domenica 18 novembre 2018

Incarichi a contratto: la selezione esclude qualsiasi scelta fiduciaria



E’ ancora in voga, in dottrina, giurisprudenza e tra gli operatori, la teoria secondo la quale gli incarichi a dirigenti esterni regolati dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000 abbiano ancora carattere “fiduciario”.

Per questa ragione, gran parte degli avvisi pubblici prevedono la costruzione di una procedura sui generis, che lascia alla fine al sindaco la possibilità di pronunciarsi definitivamente e in modo totalmente discrezionale sulla persona alla quale affidare l’incarico.
In sostanza, quindi, la procedura fissata dal comma 1 dell’articolo 110 consisterebbe esclusivamente in un avviso pubblico finalizzato a costruire una rosa o lista breve di candidati aventi tutti pari requisiti, tra i quali il sindaco potrebbe liberamente scegliere per via fiduciaria.
Questa visione è erronea e in conflitto plateale con le regole vigenti poste a presidio dell’assegnazione di incarichi dirigenziali a contratto.
Il primo errore di tale impostazione, intanto, consiste nel considerare l’articolo 110 del d.lgs 267/2000 quale fonte autonoma ed a sé stante di disciplina della fattispecie degli incarichi a contratto.
Non è così. Per attribuire incarichi dirigenziali a contratto, gli enti locali sono obbligati, a pena di illegittimità, ad applicare anche le disposizioni contenute nell’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001. Infatti, il comma 6-ter del medesimo articolo 19 dispone che “Il comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2”: tali amministrazioni sono “le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 […]”.
Dunque, è necessario applicare, ai fini degli incarichi a contratto, la combinazione di quanto prevedono gli articoli 110, comma 1, del d.lgs 267/2000 e l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001.
Partiamo da quest’ultimo. Esso è fondamentale perché fissa i requisiti soggettivi che debbono essere posseduti dai destinatari degli incarichi a contratto, ovvero “persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione”:
1)     che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali;
2)     o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza;
3)     o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.
Sul punto è da ricordare quanto precisa La sentenza della Cassazione, Sezioni Unite Civili 9 ottobre 2018, n. 29081, la quale sottolinea come l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 ai fini dell’assegnazione degli incarichi a contratto pone un importante limite “oggettivo”: detti incarichi possono essere attribuiti solo “a persone in possesso di un’elevatissima professionalità”. Il che mette in serissima discussione la legittimità di scelte adottate in particolare dagli enti locali di attribuire incarichi a contratto senza attenersi alle condizioni oggettive imposte dall’articolo 19, comma 6.
Sicuramente non basta possedere una certa anzianità di servizio in attività lavorativa svolta in qualifiche immediatamente precedenti a quella dirigenziale. Occorrono esperienza dirigenziale in settori privati, o in alternativa titoli accademici postuniversitari accompagnati da pubblicazioni scientifiche, oppure essere ricercatori o professori universitari, o magistrati o avvocati e procuratori dello Stato. Sono questi i presupposti per quella “elevatissima” professionalità che consente alla pubblica amministrazione di selezionare i dirigenti a contratto non mediante vero e proprio concorso, ma con una selezione più flessibile: i destinatari della selezione, infatti, debbono disporre di un curriculum che evidenzi già il possesso di esperienze concrete che dimostrino la professionalità propria di un dirigente. Utilizzare gli incarichi a contratto per far compiere una progressione verticale a soggetti privi dei requisiti soggettivi imposti dalla norma è semplicemente illegittimo.
Ma, l’articolo 19, comma 6, fornisce altre due fondamentali indicazioni:
1)      l’incarico può essere conferito a soggetti esterni a condizione che la correlata professionalità sia “non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione”: occorre, quindi, dimostrare concretamente, con una procedura che preceda la selezione, l’assenza totale nei ruoli di persone aventi la professionalità necessari;
2)      gli “incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione”.
Questa seconda sarebbe per se stessa già dirimente per escludere radicalmente qualsiasi scelta fiduciaria. L’organo di governo, nel caso degli enti locali il sindaco, a differenza di quanto prevedono la gran parte degli avvisi pubblici cui si è fatto cenno prima, non possono in alcun modo scegliere l’incaricato in modo “discrezionale”, meglio dire arbitrario o “fiduciario”, per la semplice ragione che occorre spiegare la ragione per la quale si sceglie uno invece che l’altro tra i candidati, sia che si produca una “graduatoria” concorsuale, sia che si crei una rosa o una lista breve.
Escludiamo, per semplicità, l’ipotesi della creazione di una graduatoria vincolante, per accettare che la selezione sia svolta senza i modi ed i termini di un concorso vero e proprio.
Accettiamo, quindi, che la selezione sia volta a scegliere alcuni, poniamo anche solo tre, candidati tra gli altri, in modo che poi il sindaco individui tra questi tre l’incaricato.
Ora, se la selezione svolta ai fini della lista breve o rosa non è stata svolta in modo sommario e a sua volta arbitrario, i componenti dell’organismo selettivo avranno dovuto valutare se i candidati abbiano alternativamente o cumulativamente i requisiti minimi indicati dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 267/2000; ma, per sceglierne tre fra tanti, ovviamente l’organismo selettivo si sarà dovuto dare un criterio di pesatura dei requisiti posseduti, così da giungere alla conclusione che solo tre tra tanti sono quelli che possiedano quei requisiti in modo pieno e più ampio rispetto agli altri.
