sabato 1 dicembre 2012

Schizofrenie su #controlli e #anticorruzione

Luigi Oliveri

Legislatore più schizofrenico di quello “tecnico”, cioè del Parlamento in fase di “liberi tutti” totalmente succubo delle iniziative del Governo, non potrebbe aversi.

Il Governo sta chiudendo la sua esperienza “tecnica” sfornando iniziative di legge caratterizzare da un tasso di populismo davvero non preventivabile, vista appunto la provenienza appunto tecnica dei componenti dell’Esecutivo.

Le norme sulla riforma dei controlli e dell’anticorruzione ne sono un ulteriore esempio. In Parlamento stanno passando emendamenti, con l’indiretto placet del governo, che stanno snaturando totalmente il significato e lo scopo della riforma dei controlli. Così come della legge cosiddetta “anticorruzione” alla quale il d.l. 174/2012 indirettamente si collega.

Non tutti hanno notato che nella prima parte della legge 190/2012, quella dedicata alla fissazione di regole organizzative manca sorprendente qualsiasi riferimento agli organi di governo. L’articolo 1, nei suoi primi 40 commi è fitto di disposizioni tendenti a mettere sotto controllo l’attività degli apparati amministrativi e dei dirigenti. La norma più evidente è quella del dirigente “parafulmine” che come un taumaturgo dovrebbe garantire dalla corruzione dei colleghi, mediante l’approvazione di un piano anticorruzione.

Idea certamente geniale. Strano che nessuno ci abbia mai pensato prima. E ancor più geniale è non spendere nemmeno una parola che sia una su come mettere sotto controllo, a fini anticorruzione, l’attività dei componenti degli organi di governo.

La legge descrive, insomma, l’apparato come un ammasso di corrotti o presunti tali, sui quali vigila, attento e severo, l’organo di governo chiamato ad approvare il piano anticorruzione proposto dal responsabile della prevenzione della corruzione.

Probabilmente il legislatore, distratto, non legge i giornali e le cronache guardando le quali si conosce un’altra storia: i protagonisti principali della corruzione sono in particolare i componenti politici degli organi di governo. La dirigenza ed i dipendenti non sono certo del tutto estranei a comportamenti delittuosi, ma molto spesso si appura che essi sono funzionali ai sistemi corruttivi, messi come “uomini di fiducia” esattamente in quei posti nei quali è opportuno non vedere, se non addirittura favorire i fenomeni di corruzione.

Ci si sarebbe aspettato, allora, un intervento rivolto anche a garantire il comportamento degli organi di governo. Ma nella legge 190/2012 nemmeno se ne fa cenno. Ed anzi la seconda parte, che modifica la normativa penale, in realtà non modifica assolutamente nulla e non recepisce le direttive europee per esempio sull’autoriciclaggio.

Il messaggio è chiaro: se qualcuno si fa corrompere, nella pubblica amministrazione, sono i dirigenti. E per gli organi di governo si sta preparando un altro salvacondotto con la legge sull’incandidabilità, esclusa per condannati definitivi a pene di almeno 4 anni di detenzione, che praticamente, per i reati di cui sono accusati e raramente condannati i politici, non sono mai irrogate.

Altro rimedio che ci si sarebbe aspettato avrebbe dovuto essere quanto meno quello della più decisa separazione tra organi di governo e dirigenza.

Niente di tutto questo. La legge 190/2012, cozzando con l’ormai consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale ormai granitica contro lo spoil system e il sistema degli incarichi dei dirigenti a contratto per via fiduciaria (proprio quelli più facilmente esposti a incarichi per logiche non di merito, ma di appartenenza e alla funzionalità a reggere il bordone ad intenti anche corruttivi), addirittura ne legittima ulteriormente l’immissione nella pubblica amministrazione.

