Il testo finale del decreto legge “Pnrr-2” conferma, con una piccolissima attenuazione, la norma che consente alle PA impegnate nella direzione ed attuazione dei progetti finanziati col Pnrr di reclutare pensionati.
La norma consente di far tornare
in pista i pensionati della PA purchè sussistano le seguenti condizioni:
1. si
tratti di personale pensionato da più di due anni;
2. i
pensionati siano qualificabili come esperti di particolare e comprovata
specializzazione anche universitaria;
3. le
attività per le quali chiamarli siano prestazioni di natura temporanea e
altamente qualificata.
La seconda condizione, di
carattere soggettivo e cioè relativa al profilo del pensionato da chiamare in
servizio, e la seconda condizione, di carattere oggettivo e connessa al tipo di
attività da svolgere, coincidono con quelle richieste dall’articolo 7, commi 6
e seguenti, del d.lgs 165/2001.
La prima, invece, in base alla
quale i pensionati a cui rivolgersi debbono trovarsi in quiescenza da almeno
due anni è tesa:
a) a
limitare il numero delle persone alle quali rivolgersi per l’attuazione del
Pnrr;
b) a
rispettare in sostanza il principio del divieto di pantouflage.
Sempre coerentemente con l’articolo
7, comma 6, del d.lgs 165/2001, l’attribuzione di incarichi ai pensionati dovrà
essere preceduta dalla dimostrazione, da parte delle amministrazioni
conferenti, dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane
disponibili.
Infine, laddove si dimostri l’ulteriore
presenza di particolari esigenze oggettive alle quali non sia possibile far
fronte con personale in servizio e per il tempo strettamente necessario
all'espletamento delle procedure di reclutamento del personale dipendente, ai
pensionati si potrà conferiire:
a) l'incarico
di Responsabile unico del procedimento (Rup) nelle procedure di appalti;
b) incarichi
di
a. progettazione,
b. direzione
dei lavori,
c. coordinamento
della sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione,
d. incarichi
di collaudo,
e. altri
incarichi che la stazione appaltante ritenga indispensabili a supporto
dell'attività del Rup.
Molte sono le perplessità che
desta questa ampia regolazione che re-introduce la possibilità di chiamare in
servizio i pensionati, esclusa ben 10 anni fa da una delle manovre “salva Italia”
del Governo Monti (articolo 5, comma 9, del d.l. 95/2012).
In primo luogo, l’evidentissima
contraddizione in termini con l’intera impostazione delle batteria di riforme
della PA promosse dal Governo in carica, che si fonda sulla necessità di:
1. acquisire
“nuove” professionalità;
2. reclutare
“giovani” per abbassare l’età media da tempo inaccettabilmente troppo alta dei
dipendenti pubblici.
Non si vede come la ri-chiamata
in servizio di personale in quiescenza, per altro da non meno di due anni (con
un elevato rischio di obsolescenza delle competenze), dunque anziano e certamente
difficilmente rappresentativo di professionalità nuove, possa rispondere alle
esigenze specifiche delle riforme.
Al contrario, la chiamata di
anziani pensionati conferma la sensazione di molti: il Pnrr si sta
caratterizzando per la composizione con molti progetti vecchi e da tempo nei
cassetti, progetti in sostanza “pensionati” quasi quanto coloro che verrebbero richiamati
per attuarli e gestirli.
Le condizioni operative
previste, come la particolare specializzazione o la dimostrazione oggettiva
dell’assenza di personale, da un lato si prestano alle solite violazioni: non
esistendo nessun controllo preventivo di legittimità, di fatto le amministrazioni
con l’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001, fatto tutto ed il suo contrario
e, molte volte, tale tutto ed il suo contrario è poco legittimo; dall’altro, se
nell’organico delle PA attuatrici manca il personale esperto e necessario, il
sistema per reperirlo è dato in via principale, diremmo esclusiva, dai
concorsi, che sono stati molto semplificati, per non dire banalizzati, dalle ultime
riforme (e adesso il d.l.Pnrr-2 cerca di restituire ai concorsi una veste meno
improvvisata, reintroducendo, sia pure in modo facoltativo, la seconda prova
scritta).
La ragione del superamento, sia
pure limitato al Pnrr, del divieto di attribuire incarichi a pensionati posto
dal d.l. 95/2012, oggettivamente sfugge.
Ma, salta ancor maggiormente all’occhio
un’altra questione rilevantissima: l’estrema confusione che ingenera il d.l.
