sabato 16 gennaio 2016

Appalti: sarà vero rilancio?

Negli scorsi giorni abbiamo potuto leggere sui quotidiani, specie quelli economici, toni trionfalistici ad accogliere l’approvazione definitiva della legge delega per la riforma degli appalti, che sarà da attuare con le decine di deleghe previste (circa 70) entro aprile.

Gli osanna per la riforma riguardano, in particolare, l’alleggerimento sostanziale dei contenuti normativi, viso che si passerà da un coacervo di circa 600 disposizioni (tra d.lgs 163/2006 e dpr 207/2010) a massimo 200 articoli.

Soprattutto, l’attenzione entusiastica si è concentrata sulla capacità teorica della riforma di “rilanciare” gli appalti e di conseguenza il settore dell’edilizia, grazie alla maggiore linearità delle procedure, alla riduzione delle possibilità di bloccare le opere a causa dei ricorsi al Tar, la riduzione delle varianti in corso d’opera.

Le premesse per una reale svolta nel sistema degli appalti, in linea teorica, in effetti appaiono esservi.

La valutazione della riforma così proposta e “banalizzata” dalla stampa tuttavia appare non tenere conto di alcuni elementi estremamente importanti, da considerare non allo scopo di predirne il necessario flop, quanto proprio per evitare che alle buone intenzioni non seguano i necessari comportamenti attuativi, per far sì che la riforma risulti realmente utile al sistema.

Un primo elemento essenziale consiste nel prendere piena consapevolezza della reale efficacia della riforma degli appalti. Affermare che grazie alla nuova legge l’edilizia sarà rilanciata è suggestivo, ma nel concreto azzardato e, soprattutto, erroneo.

E’ un po’ come ritenere che l’occupazione ed il mercato del lavoro possano riprendersi ai ritmi pre-crisi, grazie alle leggi di riforma. Proprio l’esperienza del Jobs Act insegna che non è per nulla così. L’occupazione, nonostante la riforma, ristagna, il rilancio dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (ma sotto lo scacco dell’azzeramento dell’articolo 18) è stato estremamente limitato ed il tasso di disoccupazione è sceso soprattutto grazie alla circostanza che molte persone non sono tecnicamente più disoccupate, semplicemente perché il lavoro non lo cercano più.

E’ chiaro che materie strettamente legate al sistema economico, come il lavoro e gli appalti, non possono risentire in via diretta e immediata di benefici derivanti dalla legislazione. Per il rilancio del lavoro e degli appalti, settori fondamentali dell’economia, occorrono non leggi di regolazione, ma azioni di politica economica.

Appare chiaro a tutti che il lavoro non può ripartire se il prodotto interno lordo è ancora sprofondato rispetto al 2008 e la crescita dello 0,8% è un recupero irrisorio del terreno perduto (quasi il 9%) rispetto a 8 anni fa; né l’occupazione può aumentare in modo stabile e duraturo, se le imprese non investono e non vi sono commesse.

Queste stesse considerazioni valgono per il settore degli appalti, con un’aggravante. Trattandosi di lavori (ma, anche servizi e forniture) a committenza pubblica, se non si rilanciano gli investimenti (necessari per i lavori) o la spesa (nel caso di servizi e forniture), il mercato pubblico, cioè quello più rilevante, non potrà affatto essere rilanciato.

Ma, qui, casca drammaticamente l’asino e, per rendersene conto, basta richiamare alla memoria la nota di aggiornamento al Def del 2015.

Se nel 2015 gli investimenti sono stati previsti in 64.299 miliardi, scendono a 62.642 nel 2016 e precipitano a 58.093 nel 2017, 58.546 nel 2018 e 57.603 nel 2019. Difficile immaginare che il settore dei lavori e dell’edilizia possa trarre molti benefici dalla legge di riforma, se gli investimenti sono in costante diminuzione.

In leggera crescita, invece, sono i “consumi intermedi”, nel’ambito dei quali sono presenti la quasi totalità delle spese per forniture e servizi: dai 129.905 miliardi del 2015, si passa i 132.002 miliardi del 2016, ai 133.984 miliardi del 2017, per salire ai 135.139 del 2018 e ai 137.916 del 2019. C’è, però, da tenere presente che la fantomatica “spending review” vorrebbe incidere proprio su queste voci, non certo allo scopo di aumentarle ulteriormente, bensì di ridurle.

In un quadro complessivo di finanza pubblica tendente al contenimento della spesa (per la verità contraddetto dall’incremento in deficit della spesa complessiva), ovviamente il committente pubblico non può offrire nel mercato degli appalti risorse per il “rilancio”.

