sabato 21 giugno 2025

Non è solo Alacarazite

Jiannik Sinner ha sviluppato la "Alcarazite", come un tempo Federer la "Nadalite"? E' probabile: 5 incontri consecutivi risolti in favore dello spagnolo certo vogliono dire qualcosa.

C'è, però, da dire che mentre molte sconfitte dello svizzero contro il grandissimo spagnolo furono nette ed indiscutibili, sin qui la gran parte delle partite nelle quali Sinner ha dovuto cedere il passo ad Alcaraz sono state, invece, molto equilibrate. Basti pensare che ben due volte Sinner ha avuto match point (negli Us Open e al Roland Garros), e ricordare la finale tiratissima a Pechino del 2024.

Spesso i confronti tra Sinner ed Alcaraz si compongono di set che finiscono al tie break. Ed è qui che lo spagnolo riesce quasi sempre ad allungare, toccando vertici di rendimento stratosferici.

I segnali dell'Alcarazite sono, probabilmente, proprio due partite vinte dallo spagnolo con match point contro e la tendenza a prevalere nei tie break.

Tuttavia, l'altro verso della medaglia di questi elementi evidenzia che tra i due sostanzialmente non c'è un divario tecnico: si tratta di dettagli.

Forse, Sinner, che appare glaciale e ragionatore, è più emotivo di quanto non dia a vedere. E nei momenti cruciali con lo Spagnolo non riesce ancora del tutto a controllare gli impeti di emozione che pur avvolgono ogni sportivo, quando si avvicina al traguardo. 

In ogni caso, non si può ridurre tutto all'Alcarazite o pensare che il mondo sportivo di Sinner si sia fermato alla finale del Roland Garros del 2025, nonostante si sia trattato di una brutta botta.

A ben vedere, nelle ultime partite giocate da Sinner si sono sviluppati problemi tecnici evidenti, sui quali non si sta riflettendo abbastanza.

Questi problemi sono: il servizio soprattutto e lo spostamento a destra verso il dritto con minore portata ma analoga chiarezza.


La percentuale di prime di servizio di Sinner contro Bublik a Parigi è stata del 58%: non certamente alta, anzi piuttosto bassa. Quel giorno, fu sufficiente a domare il kazako, grazie alla superficie, la terra, che nel ridimensiona talento ed efficacia dei colpi.


Ancora peggiore è stata la percentuale di prime di Sinner nella semifinale con Djokovic: il 51% appena. Le caratteristiche di gioco del serbo, che soffre la potenza della pressione da fondo campo di Sinner, hanno permesso al campione italiano di non risentire troppo di una prima di servizio insufficiente, poichè poteva puntare sugli scambi da fondo come arma vincente, anche sul proprio servizio.


E andiamo alla finale: terza partita consecutiva con percentuali di prime di servizio largamente insufficienti: 54%.
Si deve osservare che anche le percentuali di Alcaraz, 58%, non sono eccezionali, vero. Infatti, nel corso dei 5 set i break ed i controbreak sono stati, non a caso, moltissimi.
Però, Alcaraz ha un tipo di gioco che dà fastidio a Sinner:  per l'inventiva, la potenza, la capacità di reggere da fondo anche sulla diagonale di rovescio, la freschezza atletica, la difesa estrema efficacissima, la capacità di limitare al minimo gli errori nei momenti cruciali e, soprattutto, la risposta.
Se Sinner ha dimostrato di possedere, in questi ultimi tempi, forse la migliore risposta (con Djokovic), Alcaraz dal canto suo ha una risposta costante e, nei momenti delicati, efficacissima.
Quindi, il 54% di prime, con un giocatore come lo spagnolo che non soffre più di tanto il gioco di ritmo e pressione vertiginosa col quale Sinner soffoca gli altri, si rivela un punto debole. Del quale Alcaraz ha saputo approfittare.
Quando? Non nei famosi tre match point, che Sinner ha avuto sul servizio dello Spagnolo, bensì nel game successivo, quando sul 5-4 del quarto set Sinner ha servito per il match. E lì ha subìto il break a 15. Alcaraz ha concentrato in quel game tutta la potenza di fuoco della propria risposta, approfittando del servizio incerto di Sinner.


Anche con Rublev Sinner non aveva ottenuto moltissimo dalla prima: la percentuale è stata sempre bassina, il 62%, ma sufficiente per il gioco a specchio, meno ricco e potente, del russo.


E con Bublik ad Halle? 63%. Meglio, certo, dei rendimenti visti sopra. Tuttavia, contro un giocatore in giornata di grazia e, soprattutto, sull'erba, poche prime di servizio espongono a turni di servizio laboriosi, spesso ai vantaggi, con troppe palle break da difendere. Infatti, così è stato.

L'altro elemento tecnico delicato, che si è visto subito a Roma, è lo spostamento a destra verso il dritto. Dopo tre mesi di stop agonistico, si tratta di una ruggine da mettere nel conto.

