Undicesimo auspicio:
va risolta una volta e per sempre la questione dell’ultrattività
del ccdi. A parte che l’attivazione delle sessioni negoziali
potrebbe costituire il rimedio definitivo all’assenza di
stipulazione, visto che permetterebbe sempre l’atto unilaterale
sostitutivo, in ogni caso non paiono accettabili le incertezze di Mef
e Corte dei conti sul tema.
Per dirimere la questione una
volta e per sempre occorre definire in maniera assolutamente
inequivocabile che, in assenza della stipulazione del nuovo contratto
collettivo decentrato di parte economica, in virtù della
costituzione automatica del fondo a valere sul bilancio pluriennale,
restano efficaci le disposizioni dell’ultimo contratto decentrato
stipulato tra le parti.
Il
dodicesimo
auspicio
ne comprende altri e riguarda un altro aspetto tremendamente
controverso, la progressione economica.
Va chiarito, in primo luogo ed a
scanso degli equivoci interpretativi determinati dalla magistratura
contabile a seguito del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010,
che poiché la progressione economica è economica, essa non è
giuridica e, quindi, non può e non deve produrre nessun effetto
giuridico. L’ovvio, purtroppo, nelle interpretazioni giuridiche
richiede precisazioni.
Andrebbero,
poi, posti limiti
chiari alle progressioni orizzontali, prevedendo un algoritmo di
calcolo per il loro espletamento, poiché l’infelice espressione
contenuta nell’articolo 23, comma 2, del d.lgs 150/2009 (“Le
progressioni economiche sono attribuite in modo selettivo, ad una
quota limitata di dipendenti”)
non è risultato mai troppo chiaro, specie a chi non vuol capire;
meglio esplicitare, scrivendolo anche in corsivo bold, quale
percentuale precisamente è quella consentita: a rigor di logica non
dovrebbe risultare superiore al 33% del personale interessato. Meglio
ancora sarebbe reintrodurre il sistema del “baricentro”,
eliminato nel 2001, che impone di distribuire limiti di crescita
della spesa tra le varie categorie.
Andrebbero, poi, meglio
specificati i criteri di valutazione delle progressioni, chiarendo
che non va in alcun modo presa in considerazione l’anzianità di
servizio, dalla quale la maggior esperienza professionale si
distingue in modo chiaro. Bene sarebbe prevedere, per semplificare,
che la progressione economica si basa comunque in buona parte sulla
media delle valutazioni di risultato ottenute per esempio nell’ultimo
triennio. Altrimenti, se si intende restare ancora laconici e
permettere, anche se non consentito, di riferirsi all’anzianità,
meglio abolire proprio la Peo e ripristinare i vecchi scatti di
anzianità: si risparmia in immensa burocrazia.
Infine, andrebbe specificato che
la Peo non può essere oggetto di contrattazione ai fini della
distribuzione del fondo, se non è prevista dall’atto di indirizzo
annuale della giunta. La contrattazione decentrata non può
incagliarsi (come regolarmente avviene) su un tema non ammesso. Allo
scopo, occorrerebbe definire una soglia percentuale di incidenza del
costo della Peo sul totale del fondo di parte fissa, al di sopra
della quale comunque è del tutto inutile nemmeno prevedere la
progressione, perché non finanziabile e troppo soffocante per gli
altri istituti cui destinare le risorse.
Tredicesimo auspicio:
parlando di Peo e, dunque, di categorie, il nuovo Ccnl sarebbe
l’occasione
ghiotta per l’abolizione della paradossale presenza delle
sotto-categorie nella B e nella D: sarebbe il caso di prendere atto,
dopo oltre 15 anni, che la suddivisione era solo temporanea; e,
comunque, oggi nona ha più alcuna ragione di esistere.
Un
ulteriore quattordicesimo
auspicio
riguarda l’area delle posizioni organizzative. E’ giunta l’ora,
anche negli enti con la dirigenza, di escludere dal fondo il
finanziamento delle retribuzioni di posizione e risultato, assegnando
al bilancio le risorse da esso provenienti; tanto, comunque la spesa
per le retribuzioni delle PO rientra nel tetto complessivo,
esattamente come accade negli enti privi di dirigenza.
Quindicesimo auspicio.
Assurdo mantenere ancora il tetto del 2016 alla spesa complessiva del
fondo, come prevede, in via provvisoria (ma potenzialmente
definitiva) la riforma Madia, nell’articolo 23, comma 2. Si giunga
subito alla “convergenza” della contrattazione di comparto con
gli altri e si lasci libertà di determinare la spesa del fondo,
consentendo alla parte variabile di essere realmente variabile, nel
solo rispetto del tetto di spesa generale (attualmente, la media del
triennio 2011-2013).
