La pretesa “fiduciarietà” degli incarichi dirigenziali o comunque di vertice, in particolare a soggetti esterni, resta uno degli argomenti spinosi dell’amministrazione pubblica in generale e locale, in particolare.
Un’ennesima conferma dell’illegittimità di incarichi attribuiti per esclusiva ampia scelta personale e fiduciaria del sindaco proviene dalla sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale della Calabria, 5 febbario 2014, n. 25.
Il caso si riferisce all’assegnazione di un incarico di responsabile di servizio in un comune privo di dirigenza, ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000, ma le indicazioni fornite dalla magistratura contabile valgono in generale per la fattispecie degli incarichi dirigenziali in senso tecnico.
Un primo assunto fondamentale della sentenza è la diretta applicabilità all’ordinamento locale dell’articolo 19, commi 6 e seguenti del d.lgs 165/2001.
La Sezione Calabria non riesce a svincolarsi dalla teoria da considerare errata della convivenza dell’articolo 110 del d.lgs 267/2000, con l’articolo 19, commi 6 e seguenti, del d.lgs 165/2001 elaborata dalle Sezioni Riunite in sede di controllo e si accoda alla posizione intermedia della necessaria integrazione della disciplina del Tuel con quella generale destinata ai lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni.
Di conseguenza, sancisce la sentenza, “nell’ambito della disposizione di cui all’ art. 110, 1 comma trova applicazione sia la disciplina degli incarichi esterni fissata negli art. 6 e 6 bis del d. lgs. 165/2001, direttamente applicabile agli enti locali, sia la previsione che, comunque, restino fermi i requisiti della qualifica da ricoprire”.
L’elemento di particolare pregio della decisione della Corte dei conti della Calabria, tuttavia, va oltre. Infatti, la pronuncia per un verso chiarisce che se i destinatari degli incarichi dirigenziali a contratto sono dipendenti dell’ente, essi debbono possedere i requisiti prescritti dal comma 6 dell’articolo 19, non essendo allo scopo sufficiente la mera circostanza di intrattenere un rapporto di lavoro con l’ente. Infatti, chiariscono i giudici contabili, “possono ancora conferirsi incarichi a dipendenti interni non dirigenti, in possesso dei requisiti richiesti dalla norma”. Dunque, i dipendenti interni, per essere eventualmente destinatari di incarichi a contratto occorre che “abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza”.
In secondo luogo, e si tratta dell’elemento di maggiore novità e pregio della sentenza della Sezione Calabria, i magistrati contabili stabiliscono che alle amministrazioni locali non solo si applichino i commi 6 e seguenti dell’articolo 19 del d.lgs 165/2001, ma anche il comma 1-bis, ai sensi del quale “l'amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta”.
La Corte dei conti ritiene che la disposizione da ultimo citata costituisca un vincolo indefettibile per le amministrazioni, che vi si debbono attenere anche nell’ipotesi di incarichi a contratto, per almeno due ragioni. Sia per una corretta verifica che all’interno sussistano le competenze necessarie, attivando una procedura valutativa, sollecitando i vertici a candidarsi alla copertura del posto. Sia, in assenza accertata di professionalità interne, per selezionare comunque anche dall’esterno soggetti che dispongano in ogni caso dei requisiti necessari. Pertanto, secondo la sentenza non c'è dubbio “che i requisiti non possano non essere comunque quelli previsti quanto meno dall'articolo 28, comma 2, lettera b), del d.lgs. 165/2001 e dunque, indefettibilmente, la laurea e un'esperienza dirigenziale anche nell'ambito privato. Poiché, però, i requisiti debbono riguardare la qualifica da ricoprire, occorre che la laurea e l'esperienza lavorativa siano entrambe qualificanti e diano il chiaro segno del possesso di una professionalità tale da garantire il miglior disimpegno dello specifico incarico dirigenziale che pertiene al posto da coprire”.
