Su una cosa si può essere concordi: il d.lgs. 33/2013,
attuativo della delega contenuta nell’articolo 1,
comma
35,
della
legge
190/2012 si
è rivelato, come facilmente prevedibile, un
carico di lavoro e responsabilità enorme per le pubbliche
amministrazioni.
Il Governo
ha preso molto sul serio il contenuto generale della
delega, volto ad adottare
un “decreto legislativo per il riordino della
disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità,
trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche
amministrazioni, mediante la modifica o l’integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità”.
Non c’è dubbio che il d.lgs. 33/2013:
a) sia andato molto oltre il riordino, perché
introduce, a ben vedere,
oneri nuovi e diversi;
b) non abbia riordinato moltissimo, poiché per lo più si limita ad assemblare,
talvolta con non poca confusione,
norme precedentemente vigenti, senza coordinarle ed armonizzarle, non configurandosi nemmeno, come sarebbe
stato forse opportuno, come un testo unico.
Certo, il decreto
era divenuto necessario, perché gli adempimenti volti alla trasparenza e alla
pubblicazione di atti e decisioni erano diventati tantissimi, tutti contenuti
in disposizioni polverizzate in troppe leggi.
Il legislatore delegato del d.lgs 33/2013, tuttavia, ha colto l’occasione non solo per la meritoria
e non più rinviabile attività di coordinamento normativo; è andato
ben oltre,
ridefinendo lo stesso concetto di
trasparenza ed introducendo nuovi e diversi
strumenti di pubblicità.
Purtroppo, si
deve subito
evidenziare che il decreto legislativo non
ha eliminato, come forse avrebbe potuto,
molti adempimenti finalizzati
alla pubblicità e alla trasparenza. Non c’è stato alcun coordinamento con l’albo pretorio. Né
si è modificato,
ma probabilmente
era cosa
complicata, l’assetto delle pubblicazioni in tema di appalti:
la duplicazione
degli adempimenti è aumentata, di
conseguenza, a dismisura. Basta fare riferimenti alla complessissima tabella
messa a disposizione dall’Anac per la verifica degli adempimenti: un diluvio
burocratico, che conferma l’alluvione di adempimenti introdotti sciaguratamente
dal d.lgs 33/2013.
Contrariamente a quel
che si
pensa e si afferma, la trasparenza “costa”.
Possiamo affermare che si tratti
di un
costo di civiltà e democrazia, come tale doveroso e da sostenere. Il
costo è organizzativo e strutturale:
sono previsti
tantissimi adempimenti, che richiedono investimenti in formazione
e, soprattutto,
in infrastrutture
tecnologiche. La previ sione contenuta
nell’articolo 51 del d.lgs. 33/2013,
secondo la quale la sua attuazione
avviene senza maggiori costi, è utopica e
sbagliata. I costi ci sono e sono come quelli dell’istruzione
e della sanità: servizi essenziali, che qualificano di per
sé la
stessa ragion d’essere di uno
Stato. Costi che, nell’attuale situazione organizzativa
della pubblica amministrazione,
chiamata a dimagrire
e a gestire un numero sempre più limitato di
risorse, sarà difficile
investire e sostenere
con piena efficienza.
Inutile illudersi.
Sta di fatto che il legislatore è apparso,
sia pure con ritardo, consapevole delle storture e degli eccessi burocratici
scatenati dal d.lgs 33/2013 e cerca in parte di rimediarvi con il decreto
legislativo attuativo della delega contenuta nell’articolo 7 della legge
124/2015, che lo ha chiamato ad una revisione amplissima della disciplina.
Non solo per introdurre, nell’ordinamento, qualcosa che si
avvicini maggiormente al concetto di Freedom of Information Act (anche se, come
si vedrà di seguito, il tentativo non può considerarsi, ancora una volta,
riuscito), ampliando il diritto di accesso civico; ma, anche, proprio per
tentare di razionalizzare e ridurre almeno in parte i tanti, troppi
adempimenti, col tentativo di differenziare, per esempio, la disciplina per gli
enti di grandi dimensioni, rispetto a quella fissata per quelli più piccoli.
