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Dire e approfondire
sabato 14 settembre 2024
domenica 8 settembre 2024
Gli incarichi negli uffici di diretta collaborazione di Ministri e qualsiasi organo di governo sono un fatto totalmente pubblico, mai "privato"
La circostanza che si dibatta se le vicende relative al Ministro della cultura e della consigliera con l’incarico fantasma siano o meno una questione privata evidenzia di per sé quanto grave sia la situazione generale della normativa e della concreta attuazione relativa agli incarichi negli uffici “di staff” degli organi di governo.
mercoledì 4 settembre 2024
Il consigliere "fantasma" del Ministro della cultura: caso per nulla isolato che conferma 30 anni di norme deleterie per la PA #Boccia #Sangiuliano
La vicenda del Ministro della cultura e della consulente fantasma non dovrebbe risultare utile ad insegnare quali siano le molte, troppe, storture della normativa sugli incarichi di lavoro autonomo nella PA, ma utile per confermare quanto esiziali siano le norme prodotte dal 1993, anno della “riforma Cassese”, passando dal biennio 1997-1998, epoca delle esiziali riforme Bassanini, per poi procedere con le riforme di altri inquilini di Palazzo Vidoni, tutte indirizzate a fare della PA un mercato di piazza di incaricati, consulenti, consiglieri, segretari particolari: Frattini, Nicolais, Brunetta, Madia, senza soluzioni di continuità, senza mai rimedio alcuno ad un sistema che fa acqua da tutte le parti.
Di vicende identiche, o molto simili, a quella attualmente
agli onori della cronaca, ve ne sono migliaia, reperibili negli enti locali,
nelle regioni, nelle società partecipate soggette comunque a regole
pubblicistiche della disciplina dei rapporti di lavoro autonomo.
Qualsiasi componente di organo di governo di qualsiasi
livello, appena insediato immediatamente ritiene che sia consustanziale al proprio
“potere” nominare, incaricare, qualcuno: passando da nomine ed incarichi
istituzionali, a incarichi i più disparati a frotte di consiglieri e
consulenti. Senza quasi mai alcuna selezione effettiva, sulla base dell’appartenenza
o spesso realmente di soli specifici individualissimi rapporti personali.
Quando negli anni ’90 si è attuato l’articolo 97 della
Costituzione e il principio ivi indirettamente posto della distinzione tra le
funzioni politiche e di governo, da quelle gestionali, qualcuno ebbe modo di
pensare che dal “governo degli atti”, si dovesse passare al “governo degli
uomini”: il ministro, il sindaco, il presidente di regione, che non può più
adottare direttamente l’atto amministrativo o la decisione concreta, diviene
assegnatario del potere di nominare e incaricare, almeno parte delle compagini
di vertice.
Non solo si istituì il deleterio spoil system all’italiana,
col quale rilevanti parti dei vertici dirigenziali si selezionano senza
concorso ma per l’esiziale “personale adesione” alle politiche della
maggioranza; in più si sono allargate all’infinito le maglie di nomine ed incarichi
in uffici di gabinetto, di progetto e per consiglieri di ogni genere: da quello
giuridico a quello economico, a quello tecnico, a quello per l’immagine, a
quello per i rapporti con i social (gli uffici stampa erano da anni caratterizzati
da questo “mercato nel tempio”), all’utilizzatissimo consulente per l’organizzazione
“di eventi”.
Dovrebbe risultare chiaro da anni e da sempre che i casi,
quando emergono, sono solo la piccolissima punta di un icerberg, che nella
parte sommersa è di enormi dimensioni.
Incarichi assegnati senza selezione, senza verificare titoli
e competenze, senza nessun genere di riferimento per definire gli importi dei
compensi. Senza nessuna trasparenza sul perché, sul come e sul quando. Le regole
anticorruzione fanno acqua da tutte le parti.