Sedicesimo auspicio:
la contrattazione se modificare il tetto alla quantità di dipendenti
da assumere a tempo determinato, fissato dall’articolo 23, comma 1,
del d.lgs 81/2015, ai sensi del quale “Salvo
diversa disposizione dei contratti collettivi non possono essere
assunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20 per
cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1°
gennaio dell'anno di assunzione, con un arrotondamento del decimale
all'unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel
caso di inizio dell'attività nel corso dell'anno, il limite
percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo
indeterminato in forza al momento dell'assunzione. Per i datori di
lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile
stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato”.
L’operatività di questa norma,
per le amministrazioni pone un doppio tetto: a questo, infatti, si
affianca quello finanziario previsto dall’articolo 9, comma 28, del
d.l. 78/2010. Il contratto ha la possibilità di evitare che la
comprensenza dei due tetti finisca per “strozzare” le possibilità
assunzionali degli enti, stabilendo che se il tetto finanziario
consenta comunque di assumere più del 20% previsto dalla norma,
prevalga la norma finanziaria.
Diciassettesimo auspicio:
poiché il Ccnl può interessarsi delle procedure, perché non
prevedere:
1) l’attribuzione alle sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti del visto di controllo
sull’ipotesi di contratto, con eliminazione della competenza in
capo ai revisori e silenzio assenso entro 30 giorni? Non si capisce
perché la magistratura contabile intervenga per il Ccnl, ma non per
il contratto decentrato, se non a distanza di anni a seguito delle
ispezioni, quando l’eventuale danno sia già prodotto. Un non
senso, al quale va posto rimedio;
2) – oppure: stabilire che i
revisori dei conti agiscano, nel controllo sui ccdi, come delegati
dalla Corte dei conti, sicchè il loro controllo favorevole, da
rendere entro 30 giorni, escluda successive ispezioni del Mef o
iniziative giurisdizionali della Corte dei conti; decorsi i 30 giorni
senza un visto espresso si formi il silenzio assenso; però, si
introduca la possibilità per i revisori di demandare alla Corte dei
conti la soluzione di possibili incertezze, che la Corte deve
dirimere entro i successivi 15 giorni, altrimenti si presume
legittimo il ccdi oggetto di attenzione.
Un
diciannovesimo
auspicio
riguarda la differenziazione della valutazione. Il d.lgs 74/2017 ha,
finalmente, abolito l’assurdità delle tre fasce obbligatorie e il
nuovo articolo 19 del d.lgs 150/2009 prevede che “Il
contratto collettivo nazionale, nell'ambito delle risorse destinate
al trattamento economico accessorio collegato alla performance ai
sensi dell'articolo 40, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, stabilisce la quota delle risorse destinate a
remunerare, rispettivamente, la performance organizzativa e quella
individuale e fissa criteri idonei a garantire che alla significativa
differenziazione dei giudizi di cui all'articolo 9, comma 1, lettera
d), corrisponda un'effettiva diversificazione dei trattamenti
economici correlati”.
Si spera risulti chiaro che nel
privato il premio individuale è assai meno utilizzato che nel
pubblico, ordinamento nel quale si producono complicatissimi sistemi
di valutazione, incomprensibili schede valutative, per distribuire in
media 1920 euro lordi annui: nessuna azienda privata considererebbe
accettabili i costi legati a così inani benefici. Meglio e più
semplice agire sui premi per i risultati collettivi, stabilendo
modalità che, sul piano individuale, indichino le condizioni al
ricorrere delle quali il premio di produttività vada eventualmente
ridotto per chi non abbia assicurato standard lavorativi chiari.
Il ventesimo
auspicio
è quello più difficile da realizzare. E’ la speranza che le parti
riescano a capire l’italiano davvero involuto dell’articolo 40,
comma 4-bis, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale “i
contratti collettivi nazionali di lavoro devono prevedere apposite
clausole che impediscono incrementi della consistenza complessiva
delle risorse destinate ai trattamenti economici accessori, nei casi
in cui i dati sulle assenze, a livello di amministrazione o di sede
di contrattazione integrativa, rilevati a consuntivo, evidenzino,
anche con riferimento alla concentrazione in determinati periodi in
cui è necessario assicurare continuità nell'erogazione dei servizi
all'utenza o, comunque, in continuità con le giornate festive e di
riposo settimanale, significativi scostamenti rispetto a dati medi
annuali nazionali o di settore”.
La lettura ad alta voce di questa
norma, piena di incisi e relative, lascia letteralmente senza fiato.
La speranza è che qualcuno sia capace di renderla in termini
operativi semplice ed attuabile, facendo sì che, comunque, per
assenze che si concentrino in specifici settori, non siano chiamati a
rispondere i restanti dipendenti. [fine]
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