Gli intenti di razionalizzazione e semplificazione della ridda di
pubblicazioni, atti, adempimenti, tabelle, in vario modo duplicate dal d.lgs
emergono piuttosto chiaramente dai criteri di delega, enunciati dall’articolo 7
della legge 124/2015:
Criterio
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Commento
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a) ridefinizione e precisazione dell'ambito soggettivo di
applicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza
|
Lo scopo è precisare meglio quali enti sono soggetti alle regole
della trasparenza e quali sono gli adempimenti, anche per ridurli
|
b) previsione di misure organizzative, senza nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica, anche ai fini della valutazione dei risultati,
per la pubblicazione nel sito istituzionale dell'ente di appartenenza delle
informazioni concernenti:
1) le
fasi dei procedimenti di aggiudicazione ed esecuzione degli appalti pubblici;
2) il
tempo medio di attesa per le prestazioni sanitarie di ciascuna struttura del
Servizio sanitario nazionale;
3) il
tempo medio dei pagamenti relativi agli acquisti di beni, servizi,
prestazioni professionali e forniture, l'ammontare complessivo dei debiti e
il numero delle imprese creditrici, aggiornati periodicamente;
4) le
determinazioni dell'organismo di valutazione;
|
Si tratta di una delega generale, sostanzialmente volta a
modificare in modo ampio il d.lgs 33/2013, focalizzando l’attenzione in
particolare su aspetti considerati particolarmente delicati, come l’enunciazione
delle fasi procedimentali degli appalti, i tempi medi delle prestazioni
sanitarie, i tempi medi di pagamento e l’evidenziazione degli eventuali
rilievi degli organismi di controllo.
|
c)
riduzione e concentrazione degli oneri gravanti in capo alle amministrazioni
pubbliche, ferme restando le previsioni in materia di verifica, controllo e
sanzioni
|
Questo è uno degli intenti fondamentali, attentamente perseguito
dal decreto legislativo di riforma, che prova a ridurre e concentrare i
troppi oneri procedimentali a carico delle PA.
|
d)
precisazione dei contenuti e del procedimento di adozione del Piano nazionale
anticorruzione, dei piani di prevenzione della corruzione e della relazione
annuale del responsabile della prevenzione della corruzione, anche attraverso
la modifica della relativa disciplina legislativa, anche ai fini della
maggiore efficacia dei controlli in fase di attuazione, della differenziazione
per settori e dimensioni, del coordinamento con gli strumenti di misurazione
e valutazione delle performance nonché dell'individuazione dei principali
rischi e dei relativi rimedi; conseguente ridefinizione dei ruoli, dei poteri
e delle responsabilità dei soggetti interni che intervengono nei relativi
processi.
|
La formulazione dei piani di prevenzione della corruzione e
della trasparenza è divenuta un Leviatano, incontrollato.
Il decreto legislativo di riforma prova a razionalizzare anche
questo ambito, attribuendo funzioni di regolazione all’Anac.
Desta, però, perplessità la sostanziale delegificazione della
materia ad un’autorità, che assume funzioni non solo di regolazione, ma anche
di normazione, improprie per l’ordinamento vigente.
|
e) razionalizzazione e precisazione degli obblighi di
pubblicazione nel sito istituzionale, ai fini di eliminare le duplicazioni e
di consentire che tali obblighi siano assolti attraverso la pubblicità totale
o parziale di banche dati detenute da pubbliche amministrazioni
|
Questa previsione si raccorda e coordina con la precedente
lettera c). E’ un altro metodo per provare a ridurre l’enorme impatto
organizzativo derivante dal d.lgs 33/2013. Il decreto legislativo di riforma
lo persegue, ad esempio, prevedendo finalmente la possibilità di collegare
informazioni già esistenti alle pagine della sezione “amministrazione
trasparente”.
|
f) definizione, in relazione alle esigenze connesse allo
svolgimento dei compiti istituzionali e fatto salvo quanto previsto
dall'articolo 31 della legge 3 agosto 2007, n. 124, e successive
modificazioni, dei diritti dei membri del Parlamento inerenti all'accesso ai
documenti amministrativi e alla verifica dell'applicazione delle norme sulla
trasparenza amministrativa, nonché dei limiti derivanti dal segreto o dal
divieto di divulgazione e dei casi di esclusione a tutela di interessi pubblici
e privati
|
Si tratta della trasparenza riferita alle funzioni dei componenti
del Parlamento e della composizione delicata tra accesso e privacy.
|
g) individuazione dei soggetti competenti all'irrogazione delle
sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza;
|
Il d.lgs 33/2013 aveva creato una confusione tremenda in merito
alla definizione del soggetto competente ad irrogare le sanzioni, in
particolare per la mancata pubblicazione delle situazioni patrimoniali degli
organi di governo. Finalmente, il decreto legislativo attuativo pone rimedio
e chiarisce che a procedere è competente l’Anac.
