Una delle conseguenze più
rilevanti del d.lgs 50/2016 è avere messo definitivamente in luce che nel campo
degli appalti (come, del resto, anche in qualsiasi campo di azione della PA),
non vi può essere spazio per gli affidamenti “fiduciari”.
La riforma del codice dei
contratti dà uno scossone in particolare agli incarichi ancora da molti
ritenuti appartenere ad un’area “protetta”, come quelli agli avvocati, o anche
a quelli di limitato valore “allo scopo di favorire le imprese locali”.
I principi fissati sia dall’articolo
4, relativo agli appalti esclusi dal campo di applicazione del codice, sia dall’articolo
30, riguardante tutti gli altri appalti, sono estremamente chiari nel negare
ogni possibilità di connettere l’affidamento di una prestazione di lavori,
servizi o forniture a presunte, ma imperscrutabili e non motivate, capacità di
opportunità ed intuito dell’amministrazione aggiudicatrice e, per essa, del
dirigente o responsabile di servizio, di individuare quell’unico prestatore
capace di realizzare al meglio l’appalto, senza consultare o dimostrare di aver
consultato nemmeno un limitatissimo spicchio di mercato.
I principi delle norme citate
prima sono i seguenti:
Articolo 4
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Articolo 30
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I principi, in particolare, di
imparzialità e parità di trattamento per i contratti “esclusi” e quelli di
correttezza, libera concorrenza e non discriminazione, per gli altri,
impediscono di per sé qualsiasi decisione delle stazioni appaltanti di
negoziare solo con un operatore economico, in assenza di specifiche
motivazioni.
La possibilità di affidare
direttamente una prestazione, per “fiducia” nel destinatario, non può essere
giustificata da fattori oggettivi, in presenza delle norme citate sopra. L’esclusione
del contratto dal campo di applicazione del codice impone, comunque, di
rispettare l’imparzialità e la parità di trattamento, che presuppongono l’escussione
di una pluralità di soggetti con cui negoziare l’affidamento; il valore
contenuto dell’importo in ogni caso, per i contratti inclusi, li attrae nel
campo di applicazione dei principi dell’articolo 30 e l’obbligo di motivare l’affidamento
diretto esplicitato dall’articolo 36, comma 2, lettera a), per altro solo
ripetitivo dell’obbligo generale di motivare qualsiasi provvedimento
amministrativo, induce a far emergere in particolare il rispetto dei principi
di correttezza, libera concorrenza e non discriminazione, con i quali una
consultazione diretta di un solo e unico operatore economico si scontra
frontalmente.
Al di là di queste previsioni,
ad impedire radicalmente un affidamento diretto privo di una motivazione (che
risulti diversa da quelle previste dall’articolo 63 del codice) è anche un’altra
norma fondamentale, promanazione diretta della disciplina anticorruzione, la
quale, è bene ricordarlo, costituisce una fonte “esterna” ma strettamente
collegata alla disciplina degli appalti, visto che si tratta di un’area a forte
rischio di corruzione ai sensi dell’articolo 1, comma 16, della legge 190/2012.
Si tratta dell’articolo 42 del
codice, ai sensi del quale “Le stazioni
appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione
nonché per individuare, prevenire e
risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello
svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle
concessioni, in modo da evitare
qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di
tutti gli operatori economici”.
Come si nota, la disposizione
richiama espressamente alcuni principi enunciati dagli articoli 4 e 30 del
codice, riferendosi in particolare alla garanzia della concorrenza e alla
parità di trattamento.
La norma è, quindi, chiarissima:
di per sé la negazione della concorrenza e della parità di trattamento sono un
potenziale rischio di corruzione, legato a conflitto di interessi. Ed è ovvio
che la concorrenza e la parità di trattamento si vulnerano quando ci si rivolge
ad un solo operatore: infatti, non si apre il mercato e non si consente a
nessuno di concorrere col soggetto individuato unilateralmente.
Del resto, è opportuno ricordare
che il Piano Nazionale Anticorruzione del 2013 ha considerato come “rischio
specifico” di corruzione esattamente gli affidamenti diretti.
E’ noto quali siano le modalità
utili per contrastare i rischi di corruzione: la prima e fondamentale è la
trasparenza. Essa, però, non consiste soltanto nelle sue componenti più
intuitive e, cioè, la disponibilità degli atti e la loro pubblicità (specie se
solo successiva). La trasparenza consiste anche nell’agire trasparente, nel
dimostrare, cioè, che l’azione della PA non è inquinata da interessi privati.
Ora, è chiaro che laddove un’amministrazione
aggiudicatrice vada diretta verso un solo operatore economico, senza
minimamente preoccuparsi di verificare se nel mercato ve ne siano altri in
grado di rendere la prestazione, il rischio di corruzione e, in particolare, di
conflitto di interessi si accentua, se non si è in grado di spiegare la ragione
per la quale si adotta tale scelta.
Il problema è che motivare l’affidamento
diretto col rapporto di fiducia, significa certificare esattamente la
sussistenza del conflitto di interessi. Ai sensi del comma 2 dell’articolo 42
del codice dei contratti, “si ha
conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un
prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante,
interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e
delle concessioni o può influenzarne, in
qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un
interesse finanziario, economico o altro
interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della
procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle
che determinano l'obbligo di astensione previste dall'articolo 7[1] del decreto del
Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62”.
Un rapporto fiduciario tra
organo dell’amministrazione aggiudicatrice ed operatore economico di per sé configura
la presenza di un interesse personale, dovuto a confidenza o altri aspetti
esogeni rispetto all’obbligo di consultare il mercato in modo imparziale, sì da
generare di per sé il conflitto di interessi.
