sabato 24 maggio 2014

Serve davvero più contrattazione nel #lavoro pubblico? #pa #riforme

I sindacati, nell’intento di partecipare alla curiosa forma di consultazione on line indetta dal Governo sulle linee di riforma della pubblica amministrazione rispondono punto su punto. Ed alle 44 idee di riforma (per la verità, molte delle quali tutt’altro che nuove e originali) ne aggiungono una 45^: “e il contratto nazionale dei lavoratori della pubbliche amministrazioni? Sicuri di poter chiedere sforzi e uno scatto di modernità a un pubblico impiego impoverito e demotivato da 5 anni di blocco?

Senza la riapertura della contrattazione nessuna vera riforma è possibile. Non si tratta solo di sanare una situazione di ingiustizia ormai evidente. Il contratto è uno strumento di governo dei processi di riforma”.

I sindacati, ovviamente, fanno il loro mestiere e naturalmente difendono lo strumento del loro lavoro, la contrattazione. Questa difesa, anzi, rilancio della contrattazione appare tanto più orgogliosa e significativa, proprio nei confronti di un Governo che ha manifestato molto chiaramente l’intenzione di ridurre al minimo le relazioni sindacali, non solo nell’ambito del lavoro pubblico, ma in generale nelle relazioni economiche e sociali, abbracciando una certa idea di liberismo, nella quale si congiungono decisionismo, libertà da mediazioni con i corpi intermedi, tentativi di riforme che guidino comunque verso lo sviluppo, inducendo appunto sindacati, associazioni di categoria, ordini, albi e qualsiasi soggetto organizzato ad utilizzare le proprie energie non per determinare la pianificazione delle decisioni, bensì per orientare nelle singole realtà il modo più corretto per trarre beneficio dalle riforme.

Se queste appaiono le intenzioni, oggettivamente si deve affermare che esse sono ancora ben lontane dalla realtà. Per quanto concerne la riforma dell’amministrazione pubblica, i 44 punti individuati dal Presidente del consiglio e dal Ministro della funzione pubblica solo in piccolissima parte appaiono davvero in grado di conseguire una riforma volta a sviluppo e semplificazione.

Uno tra i problemi delle riforme è individuare i corretti strumenti e i mezzi per perseguirli. I sindacati pongono, allora, il problema della contrattazione. La domanda implicita dietro l’esortazione al Governo di inserire il 45° punto è sostanzialmente come pretendere di riuscire a modificare in modo così radicale, come nelle intenzioni, l’amministrazione pubblica, senza il coinvolgimento dei lavoratori e, soprattutto, senza conciliare la richiesta di nuova professionalità e flessibilità (si pensi alle idee, anche corrette, sulla mobilità territoriale, sulle mansioni, sulla possibilità di perdere il lavoro per ragioni economiche), con uno strumento di incentivazione, come il contratto. Che commisuri, ovviamente, le maggiori flessibilità e produttività richieste alla capacità di spesa e agli obiettivi da raggiungere.

Rilevata la legittima aspirazione dei sindacati sia ad “entrare nel gioco” delle riforme, sia, soprattutto, a sbloccare la contrattazione ferma al ritardo record di 5 anni (per altro, anche col congelamento dell’indennità di vacanza contrattuale, che doveva coprire proprio i periodi di stallo della contrattazione), occorre, però, porsi anche la domanda speculare a quella dei sindacati. Cioè, chiedersi se sia corretto affermare che il contratto è davvero strumento dei processi di riforma.

Analizziamo un dato, estratto dal Conto annuale del Tesoro. La spesa per il personale dipendente delle amministrazioni pubbliche nel 2001 ammontava ad euro 132.292.788.432; nel 2009, la spesa era passata ad euro 169.091.011.921, con un aumento di circa 37 miliardi; per poi ripiegare, nel 2012 ad euro 160.403.332.273.

Cosa è successo tra il 2001 e il 2009? Il 2001 è, nella sostanza, il primo anno di vera e completa attivazione della contrattazione collettiva di stampo privatistico nel lavoro pubblico. Negli anni successivi, si sono prodotti i contratti (quadriennali di stampo giuridico, biennali connessi al trattamento economico), che hanno progressivamente aggiornato i valori stipendiali.

