Una delle cose che generalmente
danno più fastidio sono i pareri non richiesti, specie quando, poi, danno per
scontate soluzioni che così scontate non sono.
Il parere espresso dalla Corte
dei conti, Sezione Autonomie con la delibera 18/2016 in parte appartiene alla
categoria. Esso, infatti, in un inciso, prende posizione su un tema
estremamente delicato, che non appare per nulla così scontato come risolto
dalla Sezione.
Nel parere si legge: “In linea con quanto previsto dai criteri di
delega (art. 1, comma 1, lett. rr) contenuti nella legge 28 gennaio 2016, n.
11, la nuova normativa, sostitutiva della precedente, abolisce gli incentivi alla progettazione previsti dal previgente
art. 93, comma 7 ter ed introduce, all’art. 113, nuove forme di “incentivazione per funzioni tecniche”.
Disposizione, quest’ultima, rinvenibile al Tit. IV del d.lgs. n. 50/2016
rubricato “Esecuzione”, che disciplina gli incentivi per funzioni tecniche
svolte da dipendenti esclusivamente per
le attività di programmazione della spesa per investimenti e per la verifica
preventiva dei progetti e, più in generale, per le attività
tecnico-burocratiche, prima non incentivate, tese ad assicurare l’efficacia
della spesa e la realizzazione corretta dell’opera”.
Un inciso lo facciamo anche noi
e riguarda un’incredibile epifania: le attività burocratiche sono finalizzate
ad assicurare “efficacia” e “correttezza della spesa!”. Per una delle rarissime
volte in cui ciò avviene, proprio la Corte dei conti, severa giudice della
tanto disprezzata “burocrazia”, sottolinea che sia opportuno incentivarla, perché
le attività burocratiche sono necessarie e utili. Come, poi, in un’attività
tecnica, nella l’esecuzione del progetto è fondamentale tanto quanto il
progetto, l’incentivazione possa escludere la progettazione, non lo ha capito
proprio nessuno. Salvo, ovviamente, le lobby dei professionisti ingegneri ed
architetti, che hanno premuto per anni ed anni allo scopo di ottenere l’eliminazione
dell’incentivo alla progettazione, sperando così di vedere incrementare la
quantità degli affidamenti in loro favore. Con disdoro delle regole di
revisione della spesa e suo contenimento, che nessuno mette in luce.
Infatti, la parola d’ordine,
oggettivamente assurda e indimostrabile, è che vietando ai tecnici delle PA di
essere incentivati per progettare, si ottenga maggiore qualità.
In effetti è proprio nell’articolo
1, comma 1, lettera rr), ultimo periodo, della legge 11/2016 che l’ossimoro
viene apertamente scolpito in legge: “al
fine di incentivare l’efficienza e l’efficacia nel perseguimento della
realizzazione e dell’esecuzione a regola d’arte, nei tempi previsti dal
progetto e senza alcun ricorso a varianti in corso d’opera, è destinata una
somma non superiore al 2 per cento dell’importo posto a base di gara per le
attività tecniche svolte dai dipendenti pubblici relativamente alla
programmazione della spesa per investimenti, alla predisposizione e controllo
delle procedure di bando e di esecuzione dei contratti pubblici, di direzione
dei lavori e ai collaudi, con particolare riferimento al profilo dei tempi e
dei costi, escludendo l’applicazione degli incentivi alla progettazione”.
Insomma, per evitare le varianti
in corso d’opera (che sia detto ulteriormente per inciso il d.lgs 50/2016 non
elimina per nulla), la pensata migliore è non incentivare la prestazione
fondamentale per scongiurarle: cioè una buona progettazione; il tutto, forse,
partendo dall’assunto che se un tecnico è dipendente della PA produce progetti
soggetti a varianti come status ontologico del progettare da dipendente della
PA; se quelle stesse persone, tuttavia, fossero professionisti esterni, si
dovrebbe dare per scontato che nessun progetto sarebbe soggetto a variante. I
fatti e la cronaca ci diranno se sarà vero che, una volta esternalizzati tutti
i progetti ai professionisti esterni, per ciò solo miracolosamente le varianti spariranno
dall’orizzonte.