|
h) fermi
restando gli obblighi di pubblicazione, riconoscimento della libertà di
informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di
chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente
rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni,
salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall'ordinamento
e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e
privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento
delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche;
semplificazione delle procedure di iscrizione negli elenchi dei fornitori,
prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di
infiltrazione mafiosa istituiti ai sensi dell'articolo 1, comma 52, della
legge 6 novembre 2012, n. 190, e successive modificazioni, con modifiche
della relativa disciplina, mediante l'unificazione o l'interconnessione delle
banche dati delle amministrazioni centrali e periferiche competenti, e
previsione di un sistema di monitoraggio semestrale, finalizzato
all'aggiornamento degli elenchi costituiti presso le Prefetture - Uffici
territoriali del Governo; previsione di sanzioni a carico delle
amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni normative in materia di
accesso, di procedure di ricorso all'Autorità nazionale anticorruzione in materia
di accesso civico e in materia di accesso ai sensi della presente lettera,
nonché della tutela giurisdizionale ai sensi dell'articolo 116 del codice del
processo amministrativo, di cui all'allegato 1 del decreto legislativo 2
luglio 2010, n. 104, e successive modificazioni.
|
Si tratta quasi di una “delega in bianco”, volta ad ampliare il
diritto di accesso civico e a prevedere più stringenti regole sull’accesso
concernente gli appalti e, in particolare, le liste delle imprese sottoposte
al pericolo di infiltrazione mafiosa.
|
Analizziamo, dunque, il d.lgs 33/2013, alla luce delle modifiche
che intende apportare il decreto legislativo di modifica.
Il decreto si diffonde nella
definizione di “trasparenza”:
Testo vigente
|
Testo modificato
|
Art. 1 (Principio generale di trasparenza). – 1. La trasparenza è intesa come
accessibilità totale delle
informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire
forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo
delle risorse pubbliche.
2. La trasparenza, nel rispetto delle
disposizioni in mate- ria di segreto
di Stato, di segreto d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati
personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi
costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche,
integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia
delle libertà individuali e collettive, nonché
dei diritti civili,
politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e
concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al
servizio del cittadino.
3. Le disposizioni del presente decreto, nonché le norme di
attuazione adottate ai sensi dell’articolo 48, integrano l’individuazione
del livello essenziale delle prestazioni
erogate dalle amministrazioni pubbliche
a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della
corruzione e della
cattiva amministrazione,
a norma dell’articolo 117, secondo comma, lettera
m), della Costituzione e
costituiscono altresì esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico e informatico
dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale,
di cui all’articolo
117, secondo comma,
lettera r), della Costituzione.
|
Art. 1 (Principio generale di trasparenza). – 1. La trasparenza è intesa come
accessibilità totale
2. La trasparenza, nel rispetto delle
disposizioni in mate- ria di segreto
di Stato, di segreto d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati
personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi
costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche,
integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia
delle libertà individuali e collettive, nonché
dei diritti civili,
politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e
concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al
servizio del cittadino.
3. Le disposizioni del presente decreto, nonché le norme di
attuazione adottate ai sensi dell’articolo 48, integrano l’individuazione
del livello essenziale delle prestazioni
erogate dalle amministrazioni pubbliche
a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della
corruzione e della
cattiva amministrazione,
a norma dell’articolo 117, secondo comma, lettera
m), della Costituzione e
costituiscono altresì esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico e informatico
dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale,
di cui all’articolo
117, secondo comma,
lettera r), della Costituzione.
|
La qualificazione della
trasparenza originariamente “come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione
e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire
forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle
risorse pubbliche”, riprendeva, in modo meno dettagliato,
la definizione
contenuta nell’articolo 11, comma 1,
del d.lgs. 150/2009, ma ad esso
è di fatto sovrapponibile: “La trasparenza è intesa come
accessibilità totale, anche attraverso lo
strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni
pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli
indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse
per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti,
allo scopo di favorire forme
diffuse
di controllo
del rispetto
dei principi
di buon
andamento e imparzialità. Essa costituisce livello essenziale delle prestazioni
erogate dalle amministrazioni pubbliche ai sensi
dell’articolo 117, secondo
comma, lettera m), della Costituzione”.
Il nuovo testo del comma 1, introdotto dal decreto legislativo
di riforma, come si nota mira a rafforzare il diritto generale di accesso ed
alla trasparenza.
Infatti, si elimina la trasparenza viene intesa come
accessibilità totale, dunque non condizionata e limitata, non più alle sole “informazioni concernenti l’organizzazione e
l’attività delle pubbliche amministrazioni”, bensì ai “dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni”.
E’ evidente che la formulazione originaria dell’articolo 1,
comma 1, rendeva la trasparenza funzionale prevalentemente a rendere nota l’organizzazione
delle PA, come sono composte, quanto spendono, come realizzano la propria
attività amministrativa. Per questa ragione, l’accesso civico, nella concezione
originaria, è stato pensato solo come strumento per garantire la completa e
puntuale informazione su questi elementi da rendere attraverso i portali
internet, organizzati nelle sezioni e sotto sezioni “amministrazione
trasparente”.
