In Italia e, precisamente a Catania, è possibile. Ovviamente, il fatto che sia possibile non significa che sia legittimo. Occorre tenere, infatti, nettamente distinti il piano del “possibile”, da quello del “legittimo”. Possibile è ogni azione che risulti nella portata delle risorse intellettuali e fisiche dell’agente. Legittima è l’azione che, inoltre, risulti anche rispettosa delle leggi.
In effetti, l’azione amministrativa dovrebbe rispettare senza eccezione alcuna il fondamentale principio di legalità, come da sempre ha attestato la pacifica giurisprudenza amministrativa e come dispone l’articolo 1, comma 1, della legge 241/1990: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell'ordinamento comunitario”.
Il problema è che le regole da sole non valgono nulla, se l’intento manifesto delle amministrazioni consiste nel violarle e, soprattutto, se l’opinione comune dei componenti degli organi di governo è che la “managerialità”, le “efficienza” ed “efficacia”, nonché, ovviamente, la “meritocrazia” dei dirigenti consiste nell’obbedire ai comandi della politica stessa, trovando i sistemi per aggirare le leggi nei modi più o meno evidenti.
Questo diffusissimo modo di concepire l’azione amministrativa è una delle cause fondamentali della crisi senza rimedio che viviamo e si trascina da anni, praticamente da sempre. Con l’aggravante che negli ultimi 25 anni l’intero sistema è stato improntato sul principio della separazione della sfera di azione degli organi di governo, da quella della gestione concreta.
Lo scopo di questa distinzione era chiaro: far sì che le scelte concrete da adottare non fossero dettate da scelte influenzate dall’appartenenza dei destinatari a schieramenti politici. Per cui, gli organi di governo debbono limitarsi a disporre solo indirizzi di carattere generale, fissando obiettivi gestionali da conseguire da parte dei dirigenti, i quali attraverso gli atti concreti di natura gestionale si impegnano a cogliere i risultati previsti, ma assicurando l’autonomia operativa per tradurre l’indirizzo generale in scelte operative non condizionate dall’appartenenza (o contiguità con la) politica.
La realtà dei fatti è molto diversa. A ben vedere, nella grandissima parte dei casi, il principio di separazione citato sopra è stato visto esclusivamente come uno “scudo” alla responsabilità amministrativa del vero decisore, cioè l’organo politico, che si avvale del dirigente come mero strumento, per tradurre in atti una decisione adottata dalla politica stessa, senza che essa ne risponda.
La conferma plateale che è questo il modo di concepire il principio di distinzione oltre che nei fatti, nei tantissimi provvedimenti adottati come a Catania, sta, oggi, nella legge 124/2015, esattamente all’articolo 11, comma 1, lettera m), ove si prevede che il legislatore delegato proceda al “riordino delle disposizioni legislative relative alle ipotesi di responsabilità dirigenziale, amministrativo-contabile e disciplinare dei dirigenti e ridefinizione del rapporto tra responsabilità dirigenziale e responsabilità amministrativo-contabile, con particolare riferimento alla esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità per l'attività gestionale, con limitazione della responsabilità dirigenziale alle ipotesi di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.
Insomma, lo schema è: la vera decisione è adottata dall’organo di governo, ma l’atto formale è disposto dal dirigente, sicchè nel caso in cui da tale atto derivino danni erariali sia solo il dirigente a risponderne.
Tale schema è da anni adottato nei fatti dalle amministrazioni locali, tanto di piccole quanto di grandi dimensioni, anche se è sono soprattutto queste ultime ad eccellere nell’aggirare il principio di separazione.
L’esempio del comune di Catania per quanto riguarda il concerto di capodanno è emblematico.
Con delibera 144/2015, del 2 novembre 2015, la giunta approva la delibera ad oggetto “Formulazione d’indirizzo politico per la realizzazione dello spettacolo della Notte di Capodanno 2015-2016”.
Fin qui tutto regolare. La realizzazione di uno spettacolo rientra in effetti della funzione di indirizzo politico amministrativo e di programmazione generale. Simili indirizzi dovrebbero stare in atti di programmazione come il Piano esecutivo di gestione, ma non è il caso di sottilizzare: la provenienza dell’indirizzo di realizzare il concerto da parte dell’organo di governo è corretta.