Torniamo a concentrarci sul dictum non richiesto della Corte dei
conti. La quale, come si nota, è ben lieta di schierarsi subito e acriticamente
sulla posizione per la quale effettivamente e senza dubbio alcuno l’incentivo
per l’attività di progettazione è stato abolito.
In effetti, non vi sarebbe
nessun’incertezza, a leggere la legge delega. Né residuerebbero remore,
leggendo l’articolo 113, comma 2, del d.lgs 50/2016: “A valere sugli stanziamenti di cui al comma 1 le amministrazioni
pubbliche destinano a un apposito fondo risorse finanziarie in misura non
superiore al 2 per cento modulate sull'importo dei lavori posti a base di gara
per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti pubblici esclusivamente per le
attività di programmazione della spesa per investimenti, per la verifica
preventiva dei progetti di predisposizione e di controllo delle procedure di
bando e di esecuzione dei contratti pubblici, di responsabile unico del
procedimento, di direzione dei lavori ovvero direzione dell'esecuzione e di
collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità, di
collaudatore statico ove necessario per consentire l'esecuzione del contratto
nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi
prestabiliti”.
Tale norma considera, quindi,
incentivabili le seguenti “funzioni tecniche”:
a)
attività di programmazione della spesa per
investimenti,
b)
attività per la verifica preventiva dei progetti,
c)
attività di predisposizione e di controllo delle
procedure di bando
d)
attività di predisposizione e di controllo delle
procedure di esecuzione dei contratti pubblici,
e)
attività di responsabile unico del procedimento,
f)
attività di direzione dei lavori ovvero direzione
dell'esecuzione
g)
attività di collaudo tecnico amministrativo ovvero di
verifica di conformità,
h)
attività di collaudatore statico.
Pazienza se le attività di cui
alle precedenti lettere a), c) e d) di “tecnico” abbiano oggettivamente poco,
nel senso, almeno, di non appartenere alla tecnica progettuale, ma solo a
quella amministrativo-contabile.
Se l’articolo 113 si fosse
limitato al comma 2, la coerenza con la legge delega sarebbe stata assoluta e
la Sezione Autonomie avrebbe affermato l’ovvio.
Indubbiamente, questa è la
volontà del legislatore, concorde con le lobby. Tuttavia, non si può e non si
deve fare a meno di segnalare che l’esito reale della norma non è affatto
questo. Non per difendere a spada tratta l’incentivazione della progettazione
(la cui eliminazione, comunque, appare un erroneo paradosso), ma allo scopo di
apportare un necessario correttivo, per scongiurare il fiorire dei contenziosi.
Sì, perché l’articolo 113 ha
anche un comma 3, il quale, al primo periodo dispone: “l'ottanta per cento delle risorse finanziarie del fondo costituito ai
sensi del comma 2 è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, servizio, fornitura
con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata
integrativa del personale, sulla base di apposito regolamento adottato dalle
amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti, tra il responsabile unico del
procedimento e i soggetti che svolgono
le funzioni tecniche indicate al comma 1 nonché tra i loro collaboratori.
Gli importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a
carico dell'amministrazione”.
Ebbene, fosse stato scritto che
l’incentivo è da ripartire tra i soggetti che svolgono nel funzioni tecniche
indicate al comma 2, non vi sarebbe alcun problema. Il fatto è, però, che si
richiamano le funzioni elencate dal comma 1 e che questo sia formulato come
segue: “Gli oneri inerenti alla progettazione, alla direzione dei
lavori ovvero al direttore dell'esecuzione, alla vigilanza, ai collaudi tecnici
e amministrativi ovvero alle verifiche di conformità, al collaudo statico, agli
studi e alle ricerche connessi, alla progettazione dei piani di sicurezza e di
coordinamento e al coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione quando
previsti ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, alle prestazioni
professionali e specialistiche necessari per la redazione di un progetto
esecutivo completo in ogni dettaglio fanno carico agli stanziamenti previsti
per la realizzazione dei singoli lavori negli stati di previsione della spesa o
nei bilanci delle stazioni appaltanti”.