La nuova formulazione è aderente al criterio di delega,
contenuto nell’articolo 7, comma 1, lettera h), della legge 124/2015: “fermi restando gli obblighi di
pubblicazione, riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via
telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni
giuridicamente rilevanti, ai dati e ai
documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, salvi i casi di segreto
o di divieto di divulgazione previsti dall'ordinamento e nel rispetto dei
limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di
favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni
istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche”.
Si amplia, quindi, il diritto di accesso non solo alle
informazioni concernenti le modalità con le quali le amministrazioni si
organizzano e rendono le loro attività, ma a tutti i dati anche semplicemente
detenuti (e non formati, quindi), oltre che ai documenti. Si assiste, dunque,
alla “smaterializzazione” del diritto di accesso, che non riguarda solo
documenti, ma, appunto, “dati”, dunque elementi di conoscenza non organizzati
in documenti, ma anche in altre forme: elenchi, tabelle, data base, registri.
La definizione di trasparenza fornita dalla norma di per sé,
comunque, non dice moltissimo e non appare nemmeno particolarmente originale.
C’è, però, un elemento fortemente significativo di essa, consistente nel fine enunciato dal
legislatore: “favorire forme diffuse di controllo”.
È il principio della moralizzazione dell’attività amministrativa,
che si attua mediante l’ampliamento della partecipazione democratica. Se le decisioni vengono
assunte nella “agorà” (l’antico spazio
pubblico nell’ambito del quale le assemblee popolari
dell’antica Grecia adottavano le loro decisioni), pubblicamente, ciò dovrebbe
disincentivare l’adozione di provvedimenti
dannosi, o comunque apertamente vantaggiosi solo per cerchie precise a svantaggio di altri. In
ogni caso, il controllo “diffuso” permette a qualsiasi cittadino o formazione
sociale di chiedere in qualsiasi momento la ragione della decisione adottata.
Ecco perché, secondo il testo dell’articolo 1, comma 2, del d.lgs
33/2013 la trasparenza “concorre ad attuare il principio democratico e i
principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità,
efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio
alla nazione”. Lo
scopo indiretto è appunto far emergere
dall’ombra l’amministrazione e, dunque, non
solo rendere i cittadini consapevoli
di come
agisce la pubblica amministrazione, ma, ovviamente di sfavorire fenomeni di corruzione o, comunque, di cattiva gestione
dell’interesse pubblico, grazie alla pressione
dei cittadini, messi in
condizione di vigilare sull’operato dell’amministrazione, grazie alla conoscenza immediata
e diretta delle decisioni e del loro stesso
evolversi.
La trasparenza di per
sé, quindi,
non è un risultato dell’azione amministrativa, ma il modo col quale detta azione deve esplicarsi. La trasparenza contribuisce a realizzare le condizioni
di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei di- ritti
civili, politici e sociali. Secondo l’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 33/2013,
dunque, la trasparenza fonda un vero e proprio “diritto ad una buona
amministrazione”.
È, al contempo, il
presupposto per la pretesa anche
giudiziale ad un’azione
amministrativa efficace e per affinare l’esperimento di class action, non proprio ben riuscito, contenuto nel d.lgs. 189/2009. Il cui articolo 1, comma 1, non a caso
prevede: “Al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o
la corretta erogazione di un servizio,
i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una
pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità
stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e
dei concessionari di servizi pubblici,
se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini
o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non
aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un
termine fissato da una legge o da un regolamento…”.
Le previsioni del d.lgs.
33/2013, anche dopo la novellazione, sono ovviamente
un rafforzamento molto
significativo al diritto
ad un’amministrazione
efficiente e potrebbero
essere lo spunto per una revisione della disciplina
della class action. Al di là del regime di forti responsabilità
scaturente dal mancato rispetto delle regole sulla trasparenza.
Talmente è rilevante il diritto alla trasparenza, fondato dall’articolo 1,
comma 2, che il comma
3 lo qualifica livello essenziale delle prestazioni che debbono essere rese in egual misura ai cittadini su tutto il territorio
nazionale, limitando conseguentemente
la potestà normativa
delle regioni e degli enti locali, che non possono introdurre
alcuna disposizione tendente a
limitare la portata generalissima
del diritto. Inoltre, il d.lgs.
33/2013 è anche esplicazione della potestà legislativa esclusiva dello Stato in tema di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale.
Se la trasparenza è una modalità, un criterio al quale ispirare
lo svolgimento dell’azione amministrativa, la pubblicità è uno degli
strumenti principali per garantire l’effettivo perseguimento di detta modalità.
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