venerdì 8 febbraio 2013

#Stipulazione dei #contratti, decreto “sviluppo” o “regresso”?

 

La questione dell’interpretazione dell’articolo 11, comma 13, del d.lgs 163/2006 come novellato dall’articolo 6, comma 3, del d.l. 179/2012, convertito in legge 221/2012 sembra molto simile alla querelle apertasi anni addietro, in merito all’abolizione del rinnovo dei contratti.

Come si ricorderà, il rinnovo venne abolito dalla legge, ma per mesi ed anni per via interpretativa in molti continuavano a sostenere che le amministrazioni, mediante il bando, potevano comunque prevederlo. E sono stati necessari ripetuti interventi del Consiglio di stato, per spiegare che se una norma che stabilisce una certa disciplina viene abolita, anche tacitamente, da una disciplina successiva, questa dimostra la volontà del legislatore di non voler più disciplinare la materia nel modo antecedente alla riforma, la quale modifica, dunque, l’ordinamento introducendo una nuova e diversa regolazione.

La questione della riforma delle modalità di stipulazione dei contratti vede molteplici voci (da ultimo, G.P. Turcato, Le modalità di stipula dei contratti pubblici, una norma di difficile interpretazione, in www.leggioggi.it) che, in estrema sintesi, ritengono che la novella legislativa in realtà non avrebbe novellato nulla.

Tutto continua come prima, sicchè a parte i contratti ricevuti dal notaio, gli unici a dover rivestire la forma del documento informatico, tutti gli altri possono essere stipulati in forma pubblica amministrativa in formato cartaceo, oppure in forma pubblica amministrativa in formato elettronico secondo le regole fissate dall’amministrazione, oppure mediante scrittura privata in forma cartacea (o, se lo si ritiene opportuno, in forma elettronica).

Cioè, esattamente come prevedeva la versione precedente dell’articolo 11, comma 13, del d.lgs 163/2006.

Ora, nessuno nega che il legislatore abbia intrapreso con fin troppa decisione la strada della pessima scrittura delle leggi, utilizzando un periodare involuto, pieno di incisi, che si presta a duplici se non triplici letture.

Tuttavia, a meno di interprtetazioni “ufficiali” (ma sarebbe meglio autentiche, con legge; saremmo stufi di circolari o note, prive di qualsiasi valore giuridico…), indulgere anche da parte di interpreti ed operatori sull’accettazione delle riforme “che non riformano” appare oggettivamente seguire il legislatore nella sua strada.

Già sulla rivista Appalti&Contratti (I contratti in forma pubblica amministrativa sono nulli se stipulati su supporto cartaceo, in www.appaltiecontratti.it) siamo intervenuti per dimostrare che il legislatore ha modificato in modo sostanziale la norma, che non elenca più in sequenza le quattro possibili forme di stipulazione, avendo eliminato dal testo il “nonché” che univa, nella sequenza, la forma elettronica alle altre tre:

Art. 11, comma 13, d.lgs 163/2006 vecchio testo

Art. 11, comma 13, d.lgs 163/2006 nuovo testo

Il contratto è stipulato mediante atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante

Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell'Ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata

La forma pubblica amministrativa in modalità elettronica, sia dalla piana lettura del testo novellato, sia, soprattutto, dal confronto col precedente testo, appare necessariamente l’unica possibile. Sia anche consentito di sottolineare che il legislatore nel precedente testo parlava di “forma” elettronica, mentre nel nuovo testo si riferisce a “modalità” elettronica, sintagma che chiarisce ancor meglio come la modalità della stipula è solo elettronica, senza spazio alcuno per “forma” cartacea.

Vi è, tuttavia, un’argomentazione se si vuole metagiuridica. La novella è introdotta da un decreto “sviluppo-bis”, nell’ambito del quale si insiste molto su concetti come “agenda digitale”, mentre è noto che la dematerializzazione dei documenti, la gestione informatica delle pratiche (si dia un’occhiata all’articolo 1, comma 30, della legge 190/2012), sono considerate uno strumento sia di risparmio, sia di incremento dell’efficacia e produttività dell’azione amministrativa.

Alla luce di tutto ciò, appare francamente singolare che un decreto teso allo “sviluppo”, possa essere interpretato come volto a mantenere lo status quo, cioè la forma cartacea dei documenti.

E’ un processo logico che proprio non tiene. La pubblica amministrazione dovrebbe essere la guida verso il mondo della dematerializzazione. Letture di norme innovative di tipo, al contrario, conservatore, magari giustificate dal fatto che “non tutte le amministraizioni sono ancora pronte” è un modo per affermare che lo “sviluppo” non passa e non deve passare per l’organizzazione pubblica. Il decreto, dunque, per i contratti, sarebbe un decreto “regresso”, che ammette ancora la forma cartacea e, forse, a mala pena tollera che si utilizzi, per redigere il contratto, il computer invece della penna d’oca e della carta pergamena.

L.O.

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