Nessuno può negare, sulla base
della semplicissima e piana lettura del testo, che l’articolo 113, al comma 1,
elenca tra le funzioni tecniche proprio la progettazione. Il rimando, dunque,
del comma 3 al comma 1 dell’articolo 113 si risolve nel risultato che sebbene
il comma 2, attuando la legge delega, miri ad escludere la progettazione dall’incentivo,
in effetti la pessima qualità redazionale delle norme non l’abbia affatto
cancellata. Sicchè, questa lineare analisi della norma potrebbe consentire a
qualsiasi progettista dipendente della PA a pretendere, almeno nella fase della
contrattazione, l’incentivazione, maldestramente non cancellata dall’estensore
della norma, per quanto il fine sia chiaro e per quanto da questo punto di
vista la legge delegata sia in contrasto con la legge delega.
Poiché le cose stanno così,
sarebbe stato lecito aspettarsi che la Sezione Autonomie, nell’affrontare la
questione sia pure per inciso, non avesse preso una posizione così netta e
radicale, quasi tentata dallo schierarsi con la comunicazione semplice della
propaganda, che da mesi ossessiona affermando la grande conquista dell’eliminazione
degli incentivi, come strumento per aumentare la qualità dei progetti. Sarà
senz’altro vero, per carità. Ma, prima, che la norma elimini davvero gli
incentivi.
Non vogliamo credere che la
Sezione Autonomie per l’ennesima volta abbia avuto intenzione di intervenire
per via interpretativa sull’ordinamento, creando e non fornendo strumenti
interpretativi del diritto. Il parere 18/2016, per la verità, contiene un’indicazione
decisiva sul ruolo della funzione consultiva della Corte dei conti: “la soluzione delle questioni poste non può
che rimanere definita in un ambito di stretto principio, non potendo la Corte in questa sede addentrarsi in aspetti di dettaglio
della disciplina, che attengono, come sopra precisato, alla potestà
regolamentare riconosciuta in capo agli enti locali. Ciò anche in
considerazione di quanto precisato nella delibera n. 3/2014/QMIG in merito al
fatto che “ausilio consultivo per quanto possibile deve essere reso senza che esso costituisca un’interferenza
con le funzioni requirenti e giurisdizionali e ponendo attenzione ad evitare che di fatto si traduca in
un’intrusione nei processi decisionali degli enti territoriali””.
Forse, questo andrebbe tenuto
presente più spesso ed estendere la necessaria prudenza anche all’opportunità
che l’espressione dei pareri non si traduca in creazione di regole nuove, non
contenute e non desumibili dalle leggi.
La conclusione cui giungere,
dunque, è un’altra e diverge da quella suggerita dalla Sezione: esiste, nell’attuale
testo, un’ambiguità che va necessariamente risolta, modificando l’articolo 113,
comma 3, così da renderlo coordinato con la legge delega. Questo in punto di
diritto. Nel merito, l’opportunità di eliminare gli incentivi ai progettisti
appare totalmente inesistente, ma ovviamente non si può sindacare su un
indirizzo politico.