Nel corso del torneo di Roma e in particolare, poi, a Parigi, questo aspetto è andato quasi in secondo piano, ma non è mai stato risolto del tutto. Alcaraz, in finale, ha raccolto moltissimo proprio dai lungolinea sul rovescio di Sinner, seguiti da incrociati verso il dritto dell'altoatesino, che spessissimo ha pagato dazio.

Ed è capitato anche ad Halle, con Bublik. Sull'erba tedesca i problemi degli spostamenti laterali verso il dritto (ma anche verso il rovescio) sono sembrati tornare esattamente quelli di Roma.

C'è sicuramente anche la spiegazione delle esigenze imposte dalla superficie: sull'erba si corre diversamente, con passi più corti e veloci e col baricentro più basso, sicchè adattarsi subito non è facile. Specie per chi arriva da un Roland Garros comunque positivo, essendo giunto fino in finale, e molto stressante.

Rispetto a Wimbledon e al resto della stagione, c'è da capire, allora se per Sinner la finale del Roland Garros è uno tra i tanti altri episodi che capiteranno di certo (è impensabile vincere sempre) e, in particolare, con Alcaraz. O se, invece, non si tratta di un episodio, ma di un problema tecnico più serio, che, se non risolto, rischia di causare un'involuzione del gioco.

Ogni problema tecnico, comunque, è superabile. Basti ricordare i miglioramenti visibilissimi di Nadal nel servizio e nel rovescio e di Djokovic, nel dritto e nel servizio, ottenuti negli anni.

C'è solo da comprendere quanto la sfiducia possa giocare un ruolo. Ad Halle il linguaggio del corpo, ha mostrato un Sinner molto sfiduciato. Vedremo.





venerdì 10 gennaio 2025

Basta con le ordinanze sindacali da vaudeville: problemi veri e gravi come la sanità in Calabria vanno affrontati con metodi seri

 

La salute è una cosa seria, come lo è l’assistenza sanitaria. La regione Calabria ha la sanità commissariata da 3 lustri e, quindi, in quella regione, il diritto alle cure ospedaliere e mediche è seriamente compromesso e di difficile esigibilità.

Tuttavia, non pare che possa essere il vaudeville lo strumento per porre e soprattutto risolvere la questione in modo corretto.

Ci si riferisce all’ordinanza del sindaco di Belcastro, che ordina



Di certo, il sindaco del comune ha ottenuto l’attenzione mediatica cui aspirava:


I sindaci, ma in ogni caso chi ha cariche amministrative e politiche nell’ambito dei partiti, hanno però modi corretti e ben diversi per affrontare i problemi. Per esempio, indirizzando l’elettorato a non sostenere forze politiche e loro esponenti che abbiano causato le disfunzioni causa, ora, della situazione di allarme a Belcastro.

Questioni di politica ed amministrazione si risolvono attraverso la politica e l’amministrazione. L’utilizzo delle ordinanze sindacali senza senso, in assenza totale di potere, provocatorie e risibili è stato visti e rivisto nel corso della micidiale pandemia Covid.

L’abuso di questi provvedimenti, a fini provocatori e mediatici, francamente ha stancato e non aiuta per nessuna causa, anche la più nobile, trasformare una cosa seria, la gestione della cosa pubblica, in una commedia dell’assurdo.

sabato 14 settembre 2024

STATALI IN PENSIONE A 70 ANNI?/ Una scelta che rischia di diventare necessità

STATALI IN PENSIONE A 70 ANNI?/ Una scelta che rischia di diventare necessità

domenica 8 settembre 2024

Gli incarichi negli uffici di diretta collaborazione di Ministri e qualsiasi organo di governo sono un fatto totalmente pubblico, mai "privato"

 La circostanza che si dibatta se le vicende relative al Ministro della cultura e della consigliera con l’incarico fantasma siano o meno una questione privata evidenzia di per sé quanto grave sia la situazione generale della normativa e della concreta attuazione relativa agli incarichi negli uffici “di staff” degli organi di governo.

mercoledì 4 settembre 2024

Il consigliere "fantasma" del Ministro della cultura: caso per nulla isolato che conferma 30 anni di norme deleterie per la PA #Boccia #Sangiuliano

 La vicenda del Ministro della cultura e della consulente fantasma non dovrebbe risultare utile ad insegnare quali siano le molte, troppe, storture della normativa sugli incarichi di lavoro autonomo nella PA, ma utile per confermare quanto esiziali siano le norme prodotte dal 1993, anno della “riforma Cassese”, passando dal biennio 1997-1998, epoca delle esiziali riforme Bassanini, per poi procedere con le riforme di altri inquilini di Palazzo Vidoni, tutte indirizzate a fare della PA un mercato di piazza di incaricati, consulenti, consiglieri, segretari particolari: Frattini, Nicolais, Brunetta, Madia, senza soluzioni di continuità, senza mai rimedio alcuno ad un sistema che fa acqua da tutte le parti.