Nei 9 anni tra il 2001 e il 2009, dunque, la spesa per gli stipendi pubblici è salita quasi del 28%. Si è trattato di una crescita esponenziale, di una delle voci che maggiormente pesano sulla spesa pubblica totale, quasi per il 20%, per altro in una fase di riduzione del Pil e della produttività complessiva.

La spesa del personale si riduce a partire proprio dal 2009, ultimo anno della contrattazione. Certo, dal 2009 in avanti gli effetti del blocco del turn over, partito qualche anno prima, hanno cominciato ad evidenziarsi di più.

Ma, nella sostanza, per contenere la spesa pubblica connessa alla contrattazione, il Legislatore ha dovuto ricorrere a due strumenti dirigistici draconiani: il contenimento delle assunzioni (da cui deriva anche l’invecchiamento insostenibile dei dipendenti pubblici); il blocco della contrattazione.

Allora, la contrattazione – è da chiedersi – ha funzionato come strumento delle riforme, tutte “rivoluzionarie”, degli anni passati? Ha contribuito a cambiare la pubblica amministrazione, a renderla più efficiente, veloce, misurabile nella produttività?

A differenza di quanto ritengono molti, la risposta non può essere del tutto negativa. La pubblica amministrazione negli scorsi anni è cambiata moltissimo. Contrariamente alla vulgata, di riforme ne sono state prodotte tantissime[1]. Probabilmente troppe, così tante da essere esse stesse causa di ingessamento e caos, perché fatte in modo torrenziale ed episodico, senza un coordinamento, così da accumulare senza ordine adempimenti, novità, ritorni al passato, passi più lunghi della gamba, nuovi strumenti senza risorse, nuove risorse senza strumenti.

Tuttavia, la contrattazione collettiva nella pubblica amministrazione rispetto al tema, per esempio, della verifica del legame evidente tra produttività ed incrementi salariali è stata sostanzialmente nulla, mentre, allorchè le relazioni sindacali e la concertazione erano viste e svolte di buon grado dai governi, pochissimo ha influito sulla tempesta di riforme che ha investito l’Italia, nonostante tutti spergiurino che le riforme non siano state mai fatte.

L’unico effetto evidente della contrattazione appare essere proprio solo l’impennata della spesa di personale e poco altro.

La normativa sulla contrattazione, come la contrattazione stessa, nemmeno è riuscita a trasformare pienamente le amministrazioni in datori privati. Si è lasciato troppo spazio nella gestione del personale e nell’organizzazione alla politica, che l’ha occupata sia invadendo spazi della contrattazione, allo scopo di condividere i consensi proprio con le organizzazioni sindacali, sia per provare a costruire una dirigenza funzionale non all’efficacia della gestione, bensì alla politica stessa.

Non solo: la stessa autonomia contrattuale delle amministrazioni pubbliche è stata, al contempo, affermata e negata. Lo dimostra la situazione paradossale dello stato della contrattazione. Non c’è ente locale che non subisca le pesantissime reprimende delle ispezioni della Ragioneria generale dello Stato, che se da un lato rivelano troppi errori e leggerezze nella gestione della contrattazione, dall’altro fanno emergere come la disciplina normativa e contrattuale delle risorse della contrattazione decentrata sia troppo cervellotica. Non è possibile, anche solo statisticamente, che tutte le amministrazioni abbiano sbagliato nel gestire la propria autonomia contrattuale per dolo. E’ chiaro che una buona parte degli errori sono frutto di norme poco chiare, confuse, succedutesi senza ordine e criterio; nonché, cagionate da “prassi” interpretative, costruite sulla base di pareri di soggetti che hanno trasformato la funzione di controllo – giusta e sacrosanta – in una vera e propria ingerenza di merito sia nella discrezionalità amministrativa, sia nella stessa autonomia privata, ridotta a pura forma e mortificata.

Poiché questi sono i fatti, allora, la conclusione da trarre non può che esserne condizionata. La contrattazione con le riforme, a ben vedere, non ha molto a che vedere. Non ne è condizione, né tampoco strumento.