Il comma 39 dell’articolo 1 della legge anticorruzione è un capolavoro di schizofrenia: “Al fine di garantire l'esercizio imparziale delle funzioni amministrative e di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra organi di indirizzo politico e organi amministrativi, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonchè le aziende e le società partecipate dallo Stato e dagli altri enti pubblici, in occasione del monitoraggio posto in essere ai fini dell'articolo 36, comma 3, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni, comunicano al Dipartimento della funzione pubblica, per il tramite degli organismi indipendenti di valutazione, tutti i dati utili a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni, individuate discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione. I dati forniti confluiscono nella relazione annuale al Parlamento di cui al citato articolo 36, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e vengono trasmessi alla Commissione per le finalità di cui ai commi da 1 a 14 del presente articolo”.

Si vuole, in altre parole, garantire l’esercizio “imparziale” delle funzioni amministrative e, per di più, “rafforzare” la separazione ed autonomia della dirigenza dalla politica, esattamente prevedendo le norme contrarie a quella che sarebbe necessaria: vietare per sempre la possibilità all’organo politico di nominarsi i suoi dirigenti “di fiducia”, con l’eccezione dell’addetto stampa e del capo della segreteria politica (che non compia attività amministrative dirette). Invece, addirittura, il comma 39 legittima l’individuazione “discrezionale” dei dirigenti “senza procedure pubbliche di selezione”.

E nessuno ha ancora mai spiegato per quali ragioni l’assunzione di un usciere a tempo determinato comporti una procedura selettiva, mentre dirigenti pubblici possono essere assunti per anni “discrezionalmente”, così da permettere all’organo di governo, cui dovrebbe essere vietato di ingerirsi nella gestione, di farlo indirettamente mediante la longa manus dei suoi “fiduciari”.

Andiamo alla legge di conversione sui controlli. In perfetto stile di contraddizione in termini, il d.l. 174/2012 punta a riattribuire al segretario comunale funzioni che gli furono sottratte – con gravissimo danno per l’efficienza dell’azione amministrativa – dalle deleterie riforme Bassanini. Tra essi una sorta di ritorno alla funzione di controllo amministrativo, anche se svolto ex post sui provvedimenti già adottati.

Il parere di legittimità del segretario comunale a suo tempo veniva espresso in forma preventiva rispetto alle proposte di delibera ed aveva per questa ragione un peso rilevantissimo, insieme con la posizione di sostanziale autonomia di cui godeva il segretario posto solo funzionalmente alle dipendenze del sindaco.

La riforma del 2012 assegna invece al segretario comunale funzioni di controllo a posteriori, senza aver corretto il vulnus allo status del segretario apportato sempre dalle devastanti riforme Bassanini: la nomina direttamente effettuata dal sindaco o dal presidente della Provincia.

Il segretario comunale, è noto, non gode affatto più della posizione di autonomia che lo caratterizzava prima del 1997.

Dunque, assegnare funzioni di controllo ad un soggetto che ricava dalla nomina sindacale il proprio ruolo nasconde di per sé il pericolo di una violazione del diaframma che dovrebbe separare la politica dalla gestione. I controlli postulano che, per essere efficaci, siano svolti da soggetti terzi, totalmente autonomi dall’ente che controllano. L’esperienza fin qui fallimentare dei revisori dei conti sta a dimostrarlo.

Incredibilmente, invece di prendere atto dell’errore di prospettiva, il Parlamento in questi giorni sta emendando la legge di conversione del d.l. 174/2012 prevedendo che il segretario trasmetta gli esiti del controllo ai dirigenti “unitamente alle direttive cui conformarsi in caso di riscontrata irregolarità”.