Di vicende identiche, o molto simili, a quella attualmente agli onori della cronaca, ve ne sono migliaia, reperibili negli enti locali, nelle regioni, nelle società partecipate soggette comunque a regole pubblicistiche della disciplina dei rapporti di lavoro autonomo.

Qualsiasi componente di organo di governo di qualsiasi livello, appena insediato immediatamente ritiene che sia consustanziale al proprio “potere” nominare, incaricare, qualcuno: passando da nomine ed incarichi istituzionali, a incarichi i più disparati a frotte di consiglieri e consulenti. Senza quasi mai alcuna selezione effettiva, sulla base dell’appartenenza o spesso realmente di soli specifici individualissimi rapporti personali.

Quando negli anni ’90 si è attuato l’articolo 97 della Costituzione e il principio ivi indirettamente posto della distinzione tra le funzioni politiche e di governo, da quelle gestionali, qualcuno ebbe modo di pensare che dal “governo degli atti”, si dovesse passare al “governo degli uomini”: il ministro, il sindaco, il presidente di regione, che non può più adottare direttamente l’atto amministrativo o la decisione concreta, diviene assegnatario del potere di nominare e incaricare, almeno parte delle compagini di vertice.

Non solo si istituì il deleterio spoil system all’italiana, col quale rilevanti parti dei vertici dirigenziali si selezionano senza concorso ma per l’esiziale “personale adesione” alle politiche della maggioranza; in più si sono allargate all’infinito le maglie di nomine ed incarichi in uffici di gabinetto, di progetto e per consiglieri di ogni genere: da quello giuridico a quello economico, a quello tecnico, a quello per l’immagine, a quello per i rapporti con i social (gli uffici stampa erano da anni caratterizzati da questo “mercato nel tempio”), all’utilizzatissimo consulente per l’organizzazione “di eventi”.

Dovrebbe risultare chiaro da anni e da sempre che i casi, quando emergono, sono solo la piccolissima punta di un icerberg, che nella parte sommersa è di enormi dimensioni.

Incarichi assegnati senza selezione, senza verificare titoli e competenze, senza nessun genere di riferimento per definire gli importi dei compensi. Senza nessuna trasparenza sul perché, sul come e sul quando. Le regole anticorruzione fanno acqua da tutte le parti.

Si è pensato che la “fiducia”, parola e concetto presente nella Costituzione solo per la disciplina dei rapporti tra Parlamento e Governo, fosse la formula magica per garantire che la nomina, l’incarico, la consulenza, il counselling, fossero utili, necessari, opportuni, congrui. Ma, purtroppo, proprio il caso attualmente agli onori della cronaca dimostra l’opposto: una persona incaricata in maniera opaca, forse per nulla incaricata, violando qualsiasi regola di “fiducia”, pubblica atti e documenti, azione che sarebbe del tutto inibita a un dipendente pubblico o ad un consulente “vero”, abilitato a trattare dossier e questioni solo dopo e non prima della formalizzazione di un incarico, chiaro nella spesa, nei modi e nei limiti e, soprattutto, soggetto alle regole del dPR 62/2013, il “codice di comportamento” dei dipendenti pubblici, che però va applicato anche a qualsiasi soggetto che riceva appalti, commesse e consulenze dalla PA.

Paradossalmente, il consulente incaricato non si sa come, non si sa con quale atto, non si sa con quale spesa o proprio per nulla incaricato, ma presente negli uffici e messo nelle condizioni di acquisire documenti e registrare immagini e audio, proprio per il fatto di non aver sottoscritto alcun contratto, di non aver sottoscritto nessun impegno anticorruzione e anti conflitto di interessi, sfugge a qualsiasi possibile reazione di autorità competenti, come l’Anac, per quanto debole e sfocata possa essere tale “reazione”.

Dovrebbe risultare da simili macerie che questo sistema ormai ultra trentennale, va chiuso. Basta con lo spoil system sconsiderato; basta con la “fiducia”; basta con consiglieri e consulenti incaricati senza alcuna selezione plausibile; basta con la creazione di apparati burocratici amministrativi e paralleli, composti da soggetti che proprio per la loro “personale adesione”, si guardano bene dal contraddire, dal suggerire strade più corrette. Il travisamento del principio del “risultato”, tragicamente enunciato nel codice degli appalti, fa ormai apparire che tutto è lecito per raggiungere un fine, anche l’inutile, anche l’abborracciato, anche il costoso, anche l’inopportuno.

La parola “basta” a tutto ciò, però, da anni e da sempre non è stata pronunciata, né lo sarà mai: cambiano le maggioranze, ma gli appetiti dei componenti restano sempre uguali: nominare, incaricare il consulente, il consigliere, l’esperto, il tecnico, il manager, in una spirale deleteria, senza fine.