L’Italia si vuole autocondannare ai trucchi contabili, finchè prima o poi qualcuno metterà davvero il naso nei conti e faremo la fine della Grecia, se non peggio.
L’ultimo gioco di prestigio viene proposto da un “mago” che del suo passaggio ai governi ha già lasciato, purtroppo, indelebile traccia: quel Franco Bassanini che ha introdotto lo spoil system, anticipato con i suoi decreti una riforma costituzionale poi intervenuta solo in parte, abolito tutti i controlli preventivi, decentrato le funzioni a regioni comuni e quelle province che ora si vogliono abolire, reso la gestione amministrativa un disastro.
Il trucco, per accelerare i pagamenti delle amministrazioni agli appaltatori, in breve è: far certificare i crediti alle aziende, che poi ottengono l’anticipazione dalle banche, che si fanno garantire indirettamente dalla Cassa Depositi e Prestiti. E si pretende di dimostrare che ciò non comporterebbe nuovi debiti o aggravi di spesa.
Ora, se il sistema funzionasse in modo corretto, l’aggravio di spesa è evidente: la CdP, infatti, pagherebbe alle banche gli interessi sui prestiti concessi alle aziende che si sono fatti certificare i crediti. La manovra, dunque, non è a saldo zero, ma onerosa, e molto, per le casse pubbliche.
Ma, il vero problema è un altro e molto più grave. A Ballarò il neo Ministro del lavoro, Poletti, difendendo l’idea, ha affermato che non sarebbe vero che l’intervento proposto da Bassanini farebbe emergere nuovo debito, in quanto si tratta di costruire solo una garanzia su debiti che già esistono. Il Ministro dimostra, purtroppo, una conoscenza piuttosto sommaria (cosa gravissima) della contabilità pubblica.
Andiamo al punto. L’articolo 9, comma 2, del d.l. 78/2009, convertito in legge 102/2009, dispone che le amministrazioni pubbliche “al fine di evitare ritardi nei pagamenti e la formazione di debiti pregressi, il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica; la violazione dell'obbligo di accertamento di cui al presente numero comporta responsabilita' disciplinare ed amministrativa. Qualora lo stanziamento di bilancio, per ragioni sopravvenute, non consenta di far fronte all'obbligo contrattuale, l'amministrazione adotta le opportune iniziative, anche di tipo contabile, amministrativo o contrattuale, per evitare la formazione di debiti pregressi”.
Cos’ ha di strano la disposizione? Che ammette, e disciplina, la possibilità che gli stanziamenti non consentano di fare fronte agli obblighi contrattuali.
Traduciamo. La procedura di spesa delle amministrazioni passa attraverso alcune fasi. Presupposto ne è lo “stanziamento” in bilancio, cioè la previsione della somma massima che, per un determinato fine, si ritiene di spendere. Ad esso segue l’“impegno”, il provvedimento che vincola contabilmente tutta o parte della somma stanziata al pagamento di una prestazione contrattata con un appaltatore; a seguito dell’impegno, quella somma può essere utilizzata solo a quel fine.
Ora, è evidente che l’impegno deve essere di importo uguale o inferiore allo stanziamento e che, comunque, occorre vi sia lo stanziamento.
Ma, quando la stessa legge ammette che, sia pure per motivi sopravvenuti, lo stanziamento di bilancio non consenta di far fronte all’obbligo contrattuale, ciò significa scolpire per legge un comportamento operativo devastante per le casse pubbliche: l’adozione di impegni “sommari”, cioè non retti da stanziamenti certi. A questa terribile pratica, fonte di creazione di debiti che poi non è possibile pagare, si affianca quella dei “debiti fuori bilancio”: cioè la costituzione di obbligazioni contrattuali di pagamento, in assenza dell’impegno o, perfino, sia di impegno, sia di stanziamento.
Molte delle situazioni debitorie della pubblica amministrazione derivano da questo modo scorrettissimo di gestire i conti pubblici. Insomma, le amministrazioni non pagano perché costruiscono le proprie obbligazioni sostanzialmente senza avere la disponibilità reale delle risorse.
E’ evidente che la certificazione dei crediti, in questi casi, fa emergere in pieno l’assenza dello stanziamento e, dunque, evidenzia un debito che viene nascosto. Pertanto, le banche, in realtà, invece di anticipare i soldi alle aziende, finiscono per prestare i soldi alle amministrazioni debitrici, garantite dalla CdP, che, di fatto, è il prestatore di ultima istanza. Insomma, le amministrazioni si farebbero dare dalla CdP i soldi che non avevano al momento dell’avvio della prestazione e della posizione debitoria, passando attraverso le banche, che ne guadagnano con le relative operazioni.
L’idea proposta sarebbe neutrale e indolore (e fino a un certo punto) se i debiti fossero solo cagionati dalle regole assurde del patto di stabilità, che lega i pagamenti in conto capitale al ritmo degli incassi e a quello degli impegni di spesa, impedendo, spessissimo, di pagare pur essendovi le disponibilità dei bilanci.
Ma, poiché tantissimi, e per altro non conosciuti, sono i debiti creati per il perverso modo di gestire i bilanci descritto sopra, un sistema come quello proposto in questi giorni appare semplicemente devastante. E conferma l’avventurismo dei vertici politici ed amministrativi, oltre che una conoscenza davvero incredibilmente sommaria del sistema.
[…] – 27 febbraio 2014 – #PA #debiti #cassadepositieprestiti Il salto nel buio dei pagamenti in salsa renziana di Luigi […]
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