Da due anni ormai si assiste
alla piega oggettivamente pessima presa dall’ordinamento giuridico. Il Governo
ed il Parlamento, ossessionati dalla necessità di porre in essere “riforme che
si aspettano da 30anni”, in realtà attuate soprattutto allo scopo di poter
chiedere alla Ue “flessibilità”, cioè spesa pubblica in deficit (con tanti
saluti al risanamento del debito e all’obbligo del pareggio di bilancio),
continuano a sfornare in modo compulsivo leggi e norme.
L’imperativo categorico è “fare”
e possibilmente in fretta. Produrre, legiferare, agire, in modo da essere nella
condizione di rivendicare “quanto” si è fatto.
Il problema, come sempre, è che
l’azione di amministrazione e guida, da un semplice condominio fino ad arrivare
ad una Nazione, non può misurarsi nella quantità delle “cose che si fanno” o
delle “riforme”. L’occhio dovrebbe stare attento alla qualità delle misure
adottate, visto che, specie se si guida una Nazione, impattano sulla vita di
milioni di persone.
Il d.lgs 50/2016, nuovo codice
dei contratti, rappresenta un archetipo di questa coazione a ripetere
compulsiva di fare le riforme per fare le riforme, senza attenzione alcuna alla
qualità e all’impatto. Non è il solo: praticamente l’intero pacchetto degli 11
decreti legislativi attuativi della “riforma Madia” è stato oggetto di critiche
pesantissime da parte del Consiglio di stato, come del resto proprio il codice
dei contratti. Perfino riforme in teoria semplicissime, come quella del
pagamento del canone Rai, si sono dimostrate una Waterloo amministrativa e
giuridica.
Eppure, riformare la normativa
sui contratti sarebbe stato semplicissimo. Era certamente opportuno rivedere a
fondo il d.lgs 163/2006, frutto, è bene ricordarlo, di una delega legislativa
che ha affidato sostanzialmente al Consiglio di stato (lo stesso era avvenuto
per i testi unici sull’espropriazione e sull’edilizia) il compito di redigerlo.
Il risultato? Una massa spaventosa di adempimenti ed attività, tutte scritte a
partire da un’impostazione giurisdizionale e, quindi, nell’ottica del
formalismo più esasperato, per superare indenni i ricorsi. Si è dato troppo
spazio alla concezione processuale, relegando il diritto sostanziale, cioè la
mira al buon andamento e funzionamento degli istituti, in un angolo. Per questo
il d.lgs 163/2006 è stato oggetto di decine e decine di interventi correttivi.
La delega legislativa poteva
essere l’occasione per rimediare agli errori del passato e riformulare il
codice a partire dalle semplicissime norme della Direttiva 24/2014/Ue. Era
opportuno e necessario solo un lavoro quasi di “copia e incolla”, con pochi
adattamenti ordinamentali.
Invece, è venuta fuori
nuovamente una norma monstre, che non
semplifica per niente né gli appalti, né il sistema normativo. Il quale diverrà
un’accozzaglia inestricabile di norme dettati da fonti le più diverse ed
improbabili.
Si parla di “soft law”: si
tratterebbe della rinuncia a norme di attuazione di natura giuridica, adottate
con leggi o regolamenti, per passare a “linee guida” in forma discorsiva,
adottate on de mand e à la carte dall’Anac. E chi non ne fosse
convinto, basta che legga con attenzione l’articolo 213, comma 2, primo
periodo: “L’ANAC, attraverso linee guida,
bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, comunque denominati,
garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle
stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di
informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo
sviluppo delle migliori pratiche”.
Si tratta di una sorta di “delega
in bianco”, per effetto della quale l’Anac potrà ingerirsi in ogni specifico
aspetto, dall’interpretazione all’operatività, della gestione degli appalti,
con qualsiasi tipo di “strumenti di regolazione”: dalle linee guida concordate
col Ministero, al tweet.
Sui risvolti non propriamente
rispettosi degli equilibri dei poteri democratici della soft law o soft
regulation si è già avuto modo di approfondire (http://luigioliveri.blogspot.it/2015/10/appalti-e-regulation-cosi-prosegue-la.html).
Sta di fatto che la tentazione
sarà certamente quella di rimediare alla scarsa qualità del testo del d.lgs
50/2016, mettendo delle toppe di qua e di là.
Ne è testimonianza inoppugnabile
il “Comunicato congiunto del Ministro
delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio e del Presidente
dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffele Cantone” pubblicato dall’Anac,
per tentare di fornire qualche indicazione posta a porre rimedio al caos
derivante dal caos derivante dalle disposizioni transitorie contenute in un
articolo 216 del codice che, probabilmente, non poteva essere scritto in modo
peggiore.
La conferma della qualità
scarsissima di una norma così strategica e fondamentale non è data solo dagli
strali lanciati al suo indirizzo dal Consiglio di stato, ma proprio dalla
necessità avvertita da Ministero ed Anac di intervenire.