Il legislatore ignora clamorosamente:

a)                  che le direttive sono atti che non implicano l’obbligo di conformazione da parte del destinatario, che rimane libero nell’apprezzare l’opportunità di adeguarvisi;

b)                 l’obbligo di conformazione modifica totalmente gli assetti ed i rapporti tra segretario e dirigenti, ledendo la loro specifica sfera di autonomia;

c)                  l’emendamento vìola clamorosamente la legge 241/1990; se si intendesse la disposizione come obbligo di conformazione verrebbe nella sostanza introdotto un potere di autotutela in capo ad un soggetto diverso da quello che adotta l’atto, in contrasto con quanto prevede l’articolo 21-nonies, comma 1, della legge 241/1990: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”. Se il legislatore avesse voluto costituire il segretario come organo di secondo grado avrebbe dovuto disporlo espressamente. L’emendamento, invece, crea un insanabile ed illogico contrasto con le regole vigenti ed espone il fianco ad usi deleteri della norma.

Infatti, appare assai singolare assegnare al segretario un potere di conformazione, visto che detto soggetto, come detto prima, risulta ancora incaricato direttamente dal sindaco o dal presidente della provincia. Il segretario comunale non gode di quella posizione di terzietà di cui un organo di controllo dotato di poteri conformativi dovrebbe disporre. Gli emendamenti rischiano, così, di rendere la riforma dei controlli uno strumento mediante il quale gli organi di governo, per il tramite di segretari troppo influenzabili a causa della precarizzazione estrema del loro incarico, potrebbero per interposta persona e mediante i controlli gestire indirettamente. Un risultato del tutto opposto agli intenti della norma e alle prescrizioni della Costituzione.

L’assurdo è che mentre si vuole così, in modo comunque scomposto e inefficace, valorizzare la figura del segretario, contestualmente la si sminuisce assegnando ad un altro “uomo di fiducia” in modo espresso la direzione dei controlli “strategici”: il direttore generale.

L’espunzione della figura del direttore generale dalla stragrande maggioranza dei comuni, operata nel 2009, è la dimostrazione di un altro dei grandissimi e pesantissimi fallimenti delle già ricordate e mai troppo deprecate (per primo dal legislatore stesso che le continua ad azzerare) riforme Bassanini.

E’ veramente da stigmatizzare, comunque, che il legislatore abbia modificato con un emendamento la norma sul controllo strategico, assegnandone la direzione espressamente in capo ai direttori generali sia per la scelta che appare infelice vista la natura solo eventuale di questa figura e la sua condanna all’estinzione per manifesta non necessarietà ed onerosità. Ma la cosa più sorprendente è che è bastato il lobbismo di poche decine di direttori generali “di fiducia” di altrettanti sindaci, per modificare una norma ed attribuire una funzione, per altro, sostanzialmente solo onorifica, considerando l’utilità scarsissima del controllo strategico negli enti locali, nonostante il suo nome così altisonante.

Talvolta, mobilitazioni di centinaia di migliaia se non milioni di lavoratori non bastano a smuovere dalle proprie intenzioni Governo e Parlamento. Ad esempio, i guai che il riordino delle province determinerà a decine di migliaia di lavoratori e soprattutto a milioni di cittadini non sembrano minimamente far rivedere le proprie posizioni ai legislatori. Le isterie di pochi direttori generali sì.

Meccanismi strani, che dimostrano quanto importante sia per gli organi di governo tenere ben saldi i rapporti con la “dirigenza di fiducia”, quella che non dice nulla se i costi dei consigli regionali aumentano di 14 volte o si adottano provvedimenti molto in bilico con la legittimità.

E’ palpabilmente chiaro, tuttavia, come la lotta alla corruzione ed i controlli sulla regolarità dell’azione amministrativa dovrebbero passare per un effettivo rafforzamento dell’autonomia della dirigenza dalla politica, con la radicale eliminazione dello spoil system e del potere di politici di formarsi gli staff amministrativi ad uso e consumo proprio e non nell’interesse della Nazione, come pure imporrebbe l’articolo 98 della Costituzione.

Finchè non si intraprende questa strada, le norme su controlli ed anticorruzione rimarranno schizofreniche, idonee a creare solo adempimenti, ma certamente inefficaci.

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