Uno dei problemi maggiormente
rilevanti nella gestione dei contratti pubblici consiste nell’esatta
configurazione del rapporto da attivare con l’operatore economico privato.
In particolare, questa questione
coinvolte in maniera estremamente rilevante la distinzione tra appalti e
concessioni, perché cambia radicalmente la procedura. Il d.lgs 50/2016
ripropone una forte differenza tra i contratti di appalto (purchè, ovviamente “inclusi”
nel campo di disciplina codici stico) e le concessioni, le quali obbediscono ad
un regime normativo molto più semplificato.
La ragione di questa distinzione
è, sostanzialmente, banale, anche se molto spesso si tende a non valorizzarla:
per le concessioni la normativa che regolamenta l’individuazione del
concessionario è più “permissiva”, ma in realtà occorrerebbe dire che è meno
vincolante, poiché in linea teorica l’investimento pubblico dovrebbe essere
molto limitato, a fronte, invece di un impegno rilevante del privato.
Nella realtà, la regolazione
della concessione consiste non tanto nella fase pubblicistica di individuazione
del contraente, quanto soprattutto nella capacità da parte della pubblica
amministrazione di definire in maniera molto chiara gli standard di qualità
ritenuti fondamentali per i cittadini, anche allo scopo di permettere ai
privati l’elaborazione del piano economico-finanziario di sostenibilità.
Ecco, dunque, che il codice propone
alcuni punti fermi. Il primo è l’articolo 164, comma 2, ai sensi del quale “alle procedure di aggiudicazione di
contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per
quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II,
del presente codice, relativamente ai principi generali, alle esclusioni, alle
modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e
redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai
motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di
comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione
degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di
partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione”.
Si riconnette direttamente a questa previsione quella contenuta, poi, nell’articolo
166, comma unico: “e amministrazioni
aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono liberi di organizzare la procedura
per la scelta del concessionario, fatto salvo il rispetto delle norme di cui
alla presente Parte. Essi sono liberi di decidere il modo migliore per gestire l'esecuzione
dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato
livello di qualità, sicurezza ed accessibilità, la parità di trattamento e la
promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utenza nei servizi
pubblici”.
Il secondo punto fermo consiste,
poi, nell’obbligatoria presenza del “rischio operativo”. Esso è definito dall’articolo
3, comma 1, lettera zz), come “il rischio
legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato
dell’offerta o di entrambi, trasferito al concessionario. Si considera che il
concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni
operative normali, non sia garantito il
recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione
dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio
trasferita al concessionario deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni
potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale
o trascurabile”
L’articolo 165, comma 1, precisa
meglio: “nei contratti di concessione
come definiti all'articolo 3, comma 1, lettere uu) e vv), la maggior parte dei
ricavi di gestione del concessionario proviene dalla vendita dei servizi resi
al mercato. Tali contratti comportano il
trasferimento al concessionario del rischio operativo definito dall'articolo 3,
comma 1, lettera zz) riferito alla possibilità che, in condizioni operative
normali, le variazioni relative ai costi e ai ricavi oggetto della concessione
incidano sull'equilibrio del piano economico finanziario. Le variazioni devono
essere, in ogni caso, in grado di incidere significativamente sul valore
attuale netto dell'insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del
concessionario”.
I due punti fermi, quindi, in
sintesi consistono:
1.
in una certa libertà delle forme di individuazione dell’operatore
economico, tali per cui le concessioni possono essere ancora considerate forme
di regolazione del rapporto tra pubblica amministrazione e privati “escluse”
dal campo di applicazione del codice, con l’eccezione dei principi
espressamente richiamati e delle regole particolari poste negli articoli da 164
a 173;
2.
nelle necessità che l’operatore economico finanzi la
propria attività in maniera largamente prevalente attraverso la vendita dei
servizi resi con l’attività economica nel mercato, riducendosi, dunque,
tendenzialmente verso lo zero un onere economico (“canone”) a carico dell’amministrazione
concedente.
In quanto al primo punto, quello
relativo alle modalità di individuazione del concessionario, l’Anac da sempre
le considera particolarmente delicate sotto il profilo dei rischi corruttivi.