Detto in parole più semplici, la Corte dei conti pretende, sulla base della piana lettura delle disposizioni legislative, che vi sia una selezione seria del soggetto da acquisire come dirigente, alla luce di una valutazione molto profonda delle competenze dimostrate, requisito indefettibile qualora sia incaricato non mediante la strada maestra del concorso, bensì attraverso il più contorto sistema degli “incarichi a contratto”. I quali debbono garantire un risultato non di minor portata rispetto al concorso. Anzi, di più: la possibilità di incaricare senza una procedura concorsuale “formale” persone esterne all’ente, presuppone che la loro professionalità non sia ancora da formare, ma già conclamata e dimostrabile dai titoli di studio e dalle esperienze lavorative, le quali non possono che essere di maggiore spessore rispetto all’ordinaria attività di un qualsiasi altro dipendente.
Infatti, precisa la sentenza, “occorre tenere presente che i dirigenti pubblici sono chiamati in prima persona non solo a dirigere, ma anche ad adottare atti amministrativi e/o tecnici, sicché il possesso della sola laurea o di un'esperienza "manageriale" di per sé non possono essere sufficienti a giustificare la copertura di un posto specifico, nel quale non ci si può solo limitare a impartire direttive, poiché occorrono conoscenze specifiche a supporto di un'azione amministrativa concreta, che deve essere effettuata da chi è in grado di garantire non solo efficienza, ma anche legittimità, imparzialità e buon andamento, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione”.
La conclusione inevitabile che consegue a queste considerazioni è che la scelta del soggetto da incaricare deve necessariamente poggiarsi su basi tecniche, quelle, cioè, che consentono di valutare la sua “particolare” professionalità, meglio se in confronto con altri.
Questo, dunque, esclude radicalmente che la scelta possa avvenire sulla base dell’intuitu personae, come troppo spesso ancora, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, si ritiene.
La Corte dei conti della Calabria ricorda che l’intuitu personae o la “fiduciarietà” degli incarichi dirigenziali dovrebbe considerarsi estirpato dall’ordinamento a seguito delle sentenze della Consulta formatesi dopo la 103/2007 e, in particolare, la 161/2008, ove si legge: “alla base della stessa distinzione funzionale dei compiti tra organi politici e burocratici e cioè tra l'azione di governo – che è normalmente legata alle impostazioni di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l'azione dell'amministrazione, la quale, nell'attuazione dell'indirizzo politico della maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzioni di parti politiche e dunque al “servizio esclusivo della Nazione” (art. 98 Cost.), al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall'ordinamento» (sentenza n. 103 del 2007).
In definitiva, dunque, la natura esterna dell'incarico non costituisce un elemento in grado di diversificare in senso fiduciario il rapporto di lavoro dirigenziale, che deve rimanere caratterizzato, sul piano funzionale, da una netta e chiara separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie”.
Nel caso di specie trattato dalla sentenza della Corte dei conti della Calabria, l’esame del curriculum del soggetto incaricato ai sensi dell’articolo 110 faceva emergere “esclusivamente una preparazione accademica”, cioè l’assenza di un’esperienza lavorativa di particolare rilievo e la non piena conferenza della laurea con l’incarico: il che ha reso “pertanto illegittimo il conferimento dell’incarico, anche sotto questo aspetto”.
In effetti, conclude la Corte dei conti, la scelta del sindaco, nel caso di specie, si è mostrata viziata perchè “non adeguatamente motivata e non supportata perciò da un percorso tecnico – amministrativo descritto dalla normativa vigente che pone al centro la valutazione delle caratteristiche del destinatario dell’incarico in rapporto all’incarico da perseguire”.
L’ente non si è curato di pubblicare, quanto meno, un semplice avviso di selezione (obbligatorio non solo per le procedure concorsuali), né ha stabilito “i criteri di scelta da utilizzare, anche se, si ritiene, senza obbligo di graduatoria ma con un motivato giudizio di idoneità/inidoneità all’incarico e, quindi, con una ampia discrezionalità nella individuazione del candidato prescelto, il quale deve essere in possesso delle competenze predeterminate dall’Ente”.
Qualsiasi sia lo strumento procedurale per individuare il soggetto cui affidare l’incarico, aggiunge la sentenza, “deve essere tale da soddisfare i canoni costituzionali di legalità e buon andamento, richiedendo per l’ammissione alla procedura selettiva la compresenza di entrambi i presupposti, titolo di laurea ed esperienza lavorativa, ai fini della sussistenza dei requisiti della particolare e comprovata qualificazione professionale necessaria per il conferimento del singolo incarico”.