Le cose cominciano a rivelarsi più complicate, quando nella parte dispositiva della delibera si legge che la giunta dà “mandato al direttore della Direzione Cultura e Turismo di predisporre l'Avviso pubblico, finalizzato ad una indagine conoscitiva, per il reperimento di proposte per la realizzazione dello spettacolo di Capodanno 2015-16, nonché di predisporre i necessari atti per la realizzazione dello stesso”.
Due sono gli elementi che destano curiosità. Il primo riguarda la funzione svolta dalla giunta che “da mandato”. Come si nota, il comune di Catania conferma di considerare, a 26 anni quasi dalla legge 142/1990, la funzione dirigenziale come rappresentativa della volontà dell’organo di governo, che a tale scopo, appunto, conferisce “mandato” al dirigente, quasi essi fosse null’altro che un nuncius. Una concezione della funzione dirigenziale che dovrebbe considerarsi morta e sepolta per sempre, dal momento che le funzioni dirigenziali relative alla gestione e all’adozione di atti attuativi dell’indirizzo politico, che impegnino verso l’esterno, discendono direttamente dalla legge e non derivano per nulla da mandati conferiti dagli organi di governo.
In secondo luogo, si nota che il “mandato” consiste nella predisposizione dell’avviso pubblico. La delibera sul punto è molto precisa: non prende atto del compito legislativamente posto in capo al dirigente di attivare la procedura di gara necessaria per individuare il contraente; al contrario, gli demanda solo la predisposizione dell’avviso pubblico. Come se, poi, la scelta finale del contraente non fosse di competenza dirigenziale.
In effetti, allora, si capisce che il “mandato” conferito non ha per nulla lo scopo di introdurre o ampliare la sfera di competenza del dirigente, bensì, all’opposto, di delimitarla alla sola attività “mera” di raccolta delle manifestazioni di interesse.
Infatti, così è andata. Nella determinazione 31.12.2015, n. 385, si legge quanto segue:
“con provvedimento n. 15/217/Dir del 12/11/2015 è stato approvato l'avviso pubblico per il reperimento di proposte artistiche per la notte di Capodanno 2015/16, con scadenza delle stesse il 23/11/2015;
- in data 25/11/2015 è stata pubblicata la riapertura termini del suddetto avviso, in quanto l'Amministrazione ha ritenuto di voler acquisire ulteriori proposte per una valutazione più ampia ed organica;
- a seguito di esame delle proposte pervenute, l'Amministrazione si è espressa, con nota prot. n. 418479 del 15/12/2015, a favore di quella inoltrata dalla costruenda R.T.I. AMEARTE, mandataria Associazione Musicale Etnea, con sede in Catania, via Museo Biscari, 10, C.F. 00405220872, mandante Associazione Culturale “Mercati Generali” circolo culturale, con sede in Catania, S:S. 417 Km 69, C.F. 93085690878, mandante “Artesicilia S.r.l., con sede in Aci Sant’Antonio (CT), Via S.P. 165 s.n., C.F. 03653110878, ritenuta più meritevole relativamente ai contenuti artistici”.
Come si nota, “l’Amministrazione” si è espressa. Locuzione in sé ineccepibile: poiché si pronuncia un comune è un’amministrazione che si esprime.
Ma, attenzione, nel lessico amministrativo degli enti locali, per “amministrazione” (specie se la parola è scritta con la lettera iniziale maiuscola) si intende spessissimo la parte politica, l’insieme o alcuni degli organi di governo. Cioè, dunque, esattamente quegli organi che per il principio di separazione dovrebbero limitarsi ad esprimere l’indirizzo politico, senza giungere alla concreta gestione.
Le cose, ovviamente, non sono andate così. L’ “Amministrazione” che ha deciso non è stata personificata dal dirigente del comune, in esito alla procedura di gara, come impongono articoli 97 e 98 della Costituzione, d.lgs 163/2006 e legge regionale siciliana di recepimento dell’ordinamento degli enti locali che riproduce quasi testualmente l’articolo 107 del d.lgs 267/2000. Chi ha deciso è stato l’assessore ai “Saperi, bellezza condivisa e turismo”, che appunto, con la nota 418479 del 15/12/2015 si è così espresso rivolgendosi al dirigente “mandatario”: “con riferimento alla nota prot. 394027 del 25.11.2015 e della successiva prot. 405612 del 3.12.2015, relativa all’Avviso pubblico inerente l’oggetto, si comunica che la scelta di indirizzo politico relativo alla manifestazione da svolgersi durante la notte di Capodanno è quella inoltrata dalla R.T.I. AMEARTE, con sede in Catania, via Museo Biscari, 10 che ha proposto l’offerta artistica ritenuta più meritevole”.