Nel Piano Nazionale Antocorruzione
del settembre 2013, Allegato 3, si esemplifica, nell’area relativa agli
appalti, il seguente fattore di rischio: “elusione
delle regole di affidamento degli appalti, mediante
l’improprio utilizzo del modello procedurale dell’affidamento delle concessioni
al fine di agevolare un particolare soggetto”.
Insomma, la concessione, proprio
per la sua maggiore libertà di forme di individuazione del contraente potrebbe
prestarsi ad utilizzi distorti. Per questa ragione occorre una particolare
rigorosità nel ricondurre il rapporto contrattuale ad appalto o, appunto,
concessione.
Fino all’entrata in vigore del
d.lgs 50/2016, il discrimine tra appalto e concessione è stato ricercato dalla
giurisprudenza sulla base di differenti criteri interpretativi. Il privilegio
dato dagli interpreti all’uno o all’altro ha condizionato la qualificazione
finale del contratto, come appalto di servizi o concessione:
a)
Criterio
“del destinatario”. Secondo questo primo sistema interpretativo si
evidenzia che mentre negli appalti pubblici di servizi l'appaltatore presta il
servizio in favore della pubblica amministrazione, al contrario nella
concessione di pubblico servizio il concessionario si sostituisce alla pubblica
amministrazione nell'erogazione del servizio direttamente alla collettività.
b)
Criterio
gestionale. Secondo questa diversa chiave di lettura si è in presenza di una
concessione e non di un appalto laddove l’operatore economico si assuma i
rischi di gestione della prestazione servizio, rivalendosi sull’utente
attraverso la riscossione di un canone.
c)
Criterio del
costo. Infine, si ritiene che si ha concessione se il servizio è reso ai
cittadini terzi ed il corrispettivo sia in tutto o in parte a carico degli
utenti; si ha, invece appalto servizi se la prestazione è resa
all’amministrazione aggiudicatrice, che ne corrisponde il controvalore
economico.
L’accezione di concessione data
dal d.lgs 50/2016 si avvicina maggiormente al “criterio gestionale”, ma
specifica meglio la necessità del rischio operativo, a sua volta sul
presupposto di un piano di equilibrio-economico finanziario integralmente a
rischio del concessionario ed esposto al mercato. Sul punto, l’articolo 165,
comma 2, del codice è abbastanza chiaro: “l'equilibrio
economico finanziario definito all'articolo 3, comma 1, lettera fff),
rappresenta il presupposto per la
corretta allocazione dei rischi di cui al precedente comma 1. Ai soli fini
del raggiungimento del predetto equilibrio, in sede di gara l'amministrazione
aggiudicatrice può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili.
Il contributo, se funzionale al mantenimento dell'equilibrio
economico-finanziario, può essere riconosciuto mediante diritti di godimento su
beni immobili nella disponibilità dell'amministrazione aggiudicatrice la cui
utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all'opera affidata in
concessione. In ogni caso, l'eventuale
riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o
di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica
amministrazione, non può essere superiore al trenta per cento del costo
dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari.
Come si nota, per la prima volta
il legislatore definisce la soglia massima dell’apporto pubblico (contributo
anche in garanzia o beni, o prezzo) al raggiungimento dell’equilibrio
finanziario. E’ evidente che in questo modo il piano economico è fondamentale e
dirimente per la scelta del concessionario, in quanto quello più credibile e
sostenibile sarà oggetto della maggiore attenzione ai fini dell’assegnazione.
Altrettanto ovvia sarà l’importanza da assegnare alla dimensione dell’apporto
privato all’equilibrio: il suo crescere comporta una simmetrica riduzione dell’onere
dell’amministrazione concedente, tale da meritare considerazione ai fini della
valutazione dell’offerta.
Fermi restando questi assunti, il
d.lgs 50/2016 allora può aiutare ad inquadrare meglio due tipologie di
prestazioni tradizionalmente di incerta configurazione:
a)
il servizio di tesoreria;
b)
la gestione di impianti pubblici sportivi.