Resta il fatto che, nonostante sia
evidente (per quanto non correttamente disposto) l’intento di abolire l’incentivazione
per i progettisti interni, resta prioritaria, come nel precedente sistema, l’attività
progettuale interna. Lo rivela molto chiaramente l’elencazione dell’articolo
24, comma 1, lettera a), del d.lgs 50/2016, che segue un ordine di priorità
appunto, non casuale:. Pertanto le prestazioni relative alla progettazione di
fattibilità tecnica ed economica, definitiva ed esecutiva di lavori, nonché
alla direzione dei lavori e agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo
alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla
programmazione dei lavori pubblici sono espletate:
a) dagli uffici tecnici delle stazioni
appaltanti;
b) dagli uffici consortili di
progettazione e di direzione dei lavori che i comuni, i rispettivi consorzi e
unioni, le comunità montane, le aziende sanitarie locali, i consorzi, gli enti
di industrializzazione e gli enti di bonifica possono costituire;
c) dagli organismi di altre
pubbliche amministrazioni di cui le singole stazioni appaltanti possono
avvalersi per legge;
d) dai soggetti di cui
all'articolo 46, cioè i progettisti privati, nelle loro varie forme di
organizzazione.
Dunque, l’eliminazione dell’incentivo
non elimina la pretensibilità della prestazione della progettazione interna da
parte della PA.
Il dato poco sottolineato, e che
probabilmente il giudice contabile avrebbe dovuto evidenziare anche storcendo
un po’ il muso, è che nell’articolo 24 del d.lgs 50/2016, simmetrico all’articolo
90 del vecchio d.lgs 163/2006, manca una disposizione simile a quella del comma
6 dell’articolo 90: “le amministrazioni
aggiudicatrici possono affidare la redazione del progetto preliminare,
definitivo ed esecutivo, nonché lo svolgimento di attività
tecnico-amministrative connesse alla progettazione, ai soggetti di cui al comma
1, lettere d), e), f), f-bis), g) e h), in caso di carenza in organico di
personale tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della
programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso
di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o
in caso di necessità di predisporre progetti integrali, così come definiti dal
regolamento, che richiedono l'apporto di una pluralità di competenze, casi che
devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento”.
Dunque, mentre nel precedente regime normativo era espressamente richiesto che
l’affidamento esterno della progettazione fosse motivato e anche molto bene,
con la riforma questa richiesta esplicita non c’è più.
Il vero contenuto “rivoluzionario”
sta qui, non tanto nell’eliminazione nell’incentivo: nell’aver eliminato un
espresso onere di spiegare la ragione per la quale invece di utilizzare e
valorizzare competenze interne, ci si rivolge all’esterno.
E’ con questa sapiente
cancellazione che si gioca la possibilità di estendere a dismisura gli
incarichi esterni: non essendo esplicitato un dovere di motivare il ricorso a
soggetti esterni, risulterà più facile rivolgersi al mercato. Un mercato che
sta già premendo, per altro, perché l’affidamento diretto sotto la soglia dei
40.000 euro sia considerato “fiduciario”.
Ma, vorremmo sapere dalla Corte
dei conti, è proprio così? Cioè, siamo sicuri davvero che avendo eliminato l’obbligo
espresso di spiegare le ragioni che inducono a servirsi di progettisti esterni,
proprio nessuna sezione regionale di controllo o proprio nessun Tar o proprio
nessun pubblico ministero in sede penale possa considerare illegittimo, o fonte
di danno erariale se non causa di reato la decisione di affidare gli incarichi all’esterno,
pur essendo l’ordine di priorità ancora evidentemente in favore dei progettisti
interni?
Ecco, probabilmente i quesiti ai
quali rispondere in modo definitivo, anche influendo, eccome, con le funzioni
requirenti e giurisdizionali, sarebbero proprio questi, quelli ai quali, di
solito, non si risponde mai o mai con una soluzione chiara e definitiva.
E che l'articolo preveda al comma 2 "in misura non superiore al 2 per cento modulate sull'importo dei lavori" (LAVORI, non servizi e forniture) ma al comma 3 [...]l'ottanta per cento delle risorse finanziarie del fondo costituito ai sensi del comma 2 è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, servizio, fornitura (toh i servizi e le forniture!)...
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