sabato 29 dicembre 2018

I pagamenti dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni: tra opportunità e penalizzazioni. Analisi delle misure contenute nella legge di bilancio dello Stato per il 2019

di Vito Antonio Bonanno, segretario comunale


La legge di bilancio dello Stato per il 2019, approvata dal Senato e in attesa del voto definitivo della Camera, interviene ancora una volta sulla questione dei ritardi di pagamento dei debiti da parte delle pubbliche amministrazioni, dopo che la Commissione Europea[1]  lo scorso 7 giugno 2018 ha deciso di inviare al nostro Paese un parere motivato segnalando che il diritto interno non è conforme alla direttiva sui ritardi di pagamento, soprattutto con riguardo alle norme del codice dei contratti pubblici –modificate dal d.lgs. 56/2017-che di fatto estendono “sistematicamente di 30 giorni i tempi di gestione del pagamento delle fatture per stato di avanzamento lavori negli appalti pubblici”.

E’ noto che la direttiva europea relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali prevede che le amministrazioni pubbliche paghino i loro debiti commerciali (tra i quali rientrano anche le obbligazioni contratte con liberi professionisti) entro 30 (o, nei casi previsti, 60) giorni di calendario decorrenti dal ricevimento della fattura o richiesta equivalente di pagamento. Tale direttiva è stata recepita con il d.lgs n. 231 del 2002, successivamente modificato dal d.lgs. 192 del 2012, i cui artt. 3 e 6 stabiliscono che, in caso di violazione dei termini di pagamento, la pubblica amministrazione è obbligata a corrispondere interessi moratori nella misura di 8 punti percentuali superiori al saggio legale (indipendentemente da un atto di costituzione in mora), a rimborsare le spese sostenute dall’operatore economico per il recupero del corrispettivo e a risarcire il danno con importo forfettario pari ad € 40,00 (salvo prova di danno maggiore).
Il legislatore, nel tempo, è intervenuto con una serie organica e strutturale di misure finalizzate al rispetto dei tempi di pagamento e ad evitare il riformarsi di uno stock di debito scaduto e non pagato.
In primo luogo, il decreto legge n. 35 del 2013, prendendo atto di una situazione patologica delle gestioni territoriali che non si erano curate di allineare le possibilità di spesa alle risorse realmente disponibili, ha introdotto l’anticipazione di liquidità con la finalità di consentire alle amministrazioni territoriali pagamenti per spese già effettuate, con conseguente consegna di beni e servizi da parte dei fornitori, ma senza corresponsione del prezzo pattuito, perché le coperture formalmente previste nei bilanci degli enti non avevano trovato effettiva realizzazione. L’istituto, come è stato osservato, presenta profili di ambiguità riguardo alla natura del finanziamento; la norma, infatti, prevede la restituzione di capitale ed interessi mediante un piano di ammortamento che può arrivare fino a 30 anni e, quindi, non coerente con uno degli elementi tipici, la brevità, dell’anticipazione di cassa (cfr. Corte Cost. 188/2014). Tuttavia, la Corte Costituzionale –aderendo all’interpretazione fornita dalla Corte dei Conti (cfr. Sez. Aut. n. 19/2014/QMIG)- ha ritenuto, dando atto che il fenomeno del debito verso i fornitori e dei ritardi di pagamento aveva assunto dimensioni rilevanti tali da aggravare una situazione del sistema produttivo nazionale già pesantemente compromessa dal quadro congiunturale, che “un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata  delle norme statali porta a concludere che le anticipazioni di liquidità altro non costituiscono che anticipazioni di cassa di più lunga durata temporale rispetto a quelle ordinarie. La loro ratio, quale si ricava dalla genesi del decreto legge e dai suoi lavori preparatori[2], è quella di riallineare nel tempo la cassa degli enti strutturalmente deficitari con la competenza, attraverso un’utilizzazione limitata al pagamento delle passività pregresse unita a contestuali risparmi nei bilanci futuri, proporzionati alle quote di debito inerenti alla restituzione dell'anticipazione stessa così da rientrare dai disavanzi gradualmente ed in modo temporalmente e finanziariamente proporzionato alla restituzione dell’anticipazione” ( cfr. sent. 181/2015, 89/2017; vedi anche sent. n. 49/2018). Le anticipazioni di liquidità sono state finanziate dai d.l. 35/2013, 102/2013, 66/2014 e 78/2015.
D’altra parte, è stato creato un sistema di monitoraggio accentrato dei pagamenti delle fatture da parte delle pubbliche amministrazioni attraverso la Piattaforma elettronica per i crediti commerciali (PCC), e contemporaneamente  si è puntato sulla responsabilizzazione delle pubbliche amministrazioni in materia di ritardi dei pagamenti, introducendo l’obbligo in capo alle stesse di attestare formalmente i tempi di pagamento dei debiti commerciali e di pubblicare a cadenza trimestrale ed annuale un apposito indicatore di tempestività dei pagamenti.