Sono gli atti che dimostrano come, nel caso di specie, a decidere dell’affidamento non sia stato il dirigente, bensì un assessore. La nota del quale costituisce senza dubbio alcuno, infatti, provvedimento di individuazione del contraente, per altro carente della motivazione in base alla quale l’offerta è considerata più meritevole; carenza alla quale la determina di affidamento non è stata in grado di rimediare.
Nella sostanza, quindi, una procedura di affidamento di un servizio, sulla quale non vi dovrebbe essere nessun dubbio rispetto all’esclusiva competenza dirigenziale, è stata nei fatti gestita dall’organo di governo, in plateale contrasto con la disciplina normativa.
Il tutto, giustificato dal presunto “indirizzo politico”. Esso dovrebbe costituire, come rilevato prima, competenza e limite all’esercizio delle funzioni degli organi di governo, che esprimendo l’indirizzo possono indicare obiettivi della gestione, ma non ingerirsi nella stessa.
Nel caso di specie, è bastato dare all’indirizzo politico un significato diverso e antitetico rispetto a quello stabilito dalla legge. Che, sul punto, all’articolo 4, commi 1 e 2, del d.lgs 165/2001, è chiarissima:
“1. Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:
- a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;
- b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione;
- c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-fmanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale;
- d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;
- e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;
- f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;
- g) gli altri atti indicati dal presente decreto.
- Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati”.
Il comune di Catania ha, invece, ritenuto estendersi all’indirizzo politico anche la concreta gestione, sia pur utilizzando il “trucco” della approvazione formale dell’aggiudicazione mediante determina dirigenziale, anche se l’aggiudicatario risultasse selezionato dall’organo di governo.
Questo esempio è la dimostrazione palese che l’assenza di controlli preventivi ed esterni di legittimità è fonte di diffuse ed ampie violazioni di legge, irrimediabili dalle fonti interne.
Tale assenza è la causa primaria di spese, per affidamenti vari di beni e servizi, totalmente fuori controllo e del tasso di utilizzo bassissimo degli strumenti di aggregazione dei contratti, come la Consip. Per questo l’intento di ridurre a sole 34 le stazioni appaltanti, da tempo enunciato, darà vita ad un inevitabile flop.
Se non vi saranno strumenti per garantire a monte che la scelta del contraente sia realmente trasparente, motivata ed imparziale, controllando dunque in via preventiva che si utilizzino le corrette procedure e bloccando quelle in violazione delle norme, l’aggiramento delle stesse sarà inevitabile.
Si dirà che, ai fini del ragionamento che si espone, l’esempio trattato non è pertinente, perché i servizi di spettacolo difficilmente rientreranno nella sfera degli appalti di competenza di soggetti aggregatori.
Ma, questa corretta obiezione non fa che confermare la previsione del flop. Infatti, moltissime saranno le tipologie di appalti (in particolare nell’ambito dei servizi sociali, che come insegna la vicenda di Roma sono a rischio elevatissimo di corruzione) sottratte alla centralizzazione: per questi sarà, dunque, semplicissimo concepire in modo strumentale e distorto il cosiddetto “indirizzo politico” e generare, così, procedure di scelta di contraenti in nulla rispettose delle leggi. Senza controlli preventivi, nessuno sarà mai in grado di verificare se un certo appalto doveva essere dirottato alla competenza funzionale del soggetto aggregatore o meno; né vi sarà mai modo di appurare non tanto il rispetto formale delle leggi, in sé necessario visto che l’azione amministrativa incontra il limite del principio di legalità, ma soprattutto i criteri minimi di trasparenza, concorrenzialità ed imparzialità dell’azione amministrativa. Né si sarà mai in grado di comprendere se il “merito” dei dirigenti consisterà realmente in una gestione rispettosa dei principi e contestualmente capace di conseguire risultati operativi, o, piuttosto, nella mera funzione di scudo e “mandatario” della politica.
Il principio si separazione, così come voluto dalla legge e così come bene evidenziato da Lei, è ineccepibile. Trattandosi di una grande città, con Segretario, funzionari e avvocatura sicuramente esperti, è possibile che -volutamente- infrangano le norme in questo modo così evidente? Può essere che la legge possa essere legittimamente interpretata in quel modo?
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