giovedì 30 agosto 2018

Riforma della dirigenza: la Bongiorno riparte dove la Madia era stata fermata dalla Corte costituzionale, con rotazione ed incarichi brevi

Mancano solo l'istituzione del ruolo unico nazionale, la libera scelta della politica tra i dirigenti e la loro licenziabilità se nessun politico li incarica, e la riforma Madia della dirigenza, fatta fortunatamente naufragare dalla Corte costituzionale con la sentenza 2512/2016, praticamente sarà avviata dalla nuova inquilina di Palazzo Vidoni, Giulia Bongiorno.

Ormai da 9 anni a questa parte, chi intende attivare le riforme, "epocali" o legate alla "concretezza" che siano, non riesce a staccarsi dalle logiche e dal lessico della riforma Brunetta. Non male per un governodelcambiamento.
Si continua così a parlare di performance, come se i dipendenti ed i dirigenti pubblici fossero dei concertisti o attori teatrali; oppure di "obiettivi sfidanti" per la valutazione, in un'amministrazione pubblica per la quale ha per anni costituito da esempio di piano di obiettivi da imitare il Tribunale di Torino, con lo sfidantissimo obiettivo del recupero dell'arretrato.
Ovviamente, inserendo nel macinino sempre le stesse spezie, ecco che le anticipazioni di stampa illustrano alcuni contenuti della riforma della dirigenza: la rotazione e la "stretta" sulla durata degli incarichi.
Certo che parlare di "rotazione" mentre ancora si alza la polvere del crollo del ponte Morandi appare quanto meno coraggioso. La rotazione implica, certo, il vantaggio che nessun dirigente pubblico possa incistarsi in un posto e condizionare per troppo tempo scelte ed attività. Tuttavia, la rotazione dei dirigenti implica il rischio molto grave che a forza di ruotare non si consolidino le competenze spesso alte e necessarie, proprio per svolgere, ad esempio, delicate funzioni di sovrintendenza e controllo, per le concessioni autostradali.
Anche la riduzione della durata degli incarichi non appare un'idea brillantissima, specie se la riforma che la Bongiorno intende attuare ha anche l'obiettivo di rendere la dirigenza maggiormente autonoma dalla politica: ma, se l'incarico è breve e si assegna alla politica il potere incondizionato ed assoluto di decidere se lasciare a casa un dirigente "che non piace" senza nemmeno prendersi l'incomodo di licenziarlo, ma semplicemente lasciando scadere l'incarico e non più chiamarlo, tutto si ottiene tranne che l'effetto di rendere la dirigenza autonoma e professionalizzata.
Persino il professor Sabino Cassese, inizialmente favorevole alla deleteria riforma Madia, ci ha ripensato ed ha spiegato gli effetti negativi di una dirigenza sotto assedio.
A proposito di ponte Morandi, di rotazione e di reclutamento della dirigenza, suggeriremmo a chi lavora a Palazzo Vidoni di leggere quanto riferito dal'Espresso on line,  proprio sul tema del rinnovo (per rotazione) degli incarichi del responsabile della struttura di controllo ministeriale e sulle modalità di reclutamento della dirigenza.
Fossimo in chi cerca la "concretezza" nella riforma della PA, cambieremmo completamente strada e consulenti.

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