Si è pensato che la “fiducia”, parola e concetto presente
nella Costituzione solo per la disciplina dei rapporti tra Parlamento e
Governo, fosse la formula magica per garantire che la nomina, l’incarico, la
consulenza, il counselling, fossero utili, necessari, opportuni, congrui. Ma,
purtroppo, proprio il caso attualmente agli onori della cronaca dimostra l’opposto:
una persona incaricata in maniera opaca, forse per nulla incaricata, violando
qualsiasi regola di “fiducia”, pubblica atti e documenti, azione che sarebbe
del tutto inibita a un dipendente pubblico o ad un consulente “vero”, abilitato
a trattare dossier e questioni solo dopo e non prima della formalizzazione di
un incarico, chiaro nella spesa, nei modi e nei limiti e, soprattutto, soggetto
alle regole del dPR 62/2013, il “codice di comportamento” dei dipendenti
pubblici, che però va applicato anche a qualsiasi soggetto che riceva appalti,
commesse e consulenze dalla PA.
Paradossalmente, il consulente incaricato non si sa come,
non si sa con quale atto, non si sa con quale spesa o proprio per nulla incaricato,
ma presente negli uffici e messo nelle condizioni di acquisire documenti e
registrare immagini e audio, proprio per il fatto di non aver sottoscritto
alcun contratto, di non aver sottoscritto nessun impegno anticorruzione e anti
conflitto di interessi, sfugge a qualsiasi possibile reazione di autorità competenti,
come l’Anac, per quanto debole e sfocata possa essere tale “reazione”.
Dovrebbe risultare da simili macerie che questo sistema
ormai ultra trentennale, va chiuso. Basta con lo spoil system sconsiderato; basta
con la “fiducia”; basta con consiglieri e consulenti incaricati senza alcuna
selezione plausibile; basta con la creazione di apparati burocratici
amministrativi e paralleli, composti da soggetti che proprio per la loro “personale
adesione”, si guardano bene dal contraddire, dal suggerire strade più corrette.
Il travisamento del principio del “risultato”, tragicamente enunciato nel
codice degli appalti, fa ormai apparire che tutto è lecito per raggiungere un
fine, anche l’inutile, anche l’abborracciato, anche il costoso, anche l’inopportuno.
La parola “basta” a tutto ciò, però, da anni e da sempre non
è stata pronunciata, né lo sarà mai: cambiano le maggioranze, ma gli appetiti
dei componenti restano sempre uguali: nominare, incaricare il consulente, il
consigliere, l’esperto, il tecnico, il manager, in una spirale deleteria, senza
fine.
martedì 3 settembre 2024
Concorsi pubblici: il Consiglio di Stato svela le storture di valutazioni arbitrarie nelle "prove situazionali" - Le Autonomie
lunedì 15 luglio 2024
Europei: i grandi meriti della Spagna, la crisi terribile dell'Italia
L'immagine della Spagna che vince per la quarta volta l'Europeo di football è certo, quella imberbe dei giovani Yamal e Williams, ma, se si consente, ancor più quella di Jesus Navas.
L'esterno trentasettenne è l'ultimo reduce della stagione di maggior fulgore delle furie rosse, quella tra il 2008 e il 2012, quando infilarono la tripletta Europeo-Mondiale-Europeo alla guida di Del Bosque, sapiente adattatore in Nazionale di alcuni dettami di Pep Guardiola.
Dal 2008 al 2024 sono passati 16 anni: ma la Spagna è ancora lì, con ancora Jesus Navas a fare da protagonista, ad alzare un trofeo prestigiosissimo, a ricompensa del calcio migliore giocato sul campo.
Il "tiki-taka" è passato di moda, il "falso nueve" non più utilizzato nemmeno da Guardiola, ma la Spagna ha conservato molto dei fasti del passato: straordinaria proprietà di palleggio, qualità tecniche notevoli, velocità di pensiero e di fraseggio, capacità di cambiare fronte, utilizzo degli spazi, aggiungendo il ritorno alle antiche "ali", appunto i due giovanissimi Yamal e Williams.
