In molti operatori si è radicata l’idea secondo la
quale laddove si intenda avvalersi della possibilità offerta dall’articolo 36,
comma 2, lettera a), del d.lgs 50/2016, sia opportuno selezionare il contraente
mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (di seguito
Oepv), oltre che del massimo ribasso.
Fermo rimanendo che qualsiasi
strumento di selezione di natura più rigorosa del semplice affidamento diretto
va nella direzione di una maggiore trasparenza, occorre sottolineare che non è
corretto, né possibile, combinare tra loro istituti e procedure profondamente
diversi.
Di fatto il codice dei contratti
mette di fronte a due possibilità:
1.
porre in essere una gara, applicando integralmente il codice,
oppure avvalendosi della procedura “breve” prevista dall’articolo 36, comma 2,
alle condizioni ivi disposte;
2.
porre in essere un affidamento diretto, sussistendo le
condizioni previste dall’articolo 36, comma 2, lettera a), o, anche,
dall’articolo 63.
Realizzare una gara è sempre
possibile. Occorre ricordare che il comma 2 dell’articolo 36 esordisce
disponendo: “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 37 e 38 e salva
la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie, le stazioni
appaltanti procedono all'affidamento di lavori, servizi e forniture di importo
inferiore alle soglie di cui all'articolo 35, secondo le seguenti modalità: […]”.
Proprio perché rimane sempre
ferma la possibilità di avvalersi delle “procedure ordinarie”, per meglio dire
della possibilità di applicare le disposizioni del codice relative alle
procedure di gara, la determinazione a contrattare che avvia, invece, gli
affidamenti “semplificati” e, quindi la procedura “straordinaria” di cui
all’articolo 36, deve contenere anche la motivazione alla base della scelta di
scartare il ricorso alla procedura ordinaria.
E’ evidente che se anche nel
sotto-sotto soglia, quello previsto dall’articolo 36, si decida di attivare una
“procedura ordinaria”, si realizzerà una gara e, dunque, il criterio di scelta
del contraente sarà l’Oepv o, ricorrendo le ipotesi previste dall’articolo 95,
il massimo ribasso.
Il problema che si pone è,
allora, se questi criteri siano da applicare anche quando si decida per
l’affidamento diretto, sotto la soglia dei 40.000 euro. Nessun dubbio che i due
criteri si applichino del caso dell’articolo 36, comma 2), lettere da b) a d),
perché comunque si è in presenza di una gara, per quanto semplificata.
Andiamo al punto. L’Oepv, come il
ribasso, sono un criterio di aggiudicazione, per espressa previsione della
rubrica dell’articolo 95 del codice. Se c’è un’aggiudicazione, vuol dire che
c’è una procedura selettiva, che contempla necessariamente l’individuazione di
offerenti (in via aperta, ristretta o negoziata) e la selezione, tra questi,
appunto dell’offerta migliore.
Ora, dispone l’articolo 77, comma
1, del codice che “nelle procedure di aggiudicazione di contratti di
appalti o di concessioni, limitatamente ai casi di aggiudicazione con il
criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del
miglior rapporto qualità/prezzo la valutazione delle offerte dal punto di vista
tecnico ed economico è affidata ad una commissione giudicatrice,
composta da esperti nello specifico settore cui afferisce l'oggetto del
contratto”.
Se c’è, quindi, procedura di
aggiudicazione mediante Oepv qualità/prezzo, deve anche esserci una commissione
giudicatrice; il che significa che occorre una procedura, ordinaria o
semplificata, di acquisizione di offerte ed una fase di gara sorretta dalla
presenza della commissione che valuta.
Scindere l’applicazione dell’Oepv
dalla procedura di aggiudicazione non è possibile, per la semplice ragione che
l’Oepv (come il ribasso) è un criterio di aggiudicazione: si applica se c’è
aggiudicazione, se c’è gara. Ma, se non c’è gara non si può applicare.
L’articolo 36, comma 2, lettera
a), dispone che si può non procedere secondo gli strumenti ordinari “per
affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro”; in questi casi è possibile
(facoltativo) procedere “mediante affidamento diretto, adeguatamente
motivato”.