Né questa funzione può assolverla la legge di riforma degli appalti. Le sue semplificazioni operative potranno, forse, rendere più spedite le procedure di gara e rendere maggiormente certa la spesa, se davvero funzionerà la messa sotto controllo delle varianti. Ma, la riforma non ha la forza minima di incidere sul quadro di finanza pubblica visto prima.

Ma, non basta. Occorrerebbe, prima di affermare che la nuova disciplina degli appalti sarà in grado di far ripartire gli affidamenti pubblici, dare uno sguardo di insieme al complesso delle norme che, nel frattempo, sono state adottate.

Guardiamo al mondo degli enti locali e chiediamoci se l’armonizzazione contabile, combinandosi con la riforma degli appalti, possa davvero segnare quella svolta e semplificazione che gli osservatori rimettono alla sola nuova disciplina del codice dei contratti. Pensiamo ad una semplice circostanza: non essendo più possibile convertire in impegni a residuo le prenotazioni di spesa riguardanti appalti di forniture e servizi le cui gare non si siano concluse entro l’anno con l’individuazione del contraente, per effetto di una riforma un po’ sciagurata e massimalista del sistema contabile, di fatto sarà possibile procedere agli appalti solo se si sarà capaci di avviare le gare non oltre luglio-agosto, considerando i tempi medi delle procedure. A quel punto, proprio perché risulterà praticamente impossibile affidare servizi e forniture oltre quei limiti di tempo, a loro volta costituenti un ostacolo operativo rilevantissimo specie in presenza di esercizi provvisori e rinvii lunghissimi dei termini di approvazione dei bilanci di previsione, l’obbligo di rivolgersi alle centrali di committenza sarà vissuto non più come una limitazione all’autonomia, ma come una manna. Infatti, l’adesione alle convenzioni è velocissima ed evita la lunga fase di selezione del contraente. Il problema consisterà nel verificare se davvero Consip e centrali di committenza riusciranno a coprire la quantità enorme di categorie merceologiche necessarie: del che c’è da dubitare, almeno nell’immediato.

C’è, poi, il tema dei pagamenti. Nessuna riforma del codice dei contratti potrà considerarsi realmente efficace, ai fini del rilancio del comparto delle commesse pubbliche, finchè la pubblica amministrazione non riuscirà ad accelerare i tempi entro i quali paga i propri debiti alle aziende. La modifica del patto di stabilità operata dalla legge 208/2015 per quel che riguarda i comuni potrebbe, finalmente, aiutare allo scopo, ma è tutto da verificare.

Ancora, c’è la questione della “semplificazione normativa”, fondata essenzialmente sull’attribuzione all’Anac del compito di sostituire alle regole operative a fonte regolamentare, la “soft law”. L’Anac, cioè, disporrà di poteri di regolazione, derivanti dalla configurazione dei propri pareri, bandi-tipo e delibere come “vincolanti” per le stazioni appaltanti.

Invece, dunque, di centinaia di articoli di regolamento attuativo, avremo centinaia, se non migliaia, di pronunciamenti di vario tipo dell’Anac, spesso frutto di “confronti” e “negoziazioni” col “mercato”, delle quali non è dato percepire quanto sarà il peso delle lobby.

Ritenere che un ordinamento si semplifichi perché cambia il tipo di “fonte”, ma alla nuova fonte si lasci uno spazio di intervento infinito e incontrollato (provi qualcuno a contare e riordinare le pronunce dell’Anac di questi anni) è semplicemente velleitario. Il rischio è una melassa di regole continuamente cangianti, difficili da ordinare in un sistema, molte delle quali saranno caratterizzate dalla deleteria prassi, propria di ogni sistema di sof law fondato su pareri, di essere pensate per situazioni specifiche, ma essere poi portare a regola generale ed astratta. Si pensi al sistema ormai non più sostenibile dei pareri delle sezioni regionali della Corte dei conti: una banca dati immensa, piena di avvisi fortemente contraddittori l’uno con l’altro, perché assunti in epoche diverse, sulla base di soggetti e problemi specifici e particolari, ma considerati come regole generali. Un caos.

Siamo, poi, sicurissimi che la riforma del codice degli appalti semplifichi la materia? Abbiamo valutato se norme o indicazioni di altri ambiti, che la influenzano, non abbiano creato per altra via moltissimi altri adempimenti?

Chi ha esaltato la “semplificazione” degli appalti, evidentemente non ha ben chiara l’estensione delle regole ordinamentali e, men che meno, l’operato dell’Anac. Ammesso e non concesso che questa riesca, con l’opera di soft law ad essere meno pervasiva ed invasiva del regolamento di attuazione, ci sarebbe da ricordare quanto, invece, invasiva e pervasiva lo sia (inevitabilmente, forse) in tema di applicazione delle norme anticorruzione.

