Su Il Messaggero del 22 settembre è pubblicato l’articolo “Appalti e burocrazia, la semplificazione via dello sviluppo”, a firma di Michele Corradino, che rappresenta il perfetto esempio della captatio benevolentiae verso le riforme purchè siano, condito da “managerialismo” ad effetto, per far capire che si conosce il “latinorum”.
L’intervento sul giornale è una disamina degli effetti della riforma in corso al codice dei contratti, tratteggiata come avesse miracolistiche capacità taumaturigiche di per sé.
La premessa del ragionamento è, ovviamente, che la disciplina degli appalti pubblici è soffocata dalla burocrazia (mo’ me lo segno, cit). Ma per fortuna “Il nuovo intervento normativo risponde però ad una logica completamente diversa, che può avere grande capacità innovativa”.
Certo, l’innovazione è fondamentale. Ed è molto facile innovare, ovviamente, nella pletora di norme imperscrutabili che caratterizzano la normativa degli appalti. Non parliamo, poi, di quanto ciascun becero burocrate delle amministrazioni sarà in grado di innovare, una volta che le competenze siano ristrette a qualche decina di centrali d’acquisto, che, però, inutile dirlo, saranno estremamente innovative.
Ma, in un’esaltazione delle riforme e dell’innovazione può mancare l’accenno alla “flessibilità”? Ma certo che no. Per fortuna è l’Europa con le sue direttive appalti che può correggere i gaglioffi burocrati italiani: “l'Europa ci chiede che i comportamenti della pubblica amministrazione siano improntati a flessibilità. Proprio la flessibilità è la nuova sfida perla nostra economia pubblica”. Indiscutibile.
D’altra parte, “Le nuove direttive prevedono numerosi strumenti che impongono all'amministrazione di confrontarsi con il mercato e, di fronte alle opportunità di rilancio economico che esse offrono, sarebbe gravissimo opporre una chiusura basata sulla paura di innovare”. Non chiudiamoci, per carità. Innoviamo e lasciamo fare ai comportamenti flessibili: sicuramente la Corte dei conti, i Tar e gli stessi giudici ordinari non avrebbero nulla da ridire. Eppoi, più flessibile della gestione degli appalti per la gestione degli immigrati a Roma cosa c’era?
Tuttavia, l’articolo escogita la soluzione alla quale nessuno avrebbe mai pensato per scongiurare pericoli corruttivi: “Questo lo si fa dando due garanzie. Va assicurata, anzitutto, l'assoluta trasparenza degli appalti attraverso la pubblicazione di dati completi e confrontabili che consentano non solo la valutazione delle Autorità ma anche un controllo sociale diffuso da parte del giornalismo d'inchiesta e dei cittadini elettori”. Che ideona! Ma sì, lasciamo stare appunto la vecchia e burocratica magistratura, eliminiamo i controlli amministrativi. Non servono. I dati confrontabili sono la panacea, ma, soprattutto, le inchieste giornalistiche. Vabbè, il Governo e il Parlamento stanno modificando la normativa sulle intercettazioni, in modo che in futuro scandalose gestioni degli appalti come, appunto, in Mafia Capitale, non vengano mai a conoscenza dell’opinione pubblica, né del “giornalismo d’inchiesta”, ma stai a guarda’ er capello. Se si ragiona così, non si sarà mai innovativi e flessibili. Dai, su con i controlli del giornalismo d’inchiesta: sai che paura i corruttori e i corrotti…
Infine, la straordinaria pensata: per garantire questa rivoluzionaria innovazione, l’articolo ci spiega che “Occorre ridurre la juristocracy che caratterizza l'attuale assetto per dare spazio a nuove figure: buyer, controller, merceology”. Ecco! Il latinorum!
Mannaggia a non averci pensato prima. Cosa ci voleva? Bastava dare spazio al “buyer”, e a Roma quel che è accaduto non si sarebbe mai verificato; non parliamo, poi, se ci fosse stato il “merceology”.
Ma che fa, ad esempio, un “buyer”? Su “job online” così si definiscono le mansioni: “i suoi compiti riguardano il monitoraggio costante dei mercati, la gestione delle richieste di acquisto e delle trattative, lo studio dell’affidabilità delle consegne e l’emissione dei contratti. Da un punto di vista organizzativo, il buyer deve sapere innovare continuamente i meccanismi di approvvigionamento al fine di ridurre i tempi e le spese necessarie, programma i fabbisogni e il budget, definisce le priorità”. Proprio innovativo, non c’è che dire. Nessuno nella PA ha mai svolto questo tipo di attività. Non parliamo, comunque, della “capacità di innovare continuamente i meccanismi di approvvigionamento”: la normativa sugli appalti, come è noto, consente di largheggiare tantissimo con questi aspetti.
E insomma, siamo ancora al punto nel quale si pensa che basti utilizzare le parole “innovazione”, “flessibilità” ed inglesismi per diventare manager e modificare il funzionamento della PA.
Ma, chiediamoci: in Italia comunque v’è una spinta nella direzione auspicata dal Corradino verso queste miracolose innovazioni? Ma certo che c’è: “In questa direzione sembra andare la riforma Madia. Legislazione sugli appalti e semplificazione della pubblica amministrazione sono strettamente connessi e insieme possono finalmente proiettare l'economia pubblica italiana in una dimensione transfrontaliera che porti concorrenza, investimenti e sviluppo”. La “dimensione transfrontaliera”! Come non averlo notato prima…
Giunge alla fine della lettura avvincente dell’intervento su Il Messaggero la domanda inevitabile: ma l’Autore, Michele Corradino, chi è? Sarà come minimo un chief managing director o un chief executive manager di qualche impresa privata e multinazionale, aduso alle funzioni innovative di buying e controlling? No. Nell’articolo si scaglia, giustamente, contro la “juristocracy”, la “giuristocrazia” dei troppi laureati in giurisprudenza che infestano la PA, e però il Corradino è un laureato in giurisprudenza, magistrato amministrativo, prima al Tar e poi al Consiglio di stato. Ah! Ma, allora, l’intervento sul Messaggero, con il chiaro “endorsement” (scusate, ma un po’ di latinorum va sfoggiato…) al Governo, che sia un modo per confermare sintonia e fedeltà col Governo? In effetti, guardando in internet si scopre che il Corradino è stato varie volte Capo di gabinetto nei ministeri. E leggendo attentamente l’articolo de Il Messaggero, si scopre l’asterisco che richiama al fondo pagina, ove si specifica che attualmente svolge la funzione di Consigliere presso l’Anac. Una buona parola, dunque, verso chi lo nomina, non gliela dobbiamo consentire?
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