La “soft law” consente, dunque,
di agire sul tema strategico e fondamentale del diritto transitorio non con una
norma di legge, che richiede l’intervento del soggetto cui il popolo sovrano
demanda il potere di legiferare, utilizzando gli spazi di ponderazione e
confronto necessario; né con una norma regolamentare, la quale a sua volta
comporta analisi, pareri delle commissioni e del Consiglio di stato. Si saltano
tutte le garanzie tecniche e rappresentative, per produrre un “comunicato”,
cioè una regola di soft law “comunque denominata”, che dica la propria sul tema
delicatissimo del diritto transitorio.
Confrontiamo nella seguente
tabella quanto dispone l’articolo 216, comma 1, del d.lgs 50/2016 e quanto
indica il comunicato congiunto Ministero Anac:
Articolo 216, comma 1
|
Comunicato
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Fatto salvo quanto previsto
nel presente articolo ovvero nelle singole disposizioni di cui al presente
codice, lo stesso si applica alle procedure e ai contratti per le quali i
bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano
pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso
di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai
contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente
codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte.
|
A seguito dell’entrata in vigore
del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante il nuovo Codice dei
contratti pubblici, pubblicato nella G.U. Serie Generale n. 91 del 19 aprile
2016 - Supplemento Ordinario n. 10, si rende opportuno precisare quanto
segue:
1. Ricadono nel previgente
assetto normativo, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, le
procedure di scelta del contraente ed i contratti per i quali i relativi bandi
o avvisi siano stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana (GURI) ovvero in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (GUCE)
ovvero nell’albo pretorio del Comune ove si svolgono i lavori, entro la data
del 18 aprile 2016.
In caso di contratti senza
pubblicazione di bandi o avvisi, restano egualmente disciplinate dal decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, le procedure di scelta del contraente in
relazione alle quali, alla medesima data del 18 aprile 2016, siano stati inviati
gli inviti a presentare offerta.
2. La nuova disciplina in
materia di contratti pubblici, dettata dal decreto legislativo 18 aprile 2016
n. 50, come previsto dall’art. 216 dello stesso, si applica alle procedure ed
ai contratti per i quali i bandi e gli avvisi con cui si indice la procedura
di scelta del contraente siano pubblicati a decorrere dal 19 aprile 2016,
data di entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici.
Tale disciplina trova
altresì applicazione, nei casi di contratti senza pubblicazione di bandi o
avvisi, alle procedure di selezione in relazione alle quali i relativi inviti
a presentare offerta siano inviati a decorrere dalla data del 19 aprile 2016.
3. Gli atti di gara già
adottati dalle amministrazioni, non rientranti nelle ipotesi indicate al
punto 1., dovranno essere riformulati in conformità al nuovo assetto normativo
recato dal decreto legislativo n. 50 del 2016.
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Il punto 1 del comunicato appare
totalmente conforme alle prime indicazioni dell’articolo 216, comma 1. Se il
codice “si applica alle procedure e ai
contratti per le quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di
scelta del contraente siano pubblicati successivamente
alla data della sua entrata in vigore” non si può che concludere che “Ricadono nel previgente assetto normativo,
di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, le procedure di scelta
del contraente ed i contratti per i quali i relativi bandi o avvisi siano stati
pubblicati in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (GURI) ovvero in Gazzetta
Ufficiale dell’Unione Europea (GUCE) ovvero nell’albo pretorio del Comune ove
si svolgono i lavori, entro la data del
18 aprile 2016”. Il principio tempus
regit actum non è stato certo scoperto per merito della soft law.
D’altra parte, se, ai sensi
della norma il codice si applica anche “in
caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai
contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente
codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”,
appare del tutto evidente che la nuova disciplina “trova altresì applicazione, nei casi di contratti senza pubblicazione
di bandi o avvisi, alle procedure di selezione in relazione alle quali i
relativi inviti a presentare offerta siano inviati a decorrere dalla data del
19 aprile 2016”, come afferma il comunicato.
Fin qui, dunque, il comunicato
non ha praticamente alcuna utilità. Appare priva di qualsiasi contenuto
particolare anche questa ulteriore affermazione: “La nuova disciplina in materia di contratti pubblici, dettata dal
decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50, come previsto dall’art. 216 dello
stesso, si applica alle procedure ed ai contratti per i quali i bandi e gli
avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati
a decorrere dal 19 aprile 2016, data di entrata in vigore del nuovo Codice dei
contratti pubblici”.
Insomma, fin qui la prima
espressione della soft law è talmente soft che si rivela una mera parafrasi,
con più parole, della disposizione normativa.
La carica innovativa della
comunicazione sta nell’affermazione finale: gli “atti di gara” adottati prima
dell’entrata in vigore del d.gs 50/2016 dovranno essere riformulati alla luce
del nuovo codice.
Ma, cosa sono gli “atti di gara”?
Qui la soft law non lo spiega: del reso, è soft, non si può pretendere che
divenga heavy. Non si tratta
certamente né dei bandi o avvisi, né degli inviti a presentare offerte, di cui
il comunicato si è interessato prima.