Consigliamo, allora, di leggere con attenzione l’aggiornamento al Piano Nazionale Anticorruzione, recentemente adottato dall’Anac. Un documento-monstre di 53 pagine, 22 sole delle quali dedicata all’area di rischio degli appalti pubblici. Solo in relazione alla fattispecie di rischio delle procedure di selezione del contraente elenchiamo alcune delle misure che le amministrazioni debbono adottare:

  1. Accessibilità online della documentazione di gara e/o delle informazioni complementari rese;

  2. in caso di documentazione non accessibile online, predefinizione e pubblicazione delle modalità per acquisire la documentazione e/o le informazioni complementari.

  3. Pubblicazione del nominativo dei soggetti cui ricorrere in caso di ingiustificato ritardo o diniego dell’accesso ai documenti di gara.

  4. Direttive/linee guida interne che individuino in linea generale i termini (non minimi) da rispettare per la presentazione delle offerte e le formalità di motivazione e rendicontazione qualora si rendano necessari termini inferiori.

  5. Predisposizione di idonei ed inalterabili sistemi di protocollazione delle offerte (ad esempio prevedendo che, in caso di consegna a mano, l’attestazione di data e ora di arrivo avvenga in presenza di più funzionari riceventi; ovvero prevedendo piattaforme informatiche di gestione della gara).

  6. Direttive/linee guida interne per la corretta conservazione della documentazione di gara per un tempo congruo al fine di consentire verifiche successive, per la menzione nei verbali di gara delle specifiche cautele adottate a tutela dell’integrità e della conservazione delle buste contenenti l’offerta ed individuazione di appositi archivi (fisici e/o informatici).

  7. Obblighi di trasparenza/pubblicità delle nomine dei componenti delle commissioni e eventuali consulenti.

  8. Tenuta di albi ed elenchi di possibili componenti delle commissioni di gara suddivisi per professionalità.

  9. Scelta dei componenti delle commissioni, tra i soggetti in possesso dei necessari requisiti, mediante estrazione a sorte in un’ampia rosa di candidati.

  10. Sistemi di controllo incrociato sui provvedimenti di nomina di commissari e consulenti, anche prevedendo la rendicontazione periodica al RPC, almeno per contratti di importo rilevante, atti a far emergere l’eventuale frequente ricorrenza dei medesimi nominativi o di reclami/segnalazioni sulle nomine effettuate.

  11. Introduzione di misure atte a documentare il procedimento di valutazione delle offerte anormalmente basse e di verifica della congruità dell’anomalia, specificando espressamente le motivazioni nel caso in cui, all’esito del procedimento di verifica, la stazione appaltante non abbia proceduto all’esclusione.

  12. Nel caso in cui si riscontri un numero significativo di offerte simili o uguali o altri elementi, adeguata formalizzazione delle verifiche espletate in ordine a situazioni di controllo/collegamento/accordo tra i partecipanti alla gara, tali da poter determinare offerte “concordate”.

  13. Check list di controllo sul rispetto, per ciascuna gara, degli obblighi di tempestiva segnalazione all’ANAC in caso di accertata insussistenza dei requisiti di ordine generale e speciale in capo all’operatore economico.

  14. Direttive interne che prevedano l’attivazione di verifiche di secondo livello in caso di paventato annullamento e/o revoca della gara.

  15. Obbligo di segnalazione agli organi di controllo interno di gare in cui sia presentata un’unica offerta valida/credibile.

  16. Audit interno sulla correttezza dei criteri di iscrizione degli operatori economici negli elenchi e negli albi al fine di accertare che consentano la massima apertura al mercato (ad esempio, verifica dell’insussistenza di limitazioni temporali per l’iscrizione) e sulla correttezza dei criteri di selezione dagli elenchi/albi al fine di garantirne l’oggettività.

  17. Per le gare di importo più rilevante, acquisizione da parte del RP di una specifica dichiarazione, sottoscritta da ciascun componente della commissione giudicatrice, attestante l’insussistenza di cause di incompatibilità con l’impresa aggiudicataria della gara e con l’impresa seconda classificata, avendo riguardo anche a possibili collegamenti soggettivi e/o di parentela con i componenti dei relativi organi amministrativi e societari, con riferimento agli ultimi 5 anni.

  18. Individuazione di appositi archivi (fisici e/o informatici) per la custodia della documentazione.

  19. Pubblicazione delle modalità di scelta, dei nominativi e della qualifica professionale dei componenti delle commissioni di gara.

  20. Obbligo di preventiva pubblicazione online del calendario delle sedute di gara.


Ma, nelle 22 pagine, di regole operative se ne riscontrano a centinaia.

Il Piano nazionale anticorruzione è già di per sé “sof law”. Non pare proprio che esso possa contribuire alla semplificazione del sistema.

 

 

 

 

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