Le considerazioni svolte in modo totalmente condivisibile dalla sentenza della Sezione Calabria, nel nuovo assetto ordinamentale trovano un ulteriore indefettibile supporto, che attribuisce loro un peso ancora maggiore e rilevante.
Si allude al sistema di garanzia della corruzione che, ai sensi dell’articolo 1, comma 16, lettera d), della legge 190/2012 considera ex lege a particolare rischio di corruzione i procedimenti di “concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all'articolo 24 del citato decreto legislativo n.150 del 2009”.
Apparentemente la norma non sembra riferirsi ad ipotesi come l’assegnazione di incarichi dirigenziali o di vertice “a contratto”. Soffermandosi, infatti, solo sul nomen iuris degli istituti contemplati dalla norma (concorsi e progressioni di carriera), sistemi di reclutamento come quelli di cui all’articolo 110 del d.lgs 267/2000 si potrebbero considerare esclusi.
E’, ovviamente, una conclusione che non merita accoglimento. Il legislatore anticorruzione, infatti, si riferisce in termini generici a qualsiasi procedura volta a reclutare personale.
Del resto, il Piano Nazionale Anticorruzione, nel disaggregare i “rischi specifici” connessi appunto con l’articolo 1, comma 16, lettera d), della legge 190/2012, segnala due ipotesi di esposizione alla corruzione perfettamente pertinenti al caso:
- previsioni di requisiti di accesso “personalizzati” ed insufficienza di meccanismi oggettivi e trasparenti idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti.
- motivazione generica e tautologica circa la sussistenza dei presupposti di legge per il conferimento di incarichi professionali allo scopo di agevolare soggetti particolari.
Poiché non vi è dubbio che un’interpretazione costituzionalmente orientata (del resto imposta dalle sentenze della Corte costituzionale) delle procedure di conferimento degli incarichi dirigenziali escluda la fiduciarietà e l’intuitus personae (salvo gli incarichi negli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e dei massimi vertici ministeriali, ove esistono influenze politiche nell’azione dirigenziale), allora qualsiasi altro incarico deve necessariamente essere il frutto di procedure quanto meno comparative, secondo le indicazioni ben sintetizzate dalla Corte dei conti della Calabria.
Sicchè, non è certamente ammissibile precostituire requisiti di accesso tagliati su misura sul destinatario dell’incarico, o attivare meccanismi di verifica dei requisiti del tutto insufficienti e carenti di strumenti oggettivi, elementi costitutivi del primo fattore di “rischio specifico” di corruzione visto sopra; né è possibile attribuire gli incarichi in assenza di una motivazione profonda e chiara, che, per la verità, può risultare davvero completa ed efficace solo in funzione della sussistenza di criteri oggettivi di confronto selettivo.
E’ di tutta evidenza che attribuendo incarichi solo per via fiduciaria o intuitu personae (che si traduce letteralmente, avendo avuto riguardo della persona), senza procedure selettive oggettive e senza motivazioni che vadano oltre la considerazione della persona e della fiducia in essa riposta, i rischi di assegnazioni clientelari o solo di fiducia mal riposta nelle capacità tecniche sono elevatissimi. Si deve tenere presente che una carenza nella capacità di selezionare i soggetti meglio capaci di gestire le risorse pubbliche e di perseguire le finalità dell’amministrazione, non solo crea presupposti per azioni “interne” viziate da corruzione amministrativa (quando non anche penale); ma, soprattutto, incide negativamente su tutta la comunità amministrata, che subisce le conseguenze di un’amministrazione disattenta ai bisogni generali.
I casi dei presidenti dell’Inps e dell’Asi, recentemente emersi, stanno a dimostrare che scelte solo fiduciarie, per altro cadute su soggetti in plateali situazioni di conflitto di interessi, tutto hanno fatto, salvo che consentire il perseguimento della buona amministrazione e dell’interesse generale.
[…] – 8 febbraio 2014 – #PA #lavoro Incarichi fiduciari illegittimi e in contrasto con l’anticorruzione di Luigi […]
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