Inevitabilmente, dunque, si crea se non una graduatoria, comunque un ordine di priorità, che, sempre se il lavoro compiuto non sia sommario ed arbitrario, riguarderà anche proprio i tre selezionati della lista breve.
Fermiamoci un attimo. Cosa vuol dire esattamente “selezione”? Questa parola proviene dal latino, selectionem, a sua volta derivato dal participio passato selectus del verbo seligo. Esso è composto di due elementi: il prefisso -se, che indica separazione ed il verbo lego che significa scegliere. Dunque, selezionare significa scegliere alcuni tra tanti.
Ora, il processo selettivo non è he si fermi nel momento in cui un organismo abbia prodotto una rosa di nomi. Anche il sindaco prosegue nella selezione, dovendo scegliere tra i tre quel solo cui affidare l’incarico. Poiché la scelta deve essere motivata, come impone l’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, basarla solo sulla “fiducia” vuol dire produrre un provvedimento illegittimo perché privo della necessaria motivazione.
Ma, se l’organismo di valutazione ha pesato la professionalità dei tre selezionati, il sindaco difficilmente potrebbe motivare di scegliere tra i tre quelli che abbiano ricevuto una pesatura inferiore a quella del terzo con maggiore valutazione, se non conduca un’ulteriore e diversa istruttoria a tal fine. Ed è bene sottolineare che il colloquio, variamente denominato “motivazionale” o con altro aggettivo, non può ovviamente considerarsi decisivo ai fini di un’opera di pesatura che deve guardare alla professionalità derivante dai requisiti imposti dalla legge e non certo e non tanto su un elemento poco ponderabile (in una procedura selettiva retta da vincoli normativi; non siamo parlando di strumenti di reclutamento di tipo privato, ove le regole sono totalmente diverse) come un colloquio.
Allora, con questa chiave di lettura necessaria la previsione dell’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000 che impone la selezione assume tutta una luce diversa: “Fermi restando ì requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, gli incarichi a contratto di cui al presente comma sono conferiti previa selezione pubblica volta ad. accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell' incarico”. La “selezione pubblica” deve spingersi fino all’individuazione dell’incaricato, non può fermarsi un po’ prima per permettere al sindaco di scegliere per motivi non esplicitabili, come la “fiducia”, parola nemmeno minimamente menzionata dalla norma e concetto, del resto, in assoluto contrasto non solo con il chiaro disposto normativo dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, ma con ogni principio che regge l’agire pubblico, partendo dall’articolo 97 della Costituzione e passando per la legge 241/1990.
L'assunzione del dirigente a contratto non può essere fiduciaria perché c'è una selezione pubblica da spingere fino all’individuazione dell’incaricato e perché l'articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 impone la motivazione, incompatibile con a qualsiasi accento fiduciario o con l’intuitu personae.
Secondo alcuni, tuttavia, pregiudicherebbe questa conclusione la circostanza che gli incaricati ai sensi dell’articolo 110 el Tuel non siano stabilizzabili, visto che molta giurisprudenza, anche contabile, ritiene che tale impossibilità di stabilizzazione sia da agganciare proprio al carattere fiduciario dell’incarico.
Ma, tale argomentazione è erronea e da scartare. I dirigenti (ma anche i funzionari) incaricati a contratto non sono stabilizzabili non perché siano scelti per via fiduciaria (il che non è), bensì perché manca il presupposto stesso della stabilizzazione: l'abuso nell'utilizzo del tempo determinato.
La stabilizzazione, infatti, è giustificabile solo come rimedio ad un utilizzo improprio dei contratti di lavoro flessibili da parte del datore di lavoro, cui consegua la “precarizzazione” che con la stabilizzazione viene rimediata mediante un’assunzione a tempo indeterminato.
Il presupposto di ogni stabilizzazione è l’abuso della sottoscrizione col lavoratore di contratti a tempo determinato per fare fronte a fabbisogni che, invece, sono manifestamente a tempo indeterminato.
Tuttavia, nel caso degli incarichi dirigenziali a contratto (ed anche nel caso degli incarichi nello staff degli organi di governo ai sensi dell’articolo 90 del Tuel, per i quali elementi di fiduciarietà, invece, sono molto più evidenti) non può mai esservi alcuna precarizzazione, perché manca qualsiasi abuso delle correlate assunzioni a tempo determinato: il comma 1 dell’articolo 110 del Tuel, infatti, considera esattamente il tempo determinato come tipologia di contratto “tipica” per il reclutamento dei dirigenti a contratto. Non può quindi essere un erroneo utilizzo di contratti flessibili su fabbisogni stabili: il fabbisogno è necessariamente a tempo determinato, perché a tempo determinato è la durata del mandato elettorale alla quale la legge correla necessariamente l’incarico a contratto.
Pertanto, il personale assunto con l’articolo 110 del Tuel è assolutamente conscio che si tratti di un contratto flessibile, il cui impiego da parte del datore di lavoro non crea alcuna precarizzazione; di conseguenza manca radicalmente ogni presupposto per una successiva stabilizzazione, e questo non incide minimamente sull’assoluta assenza di fiduciarietà connessa alle argomentazioni svolte sopra.

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