l’altro col solo titolo della terza media.

Occorre un’avvertenza: all’epoca delle assunzioni considerate fonte di danno erariale dalla sentenza, non era ancora stata introdotto nell’articolo 90 del Tuel il comma 3-ter che oggi consente di assumere negli staff degli organi di governo dipendenti anche privi di qualsiasi titolo di studio minimo necessario agli inquadramenti contrattuali, attribuendo comunque loro stipendi commisurati a quelli dirigenziali: una toppa che si è messa al buco dei tantissimi incarichi negli staff pagati come dirigenti a persone prive dei necessari titoli. Ma, una toppa, tuttavia, operante non in modo retroattivo, bensì solo per il futuro, come spiegato in modo esauriente ed incontrovertibile dalla sezione Toscana.

Per inquadrare esattamente la situazione, paiono illuminanti le difese delle parti convenute, sintetizzate nella sentenza.

In particolare, il motivo di difesa fondamentale è consistito nell’interpretazione secondo la quale la figura del dipendente in staff del sindaco quale collaboratore inquadrato in base all’articolo 90 del d.lg 267/2000 presenterebbe “caratteristiche di natura fiduciaria”, sicché risulterebbe “non conferente la richiesta del possesso di titoli equiparabili a quelli previsti per le qualifiche dirigenziali. In sostanza, le figure descritte dall’articolo 90 comprenderebbero collaboratori privi di rapporti con l’apparato burocratico, svincolati dalla normativa di disciplina di tale materia e dai relativi requisiti. Quindi, secondo tale prospettazione, l’ordinamento degli enti locali consentirebbe un’attribuzione di incarichi sostanzialmente svincolata dal possesso di specifici requisiti di carattere culturale”.

Le difese, in particolare del dirigente nei confronti del quale la sentenza ha pronunciato la parte più rilevante del danno, insistono molto, poi, sull’affidamento sulla correttezza degli atti di competenza degli organi di governo coinvolti e su “l’oggettiva incertezza” del quadro normativo.

Questi sono i punti principali sui quali soffermarsi. E’ chiara e lampante la circostanza di fatto: il sindaco aveva un particolare rapporto di personale fiducia e confidenza nei confronti delle due persone poi incaricate nel suo staff. Di conseguenza, in applicazione dell’articolo 90 del d.lgs 267/2000, il sindaco ha sicuramente attivato il processo finalizzato all’assunzione di costoro, nonostante non dovesse essergli ignota la carenza dei requisiti soggettivi, cioè dei titoli di studio, necessari per ottenere stipendio e qualifica dirigenziale. Comunque, anche non fosse stato nella cognizione di chi aveva assunto l’iniziativa di assumere i due interessati che essi erano privi di laurea, ciò non poteva non emergere nell’ambito dell’istruttoria connessa.

La quale è stata, tuttavia, condotta, come evidenzia la sentenza, dando per scontata la correttezza dell’iniziativa del sindaco (e della giunta) e ritenendo che l’ordinamento fosse caratterizzato da un’oggettiva incertezza sulla necessità che per l’inquadramento come dirigente la laurea dovesse essere requisito fondamentale.

Tuttavia, nonostante questa presunta “oggettiva incertezza” messa in luce dalle difese, il dirigente ha agito esattamente come se di incertezze non ve ne fossero per nulla.

Analizziamo la sentenza. Essa mette in evidenza alcuni aspetti irrinunciabili delle assunzioni in staff, disciplinate dall’articolo 90 del Tuel; tra esse la necessaria “costituzione del rapporto con contratto di lavoro subordinato, sia pure a tempo determinato (Sezione giurisdizionale regionale per l’Emilia-Romagna, 3 dicembre 2014, n. 165), anche per evitare lo sfruttamento delle energie lavorative da parte del datore pubblico a danno del collaboratore, soggetto meritevole di tutela pur se incardinato in assenza di una procedura concorsuale”.

In effetti, il comma 2 dell’articolo 90 dispone: “Al personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali”. Occorre, allora, chiedersi quale “oggettiva incertezza” sarebbe stata ricavabile nell’ordinamento: se i dipendenti in staff sono da assumere con contratto di lavoro subordinato al quale applicare le regole del Ccnl, la situazione è di una chiarezza cristallina: l’inquadramento dirigenziale sarebbe stato lecito solo a condizione di possedere i titoli necessari per l’accesso alla dirigenza.

Nè l’eventuale pregressa esperienza è utile allo scopo, come accertato da ampia giurisprudenza, citata dalla sentenza della Sezione Toscana: “Come affermato dalla giurisprudenza contabile (Sezione giurisdizionale regionale per il Veneto, 20 novembre 2019, n. 182) ai sensi dell’articolo 40 del decreto legislativo n. 150 del 2009la “particolare specializzazione professionale” che è requisito per l’attribuzione dell’incarico, infatti, deve essere comprovata “dalla formazione universitaria e postuniversitaria, post universitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro…”. Requisito culturale e di esperienza lavorativa dunque, non possono in alcun modo essere ritenuti, anche solo sulla base della littera legis, alternativi tra loro, ma debbono, coerentemente con la ratio legis, sussistere congiuntamente.

Anche allargando l’istruttoria all’esame delle norme del d.lgs 165/2001 e alla giurisprudenza, quindi, non sarebbe dovuta emergere proprio nessuna incertezza, né oggettiva, né soggettiva.

Cosa è accaduto, nella realtà? Lo spiega molto bene la sentenza: “il complesso e farraginoso procedimento seguito per il conferimento degli incarichi disvela in realtà la volontà di attribuire il citato e cospicuo emolumento in modo sostanzialmente derogatorio rispetto ai meccanismi normativamente previsti, evidentemente al fine di valorizzare la pregressa sussistenza di un rapporto fiduciario con il conferente”.