Tutti sono concordi nel ritenere
che si tratti della determinazione a contrattare. Del resto, è evidente che se
essa preveda, ad esempio, di indire un appalto integrato, abolito da subito,
deve essere rivista. Lo stesso, nel caso di un appalto per il quale sia stato
congegnato il capitolato ed il progetto ai fini dell’applicazione del criterio
di gara del massimo ribasso.
Il problema è che gli “atti di
gara” non sono certo solo quelli amministrativi, come appunto il provvedimento
a contrattare: ne fanno parte il capitolato speciale, il progetto, il
disciplinare di gara, la validazione del progetto, perfino la programmazione
preventiva.
Per fortuna, in merito a questo
ultimo aspetto il comma 3 dell’articolo 216 dispone: “Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 21,
comma 8, si applicano gli atti di programmazione già adottati ed efficaci,
all'interno dei quali le amministrazioni aggiudicatrici individuano un ordine
di priorità degli interventi, tenendo comunque conto dei lavori necessari alla
realizzazione delle opere non completate e già avviate sulla base della
programmazione triennale precedente, dei progetti esecutivi già approvati e dei
lavori di manutenzione e recupero del patrimonio esistente, nonché degli
interventi suscettibili di essere realizzati attraverso contratti di
concessione o di partenariato pubblico privato. Le amministrazioni
aggiudicatrici procedono con le medesime modalità per le nuove programmazioni
che si rendano necessarie prima dell'adozione del decreto”.
Dunque, in apparenza gli atti di
programmazione già adottati restano salvi. Ma, se si è programmato di procedere
con un appalto integrato?
Probabilmente, occorreranno
altri comunicati o linee guida, o tweet o sms o segnali di fumo, per correggere,
specificare, chiarire, rispondendo – come detto sopra – ad esigenze à la carte. Tutto ciò, per la semplice
ragione che il codice è stato redatto in modo ampiamente deficitario, forse
anche per la convinzione che, tanto, con la soft law si rimedia a tutto.
E, tuttavia, quando si riforma
tanto per riformare e si lasciano vuoti da recuperare e riempire con l’operato
dell’oracolo o della pizia, accade qualcosa, non sempre positiva: “Scorrendo la Guce, dove vengono pubblicati i
bandi per lavori sopra i 5,2 milioni di euro, è possibile fare i conti dell'
effetto di questa entrata in vigore repentina: le procedure da rifare hanno il
valore record di 543,4 milioni . Solo il 20 aprile erano irregolari appalti per
427 milioni. Sintomatico di un effetto-sorpresa che si poteva sorvegliare
meglio è che tra le amministrazioni messe in fuori gioco dall' entrata in
vigore "alla chetichella" del codice non ci sono solo piccole
amministrazioni fuori dai circuiti dell' informazione. Anzi”. Questo è
quanto riporta Il Sole 24 Ore di sabato 24 aprile, nell’articolo “Codice, 540
milioni di gare in fumo” di G. Latour e M. Salerno a commento del comunicato di
Ministero ed Anac, ma, in realtà a commento del paradossale diritto transitorio,
derivante – citiamo sempre l’articolo – dal “caos che è seguito alla pubblicazione del nuovo Codice appalti. Il Dlgs
n. 50 del 2016 è andato in Gazzetta ufficiale nella tarda serata di martedì,
entrando in vigore nel giorno stesso della sua pubblicazione, il 19 aprile, per
restare nei tempi indicati dalle direttive europee”.
Ecco, caos. Anche Il Sole 24 Ore
è stato costretto ad ammettere che il primo esito dell’entrata in vigore del
d.lgs 50/2016 è un caos. Eppure il quotidiano di Confindustria, con gli stessi
autori Latour e Salerno, nonché Santilli, per giorni e giorni non ha fatto
altro che osannare il codice, come per esempio con l’articolo del 16 aprile: “Appalti,
codice semplificato e più poteri a Cantone”. Salvo scoprire, pochi giorni dopo,
che di semplificazione ce n’è poca e che i poteri dell’Anac non scongiurano il
caos.
“Cesare fui e son Iustiniano,
che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
d’entro le leggi trassi il troppo
e ‘l vano”.
Così Dante nel VI canto del
Paradiso sintetizza l’opera di riordino delle leggi del diritto romano,
intrapresa da Giustiniano e sfociata nel corpus
iuris civilis. Un’opera staordinaria, dovuta al genio e alla volontà ferrea
di Triboniano, che si dedicò allo scopo di razionalizzare, condensare in novellae il caos delle troppe leggi,
editti, e fonti di svariata natura che avevano reso l’ordinamento giuridico
romano intricatissimo e complesso.
Si sa, per il presidente dell’Anac
la soft law va benissimo, e può fare
storcere il naso a coloro che vengono spregiativamente definiti “puristi del
diritto”. Tuttavia, una volta che l’ordinamento sarà intriso di leggi arruffate,
scritte troppo velocemente, senza ponderazione e condite da comunicati, linee
guida, indicazioni e tweet, si dovrà sperare nell’opera di un novello
Giustiniano. Ma, a quel punto, “l’impero” probabilmente sarà già caduto.
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