Il legislatore non utilizza i
verbi a caso. Nella norma in esame, infatti, non impiega il verbo
“aggiudicare”, bensì il verbo “affidare”. Non è una sottigliezza.
L’aggiudicazione consegue ad una fase competitiva formale. L’affidamento è
diretto, perché si salta appunto la fase competitiva formale.
Detta fase è integralmente
sostituita dall’adeguata motivazione: la completa e trasparente motivazione che
dia conto delle ragioni per le quali si è scelto di affidare direttamente al
contraente scelto la prestazione da eseguire tiene luogo della gara. Dunque,
nel caso dell’articolo 36, comma 2, lettera a), non c’è gara, sostituita dalla
congrua motivazione.
Qui si pongono i problemi
pratici. La motivazione “adeguata” risulta quasi più complessa che non
l’effettuazione della procedura ordinaria, che resta, comunque, pur sempre
possibile. Ecco perché occorre una motivazione anche sulla decisione di
avvalersi dell’affidamento diretto: anche allo scopo di chiedersi se davvero si
sia in grado di enucleare una ratio specifica dell’affidamento diretto, tale da
convincere pienamente della scelta di opportunità svolta.
Certo, le Linee Guida espresse
dall’Anac invitano le amministrazioni a fondare la motivazione “adeguata” non
su affermazioni tautologiche ed indimostrabili, ma almeno su confronti
oggettivi e dimostrabili. Quindi l’Anac suggerisce, nel caso dell’attivazione
dell’articolo 36, comma 2, lettera a), di svolgere una preliminare “indagine,
semplicemente esplorativa del mercato, volta a identificare le soluzioni
presenti sul mercato per soddisfare i propri fabbisogni e la platea dei
potenziali affidatari”.
L’indagine di cui parla l’Anac non
ha niente in comune con una gara finalizzata all’aggiudicazione. Ha il solo
scopo di far verificare che esistono nel mercato operatori economici che
eseguono la prestazione di cui l’ente ha bisogno a certe condizioni invece che
altre e con determinate caratteristiche oggettive ed organizzative invece di
altre.
L’indagine preliminare può ben
concludersi con l’acquisizione di listini pubblici, per confrontare prezzi e
condizioni di esecuzione ivi previsti, nonché con contatti anche informali
(garantendo la parità di condizioni) con gli operatori economici, per ottenere
da loro una disponibilità formale a realizzare la prestazione a condizioni
predeterminate dalla PA, in modo che al termine dell’indagine risulti possibile
spiegare la ragione della scelta del contraente, anche alla luce del possesso
da parte sua dei requisiti tecnici e soggettivi imposti dal codice.
Non c’è, in questo caso, nessuna
gara, nessuna graduatoria, nessuna commissione, nessuna possibilità di
applicare la valutazione in merito all’anomalia dell’offerta, perché non c’è
offerta (intesa come formale atto di partecipazione ad una procedura di gara) e
non c’è aggiudicazione.
L’indagine di mercato potrebbe
anche svolgersi con un avviso a manifestare interesse. Esso, se non è
finalizzato ad una successiva fase competitiva (come ipotizzabile nel caso
dell’articolo 36, comma 2, lettera b), ad esempio), ma solo ad acquisire dalle
ditte le loro condizioni per l’espletamento della prestazione è sostanzialmente
equivalente all’indagine di mercato svolta ricercando i listini; l’avviso ha il
solo scopo di evitare all’amministrazione di cercare nel mare magnum di
internet e di concentrare l’analisi delle condizioni del mercato sulla base di
risposte ottenute direttamente dal mercato. Anche in questo caso, non si pone
in essere alcuna gara e non c’è alcuna aggiudicazione: le condizioni descritte
dagli operatori economici che rispondono all’avviso saranno da utilizzare per
suffragare la motivazione dell’affidamento diretto, che resta tale e, quindi,
non richiede l’applicazione di criteri di aggiudicazione.
Interpretazione ardita
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