Detto in parole più semplici: si è verificato per l’ennesima volta il perverso meccanismo secondo il quale l’organo di governo pretende un certo risultato, chiedendo all’apparato di andare “in deroga” alle norme, molto elegante per chiedere, piuttosto, la violazione delle norme medesime.

L’apparato, dunque, ha risposto producendo appunto un complesso ed intricato iter procedurale, volto a conseguire quanto desiderato dall’organo di governo, costruendo un sistema del tutto ellittico a quello disposto dalla legge, per poi affermare, davanti al giudice contabile, che sarebbe complesso l’ordinamento.

Che si tratti di modi manifestamente intesi ad aggirare (leggasi: violare) le norme lo dimostra anche il tentativo di avvalersi di atti extra ordinem. Lo stigmatizza la sentenza: “In particolare, preme menzionare l’adozione, quale atto propulsivo del conferimento degli incarichi contestati, di un’ordinanza sindacale, ordinariamente (articolo 50 del decreto legislativo n. 267 del 2000) deputata a situazioni di necessità e di urgenza, e comunque non conferente al caso di specie”.

Si riscontra un caso, ennesimo, di utilizzo del tutto improprio dell’ordinanza sindacale, strumento appunto extra ordinem per gestire emergenze impreviste ed imprevedibili, per le quali gli strumenti normativi ordinari non sono sufficienti. Non appare in alcun modo oggettivamente complesso constatare che l’assunzione nello staff del sindaco di persone da adibire alla comunicazione non abbia alcun connotato di urgenza o necessità, né che manchi nell’ordinamento più che sufficiente regolazione posta a disciplinare l’assunzione. Si è trattato solo di fumo.

Soprattutto, l’apparato, pur abbarbicandosi nelle difese alla presunta incertezza oggettiva dell’ordinamento, ha agito senza esitazione e senza paura alcuna della firma; anzi, con tanto coraggio da sottoscrivere i contratti di assunzione persino prima ancora dell’adozione del provvedimento che disponesse l’assunzione stessa! Lo evidenzia ancora la sentenza: “Inoltre, occorre rilevare come gli atti che hanno in concreto determinato l’insorgenza del rapporto di lavoro siano contraddistinti da una successione a dir poco anomala, insorgente proprio a partire dall’ordinanza sindacale di designazione. Analizzando l’iter procedimentale, infatti, è possibile riscontrare che la stipulazione dei contratti individuali sottoscritti dalla convenuta [...] (con decorrenza immediata del rapporto), risulta essere stata effettuata nella data del 3 luglio 2009 per [...] e nella data del 7 luglio 2009 per [...] (in disparte il rapporto contrattuale, non contestato, con [...], ascrivibile al 1 luglio 2009). Per contro, la fase provvedimentale ha visto l’intervento di successive determinazioni dirigenziali in data 13-14 luglio 2009 e, per la quantificazione del trattamento economico complessivo, della deliberazione della Giunta comunale in data 14 luglio 2009). Risulta quindi violato il principio giuridico e ontologico secondo cui è l’atto paritetico ad accedere al provvedimento, e non viceversa.

Pare proprio di trovarsi di fronte esattamente alla situazione di metus e soggezione dell’apparato alla politica, evidenziato dalla recente sentenza della Corte dei conti, Sezione III giurisdizionale centrale d’appello 15 dicembre 2021, n. 603. Una soggezione che spinge l’apparato a non considerare alcuna conseguenza dannosa per la comunità amministrata nell’adottare atti manifestamente antigiuridici ed antieconomici, sottoscritti senza alcuna paura, se non quella di subire conseguenze negative in caso di mancata sottoscrizione; oppure, sottoscritti nella presunzione/convinzione di acquisire titoli di merito sul campo per riconferme o successive gratificazioni.

L’assenza totale di un apparato di controllo preventivo, terzo e rigoroso, è la vera fonte di disfunzioni gravissime e danni erariali, che sono continui ed estremamente più ampi di quelli che vanno poi alla cognizione dei giudici.

Lo ha spiegato, di recente, il Procuratore nazionale della Corte dei conti: nel 2019/2021, su 3.165 sentenze di responsabilità, solo 371, cioè meno del 12%, hanno coinvolto enti locali, con 132 assoluzioni e un numero di sindaci condannati pari a 87 a fronte di 162 funzionari a loro volta considerati responsabili di danno.

Numeri, rispetto al complesso di oltre 8.000 enti locali, molto bassi, che da un lato confortano, in quanto posti a dimostrare una diffusione non estesa della mala amministrazione, ma dall’altro preoccupanti: l’esperienza gestionale concreta evidenzia, purtroppo, modalità operative caratterizzate esattamente dalle anomalie evidenziate dalla Sezione Toscana in quantità molto, ma molto, maggiori di quelle che poi divengono oggetto di giudizio contabile.

La paura della firma, se esiste, non si combatte eliminando o riducendo o rendendo inapplicabili gli apparati giudiziali finalizzati ad accertare le responsabilità erariali. Occorre, invece, agire dando supporti agli apparati, per evitare condizionamenti e pressioni dell’apparato politico; così come garantire l’apparato politico da funzionari e dirigenti non leali o incompetenti.

Per il primo obiettivo, cioè dare supporto agli apparati, l’unica soluzione è invertire radicalmente la sciagurata rotta che si segue da 30 anni. Per il secondo, occorre riuscire davvero ad amministrare per obiettivi ed attivare seri sistemi di valutazione: anche in questo caso, da 30 anni se ne parla soltanto, senza alcun risultato di rilievo.

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