In quanto alla tesoreria, come è
noto il Consiglio di stato, Sezione V, sentenza 6/6/2011 n. 3377 in tempi non lontani
ha ritenuto che “l’affidamento del
servizio di tesoreria si sostanzia in una concessione di servizi”.
Una conclusione che si appoggia
essenzialmente sul pensiero della Corte di Cassazione, che con la decisione n.
8113/09 ritenne: “come reiteratamente
affermato da queste Sezioni Unite (sentenze n. 13453/91, n. 874/99, n.
9648/2001) il contratto di tesoreria ... va qualificato in termini di rapporto
concessorio, e non di appalto di servizi ... avendo ad oggetto la gestione del
servizio di tesoreria comunale implicante, ai sensi del T.U. della Legge
Comunale e Provinciale, approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 325, il conferimento
di funzioni pubblicistiche quali il maneggio del denaro pubblico e il controllo
sulla regolarità dei mandati e prospetti di pagamento, nonché sul rispetto dei
limiti degli stanziamenti in bilancio”.
Come si nota, si tratta della
configurazione della concessione alla stregua del criterio “del destinatario”.
Ma, nel nuovo ordinamento, tale criterio è da considerare ormai non più
operante.
Semmai, della sentenza 377/2011
del Consiglio di stato sarebbe da apprezzare il passaggio nel quale sostiene
che la gara di tesoreria rientra “tra
quelle in cui “la controprestazione a favore del concessionario consiste
unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente
il servizio”, e, per ciò solo, tra le concessioni di servizi”.
Il problema è che, col nuovo
codice dei contratti, tale modo di considerare le concessioni è ormai
insufficiente. Infatti, a ben vedere nella gestione del servizio di tesoreria
manca (e non si vede come possa esservi) un piano di equilibrio
economico-finanziario, soprattutto perché non c’è alcuna specifica prestazione rivolta
al mercato.
Oggettivamente, il tesoriere
svolge le proprie attività per conto e a beneficio dell’ente locale, senza
ottenere alcuno specifico ricavo dall’attività connessa, che non sia molto
indirettamente connesso all’accrescimento dell’immagine ed all’opportunità di
entrare in contatto con una serie di soggetti che potrebbero divenire propri
clienti.
L’assenza, allora, di un rischio
operativo e della necessità di un piano per l’equilibrio finanziario, deve
indurre a ritenere che la gestione della tesoreria non possa essere considerata
come concessione, alla luce della dirimente definizione di essa data dal codice
dei contratti.
In effetti, la qualificazione
dell’attività di tesoreria discende esattamente dal criterio non più
utilizzabile “del gestore”, che dava rilevanza alla traslazione del potere
pubblico, dall’amministrazione al privato.
Il d.lgs 50/2016 chiarisce,
indirettamente, in modo definitivo che, invece, l’attività di tesoreria è
semplicemente un appalto di servizio, del quale, per altro, diretto ed unico
beneficiario è l’amministrazione pubblica, non essendovi alcuna prestazione
rivolta in via diretta ai cittadini.
Le conseguenze sono rilevanti.
Non potendosi qualificare il servizio come concessione, esso, allora, ricade
nell’ambito di applicazione del codice, visto che il servizio di tesoreria non
pare ascrivibile agli appalti “esclusi”.
Tuttavia, poiché come rilevato
sopra generalmente le convenzioni non sono onerose per le amministrazioni, sarà
generalmente possibile affidare il servizio applicando l’articolo 36 del codice
e le sue procedure semplificate, per altro coerenti con i principi enunciati
dall’articolo 210 del d.lgs 267/2000.
C’è, poi, la questione della
gestione degli impianti sportivi. Il problema operativo ed interpretativo è
reso complesso e tale da non consentire una sola risposta, perché confluiscono
una serie di elementi.
Il primo è dato dall’articolo
164, comma 3, del codice, ai sensi del quale “i servizi non economici di interesse generale non rientrano nell'ambito
di applicazione della presente Parte”.
Si tende, nella gran parte dei
casi, a considerare la gestione degli impianti sportivi di per sé attinente ai
servizi privi di rilevanza economica. In questo caso, quindi, non si rientra
nella disciplina delle concessioni, come espressamente stabilito ora dal codice
dei contratti.