Pnrr-2, ulteriore a quella prodotta già sul punto dal d.l. 80/2021, che nella
sostanza, consente di trattare in modo equivalente le attività di Rup e tutte
le altre funzioni tecnici, regolandole indifferentemente con contratti di
lavoro subordinato, appalti di servizio o incarichi di lavoro autonomo.
Con specifico riferimento alle
funzioni del responsabile unico del procedimento, l’articolo 31, comma 1, del
d.lgs 50/2016 dispone molto chiaramente che “il RUP è nominato con atto
formale del soggetto responsabile dell’unità organizzativa... tra i
dipendenti di ruolo addetti all’unità medesima, dotati del necessario
livello di inquadramento giuridico in relazione alla struttura della pubblica
amministrazione” e “laddove sia accertata la carenza nell’organico della
suddetta unità organizzativa, il RUP è nominato tra gli altri dipendenti in
servizio”.
Il codice dei contratti pretende,
con chiarezza estrema, che la funzione di responsabile del procedimento sia incardinata
in chi con l’ente conduca non solo il rapporto di servizio, ma soprattutto il
rapporto organico. Mentre il rapporto di servizio si può instaurare con
contratti di appalto o di lavoro autonomo, quello organico sorge solo nei
confronti dei dipendenti degli enti, che così agiscono appunto impersonando l’amministrazione
datore di lavoro.
Il Rup svolge molteplici
competenze capaci di incidere profondamente nella sfera giuridica delle imprese:
si pensi ai poteri di esclusione dalle gare che, secondo molta giurisprudenza
(sebbene la tesi non appaia del tutto condivisibile) spettano al Rup in via
esclusiva, o alle funzioni di approvazione e validazione di progetti, varianti,
certificazioni di pagamento, disposizione di sospensione.
Sembra del tutto evidente che
simili veri e propri poteri negoziali, capaci di costituire, modificare o
estinguere situazioni giuridiche, debbano essere esercitati da chi agisce impersonando
l’ente in quanto titolare di un ufficio e non da un soggetto esterno che agisce
come “collaboratore esterno”.
Lo scopo dell’articolo 7, commi
6 e seguenti del d.lgs 165/2001 non è certo quello di costruire per le PA un
metodo di reclutamento equivalente, parallelo ed alternativo ai concorsi, bensì
di arricchire l’ente di professionalità assenti, ricorrendo a professionisti il
cui compito non consista nel gestire direttamente, ma fornire agli uffici
pareri o strumenti di valutazione per adottare le decisioni spettanti agli
uffici medesimi.
La norma del d.l. Pnrr-2
introduce una deroga a tale sistema, legificando, sia pur parzialmente e
settorialmente, abitudini molto discutibili: utilizzare, cioè, contratti di
lavoro autonomo solo simulati, che in realtà nascondono vere e proprie attività
di lavoro subordinato.
Non solo si crea un
cortocircuito con le specifiche previsioni del codice dei contratti relative ai
Rup, ma anche un chiaro scontro con la norma generale di disciplina delle
collaborazioni e consulenze che, analogamente a quanto accade nell’ordinamento
del lavoro privato, si cura di vietare proprio l’utilizzo della forma
contrattuale del lavoro autonomo a mascheramento di attività di lavoro
subordinato: l’articolo 7, comma 5-bis, del d.lgs 165/2001. A norma di tale
disposizione, “È fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di stipulare
contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro
esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano
organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di
lavoro. I contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli
e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle
disposizioni del presente comma sono, altresì, responsabili ai sensi
dell'articolo 21 e ad essi non può essere erogata la retribuzione di risultato”.
Il rischio che la previsione
introdotta dal decreto crei vasti contenziosi connessi ad interpretazioni non
coerenti tra loro, viste le molte contraddizioni segnalate, è molto ampio, come
l’applicazione estensiva ed analogica della deroga ad altre situazioni.
Ciò è ulteriormente aggravato
dalla circostanza che il d.l. Pnrr-2 ammette di estendere ai pensionati,
incaricati con lo schema del rapporto di collaborazione, anche funzioni ed
attività che, invece, sono disciplinate dal codice dei contratti e dal
Vocabolario comune degli appalti, come prestazioni di servizi e, dunque, da
assegnare mediante gare e non certo la poco aperta e molto discrezionale, se
non arbitraria, procedura dell’articolo 7, commi 6, e seguenti.
Come, poi, un pensionato da
oltre due anni possa competere, sul piano dell’aggiornamento e della professionalità
sul campo, rispetto ad un professionista, lo può spiegare solo chi ha pensato
la discutibilissima norma, che condanna la PA ad essere e restare vecchia, antiquata,
superata e caratterizzata da regole sempre derogate, a vantaggio non si capisce
mai bene di quale beneficiario.
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