E’ perfettamente vero che nel
privatoè attribuito carattere personale e fiduciario specificamente ai
contratti di prestazione d’opera intellettuale. Ma, questa considerazione è
ininfluente: il codice dei contratti e la normativa anticorruzione si pongono
come disciplina speciale, che deroga alle disposizioni di diritto comune
contenute nel codice civile, proprio perché il contraente-PA non è libero di
esplicare pienamente l’autonomia di diritto privato, ma deve attenersi a regole
procedurali volte a dimostrare che la propria azione è rispettosa esattamente
dei fondamentali principi di parità di trattamento e non discriminazione, con i
quali la fiducia e l’intuitu personae
non possono assolutamente conciliarsi.
L’articolo 42 del codice dei
contratti, insieme con le altre previsioni della complessa normativa
anticorruzione, dunque, mette in evidenza l’illegittimità della fiducia nel
prestatore come motivazione della scelta, perché di per sé la fiducia non
risolve, anzi accentua, i rischi di conflitto di interesse e di corruzione
retrostanti a qualsiasi affidamento svolto senza aver consultato il mercato e
messo nelle condizioni una pluralità, anche contenuta, di operatori di
competere ai fini dell’assegnazione.
E’ evidente che solo una
negoziazione anche semplice con più di un operatore economico permette di
scongiurare il rischio insito nella fiduciarietà e di rendere chiaro perché si
affidi all’uno piuttosto che all’altro, in relazione ad elementi come prezzo,
tempi della prestazione, modalità attuative della prestazione.
In particolare, per quanto
concerne l’affidamento agli avvocati dei servizi legali disciplinati con
estrema chiarezza dall’articolo 17 del codice alla stregua di appalti di
servizi, sia pure esclusi dal campo del codice, certamente è possibile
garantire il rispetto dei principi imposti dall’articolo 4, anche sulla base
della richiesta di un preventivo di spesa, quale uno tra i parametri da
considerare in una negoziazione.
Occorre ricordare quanto dispone
l’articolo 9, comma 4, del d.l. 1/2012, convertito in legge 27/2012: “Il compenso per le prestazioni professionali
è pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento
dell'incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il
grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa
gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione
dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i
danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al
cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza
dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di
costo, comprensive di spese, oneri e contributi. Al tirocinante è riconosciuto
un rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di
tirocinio”.
Tale disposizione, richiamata
dall’articolo 1, comma 6, del DM 20 luglio 2012 n. 140 “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione
da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni
regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9
del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 marzo 2012, n. 27” impone necessariamente alla PA di chiedere il
preventivo di spesa, per altro non limitandosi alla sua indicazione “di massima”,
ma il più dettagliato possibile.
Se, infatti, gli avvocati sono
obbligati ad esporre il preventivo, a maggior ragione la PA deve considerare
questo elemento tra quelli alla base della motivazione che la conduce alla
scelta di questo o quel professionista. Lo stesso vale, evidentemente, per
qualsiasi genere di incarico legato a prestazioni di servizi intellettuali,
considerati come appalti.
La fiducia, dunque, non può
travalicare le regole di prudenza ai fini anticorruzione, né rendere
indifferente l’elemento della spesa per prestazioni di servizi, come quelli
legali, per i quali si è inveterata l’abitudine di considerarlo come
ininfluente.
Tutti gli appalti, alla luce dei
principi posti dagli articoli 4 e 30 del codice dei contratti, nonché delle
disposizioni dell’articolo 42, debbono essere gestiti in modo da evidenziare
elementi oggettivi, tali da connotare la motivazione dell’affidamento anche
diretto di contenuti misurabili e valutabili. La fiducia, oltre ad evidenziare
un possibile conflitto di interessi, di per sé non è commensurabile e, quindi,
non è sufficiente a costruire la motivazione razionale imposta dal codice.
[1] Se ne riporta il testo:
“Il dipendente
si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano
coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo
grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia
rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con
cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di
credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia
tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non
riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o
gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui
esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile
dell’ufficio di appartenenza”.
Nella posizione dell'ANAC e in molte altre si considerano sostanzialmente nello stesso modo e con le medesime procedure burocratiche, che più sono formalmente complesse più sono suscetttibili di influenze esterne corruttive o comunque distorsive, incarichi che vanno dai 50 (cinquanta) euro ai 40000 euro. Mi sembri che nell'Italia degli anticorruzionistti per professione (perchè anticorruzionisti dilettanti e, fino a prova contraria, onesti, siamo tutti) si sia dimenticato per strada il principio di ragionevolezza. Per un affidamento di 100 euro, seguendo tutta la trafila burocratica prevista, si impiegano circa 4 ore di 2 dipendenti e approssimando e in cifra tonda, circa 110 euro. Forse si saranno risparmiati 10 o 15 centesimi di euro nell'affidamento considerato a se stante, ma se venisse un alieno ci prenderebbe tutti per pazzi. Anche perchè tutto questo si traduce in una sempre maggiore dequalificazione dei pubblici dipendenti.
RispondiEliminaSi deve aggiungere, anche, il principio di ROTAZIONE (art.36) - Comunque è preciso dovere del funzionario pubblico rispettare la legge e se la legge dice di rispettare gli 8+8+1 principi bisogna che il Funzionario metta in atto quello che occorre fare per rispettarli anche se occorrono 4 ore, 2 dipendenti, etc - Se alla politica questo non sta bene deve avere il coraggio di firmare direttamente i provvedimenti che ora firmano i funzionari.
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