Il che fornisce una risposta
importante al quesito: se la gestione degli impianti sportivi è unicamente finalizzata
alla fruizione dell’impianto, non si tratta di una concessione ai fini del
codice. Ma, se non è una concessione, è un altro istituto. Quale?
Per avere risposte abbastanza
certe occorre sempre estendere l’indagine. Nel caso di specie, è utile andare
controllare i codici del vocabolario comune degli appalti, per scoprire che
esiste il codice “92610000-0, Servizi di
gestione di impianti sportivi”, espressamente compreso tra i servizi
elencati nell’allegato IX al codice dei contratti, che a sua volta si riferisce
ai servizi sociali.
Ecco, allora, risolto il
problema. Non si tratta di concessioni, ma di appalti di servizi, da gestire,
nel soprasoglia, in applicazione degli articoli 140, 142 e 143 del codice; nel
sotto soglia, si applica l’articolo 36.
Occorre, però, una
specificazione. Lo schema dell’appalto di servizio intesto come servizio
sociale vale pienamente laddove si tratti di una gestione effettiva del solo
impianto. E’ un appalto di servizio, perché a ben vedere – in generale – il gestore
svolge l’attività per conto ed al posto dell’amministrazione; è vero che il
gestore riscuote le tariffe, ma lo fa sempre per conto dell’amministrazione,
che, nella gran parte dei casi, mira ad assicurare l’intera copertura economica
della gestione: il che esclude radicalmente il rischio operativo. Tuttavia, nel
caso di impianti particolarmente sofisticati e dotati, come nel caso di
solarium, bar, ristoranti, altri servizi accessori, occorre porre molta
attenzione alla prevalenza del fine sportivo-sociale su quello propriamente
economico connesso agli introiti dei servizi “accessori”. In questo caso,
infatti, si potrebbe essere in presenza di un appalto misto, che potrebbe far
propendere anche per la suddivisione in lotti “prestazionali”, distinguendo la
gestione specifica degli impianti, finalizzata alla pratica dello sport, dalla
gestione, invece, dei servizi commerciali.
Queste indicazioni sono rilevanti
anche per comprendere se scatti o meno la possibilità di avvalersi della
previsione contenuta nell’articolo 90, comma 25, della legge 289/2002, ai sensi
del quale “ai fini del conseguimento
degli obiettivi di cui all'articolo 29 della presente legge, nei casi in cui
l'ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti
sportivi, la gestione e' affidata in via preferenziale a società e associazioni
sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive
associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono
i criteri d'uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per
l'individuazione dei soggetti affidatari. Le regioni disciplinano, con propria
legge, le modalità di affidamento”.
Si tratta di una previsione che
appare da limitare al solo caso della gestione dell’impianto sportivo, senza,
quindi, i servizi accessori di natura commerciale, rispetto ai quali non si
ravvede ragione alcuna per attribuire una preferenza a società ed associazioni
sportive.
C’è, comunque, da osservare che l’articolo
143 del codice consente di effettuare appalti “riservati” per specifici servizi
sociali, tra i quali non rientra quello di gestione degli impianti sportivi.
Questo pone il problema della compatibilità dell’articolo 90, comma 25, della
legge 289/2002 con le previsioni codicistiche.
Il problema va risolto,
probabilmente, considerando che detta ultima norma non disciplina una “riserva”
alle associazioni sportive, bensì una “preferenza”, per altro da attuare in
applicazione delle leggi regionali cui la norma rinvia.
E nel caso di del servizio e del diritto sulle pubbliche affissioni, compreso il servizio di pubbliche affissioni dei manifesti o del servizio di riscossione coattiva delle entrate tributarie, extratributarie e patrimoniali si è in appalto di servizi o di concessione di servizi....
RispondiEliminaNon essendovi un piano finanziario a monte, è da configiurare come appalto di servizi.
RispondiEliminaNon essendovi un piano finanziario a monte, è da configiurare come appalto di servizi.
RispondiEliminainvece in merito all'installazione e gestione di distributori automatici nei pressi degli edifici comunali mi pare che sussistano i requisiti per essere classificato come concessione di servizi, corretto?
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