Ha vinto perchè ha praticato il calcio migliore, che è risultato tanto più scintillante in un Europeo francamente di basso, talora bassissimo livello. Sarà stata la scarsa condizione di molti atleti, ma per lo più si è visto un calcio bloccato sulle tre quarti, con 10 ad attaccare ed 11 a difendere sulla stessa linea, come fosse rugby, con pochissimi passaggi filtranti, meno ancora lanci, rare incursioni ad aggirare le difese. Pochi gol e poco spettacolo.
E la spagna ha vinto contro l'Inghilterra perchè i bianchi, pur disponendo di potenzialità individuali di altissimo livello, si sono adeguati al livello mediocre visto in generale, sostanzialmente limitandosi ad un catenaccio in chiave moderna e segnando solo quando, mossi dal tentativo di rimontare, hanno accelerato un po' il ritmo (confermando che la Spagna ha, eccome, il punto debole nell'organizzazione difensiva, ma nessuno ha saputo farne tesoro).
Cosa insegna questo Europeo e la vittoria della Spagna all'Italia? Nulla, diremmo. Il calcio italiano si è fermato nel 2000, il giorno della finale dell'Europeo perso col golden gol della Francia.
Basta andare a guardare le formazioni dei tornei successivi. Nel 2006 la meritata, ma inaspettata e per molti versi fortunosa, vittoria è stata ottenuta da una compagine ancora per molti versi basata su quella di 6 anni prima, ma già con vistosi indebolimenti, che, fortunatamente, quell'estate invece giocarono alla grande: ma, giocatori come Grosso, Materazzi, lo stesso Toni erano una scommessa e hanno brillato per poco tempo.
Poi, l'Italia è tornata in una finale nell'Europeo nel 2012, proprio contro la Spagna, che ci liquidò con un 4 a 0 senza appello. Il livello medio dell'Italia, con ancora qualche reduce del 2000, si era ulteriormente abbassato, per poi calare repentinamente nelle successive edizioni, sia del Mondiale (nel quale non riusciamo a qualificarci da due edizioni e comunque a superare il primo turno proprio dal 2006), sia all'Europeo (ricordiamo la squadra con Zaza come attaccante?).
Quello del 2021 è un episodio davvero fortunoso, condizionato da mille congiunzioni astrali e anche dall'epidemia di Covid ancora in corso: il livello generale era ulteriormente sceso e nel 2024 ha toccato il fondo.
Perchè non abbiamo imparato niente? Perchè nel 2008 a fermare l'Italia ai quarti dell'Europeo fu la Spagna. Perchè nel 2012 perdemmo in modo umiliante con la Spagna. Perchè nel 2021 vincemmo ai rigori contro la Spagna una partita dominata dagli iberici. Perchè nel 2024 la Spagna, pur battendoci solo per 1-0 con autogol, comunque ci ha cancellati.
Nel 2000 nessuno si accorse che i club non producevano più talenti e campioni. Per alcuni anni quelli esplosi negli anni '90 hanno continuato a tirare la carretta. Chiuse le loro carriere, i ricambi sono venuti a mancare e il gioco è regredito in maniera incredibile. Nessuno che sappia stoppare, inventare, tirare da lontano, lanciare lungo, soprattutto dribblare. Ormai il calcio italiano è poco più di una pura prestazione atletica di corsa.
La Spagna, invece, ha continuato ad allevare giovani ed evolvere gioco e tattica. E non si fa scrupolo di lanciare giovanissimi come Yamal, ma di confermare anche veterani come Navas, se funzionali alla precisa idea di gioco, che dura da decenni.
La Spagna dimostra quella continuità di "scuola" ed investimento sportivo, che, nel calcio, l'Italia ha dimenticato.
Magari è meglio così. Magari daremo finalmente maggiore attenzione ad altre discipline, nelle quali lo sport italiano si è rilanciato, nuoto ed atletica leggera in primis. L'Italia si è anche scoperta, improvvisamente, culla di tennisti. Però, anche in questo caso, almeno per ora, la Spagna continua a guardarci dall'alto.