La contrattazione deve servire solo per adeguare alle riforme il modo di lavorare: essere la sede di regolazione della flessibilità, ma non la fonte della spesa, che rischia di divenire incontrollata. Deve risultare lo strumento per definire il rapporto tra produttività e salario accessorio, ma entro standard fissati dalla legge e limiti di spesa prestabiliti, al riparo da ingerenze di merito, per quanto soggetta a controlli finanziari rendicontativi.

I sindacati conoscono il mondo del lavoro dal di dentro e, dunque, la loro richiesta di essere considerati come interlocutori “competenti” non è certo peregrina. Di sicuro, trattandosi di soggetti organizzati per deleghe e consensi, secondo il principio della rappresentanza, possono rappresentare un modo omogeneo e coordinato di relazionarsi col Governo per analizzare i temi delle riforme, molto di più del populistico coinvolgimento di decine di migliaia di persone, mediante l’anonimo e unilaterale sistema delle mail.

Tuttavia, l’ascolto dei sindacati e degli altri corpi intermedi della società, se appare corretto e non sostituibile con “la rete”, visto che la democrazia diretta è possibile solo al livello di città-Stato, non deve trasformarsi in modalità vincolistiche, tali da imbrigliare le scelte organizzative nella ricerca di un consenso contrattuale. La contrattazione può essere utile se riferita davvero al funzionamento della macchina, non alla sua progettazione.

 

 

 

 

 

 

[1] Ecco un’elencazione solo sommaria ed incompleta delle “riforme” degli ultimi 20 anni:

-          Elezione diretta del sindaco e presidente della provincia;

-          Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali;

-          Ordinamento degli enti locali;

-          Legge elettorale regionale;

-          Decentramento amministrativo (pacchetto di riforme-Bassanini);

-          Riforma della scuola 1 (Berlinguer);

-          Riforma della scuola 2 (Brichetto-Moratti);

-          Riforma della scuola 3 (Gelmini);

-          Riforma del mercato del lavoro 1 (Treu);

-          Riforma del lavoro a tempo determinato, 1, 2 e3;

-          Riforma del mercato del lavoro 2 (cosiddetto pacchetto Biagi);

-          Riforma del Titolo V della Costituzione;

-          Riforma delle Fondazioni bancarie;

-          Riforma del condominio 1 e 2;

-          Riforme fiscali:

  • Introduzione dell’Irap;

  • Abolizione dell’Invim;

  • Introduzione dell’Ici;

  • Abolizione Ici sulla prima casa;

  • Modifca almeno tre volte delle aliquote Irpef;

  • Dall’Irpeg all’Ires;

  • Riforma a getto continuo delle imposte e tasse locali per i servizi: Imu, Tares, Tasi;

  • Condoni di ogni tipo;


-          depenalizzazione del falso in bilancio;

-          riforma dei servizi pubblici locali 2001, 2003, 2006, 2007, 2009, 2010; 2012 e 2013;

-          riforma della pubblica amministrazione: 1993, 1998, 2001, 2005, 2008, 2009, 2010;

-          riforma del procedimento amministrativo: 2005, 2009, 2013;

-          riforma del commercio: 1997, 2011;

-          riforma del diritto societario;

-          riforma della legge fallimentare;

-          riforme del diritto processuale civile;

-          riforme a getto continuo e senza interruzione del diritto processuale penale;

-          giudici di pace;

-          conciliazione, eliminata e poi ripristinata;

-          espropriazione per pubblica utilità;

-          disciplina dell’edilizia;

-          documentazione amministrativa (autocertificazioni), 2000 e 2012;

-          Durc 2003;

-          Appalti: 1994, 1997, 2000, 2003, 2006, 2008, 2010 (per restare solo alle principali);

-          Introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione;

-          Riforma delle telecomunicazioni (legge Gasparri);

-          Privatizzazioni varie;

-          soppressione della leva obbligatoria;

-          riforma dell’Università;

-          riforma del diritto alla privacy;

-          riforma e controriforma delle prestazioni dei medici intramoenia;

-          introduzione delle Agenzie autonome, scorporate dai Ministeri;

-          riforma delle pensioni Dini, Maroni, Damiano e Fornero.

-          Riforma elettorale Mattarellum e Porcellum

-          riforme del codice della strada

-          riforma del processo amministrativo

-          riforma della sicurezza nei luoghi di lavoro.

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