L’art. 7-bis del d.l. 35/2013 (introdotto dall’art. 27 del d.l. 66/2014), nel prevedere che nel caso di fatture elettroniche i dati di tali fatture “comprensivi delle informazioni di invio e ricezione” sono acquisiti automaticamente dalla PCC, ha introdotto due obblighi, la cui violazione è pesantemente sanzionata:
a)      l’obbligo di comunicare, entro il 15 di ciascun mese, tramite la PCC i dati relativi ai debiti certi, liquidi ed esigibili, per i quali nel mese precedente sia stato superato il termine europeo di pagamento ( comma 4);
b)     l’obbligo di immettere nella PCC, contestualmente al pagamento, i dati relativi all’ordinazione stessa ( comma 5).
Il comma 8 della norma richiamata prevede un rigido e severo apparato sanzionatorio per la violazione degli obblighi di comunicazione indicati, che si sostanzia nella responsabilità dirigenziale e disciplinare del dirigente responsabile ai sensi degli artt. 21 e 55 del d.lgs. 165/2001, ed implica la rilevanza del comportamento omissivo ai fini della misurazione e valutazione della performance individuale del medesimo dirigente. A vigilare sulla corretta attuazione di tale obblighi procedimentali è chiamato l’organo di controllo di regolarità amministrativa e contabile. Va, tuttavia, chiarito che i dati dei pagamenti effettuati dalle amministrazioni pubbliche tramite SIOPE+ sono automaticamente acquisiti dal sistema PCC e, di conseguenza, tutte le funzionalità riferite ai pagamenti, successivi alla data di adesione della Pa a Siope+, sono state disabilitate, e restano attive solo quelle necessarie a registrare/modificare in tale piattaforma i dati di pagamenti effettuati antecedentemente all’adesione al nuovo sistema[3]. Restano, invece, vigenti tutti gli obblighi di registrazione nel sistema PCC delle informazioni inerenti alla gestione contabile delle fatture sui propri sistemi e alla comunicazione mensile dei debiti scaduti[4].
L’art. 41 del d.l. 66/2014 ha, inoltre, introdotto l’obbligo di allegare alla relazione sul rendiconto un prospetto –sottoscritto dal sindaco e dal responsabile del servizio finanziario- attestante l’importo complessivo dei pagamenti per transazioni commerciali effettuati dopo la scadenza dei termini “europei” nonché l’indicatore annuale di tempestività dei pagamenti previsto dall’art. 33 del d.lgs. 33/2013. La norma prevede che, ove risultino superati i termini di pagamento di cui all’art. 4 del d.lgs. 231/2002, la relazione deve anche indicare le misure organizzative adottate o previste per consentire la tempestiva effettuazione dei pagamenti[5]. Anche su tale adempimento è chiamato a vigilare l’organo di controllo di regolarità amministrativa e contabile. L’art.33 del d.lgs. 33/2013[6] ha, infine, introdotto vari obblighi di pubblicazione nella sezione del sito istituzionale denominata “amministrazione trasparente” relativi ai pagamenti dei debiti commerciali; il contenuto di tali obblighi è stato chiarito dal par. 7.2 della deliberazione Anac n. 1310/2016 e dall’allegata griglia riepilogativa. Il legislatore, in pratica, ritiene che la trasparenza costituisca uno strumento utile alla emersione e alla riduzione del fenomeno dei ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni. Gli obblighi di pubblicazione riguardano:
1)     l’indicatore di tempestività dei pagamenti, da calcolare e pubblicare a cadenza trimestrale ed annuale (entro la fine del mese successivo alla scadenza di ciascun periodo); per la determinazione di tale indicatore si fa riferimento agli artt. 9 e 10 del Dpcm 22 settembre 2014[7], che ne prevede il calcolo come tempo medio dei pagamenti delle transazioni commerciali rispetto al termine di 30 giorni[8];
2)     l’ammontare complessivo dei debiti scaduti e del numero delle imprese creditrici, da pubblicare a cadenza annuale entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento.
Su tale assetto normativo interviene la legge di bilancio dello Stato per il 2019.
A.    In primo luogo, i commi 1015, 1016 e 1017 riconoscono agli enti locali che rispettano gli obblighi sostanziali e formali attualmente vigenti in materia di tempestività dei pagamenti la facoltà di stanziare nel bilancio di previsione per il 2019 un valore pari all’80% dell’accantonamento relativo al Fcde, in luogo dell’85% previsto dall’art. 1, comma 882 della legge n. 205/2017, così liberando maggiori risorse verso la parte corrente del bilancio. Le condizioni che debbono essere rispettate per poter fruire di tale agevolazione sono le seguenti:
a)      l’indice annuale di tempestività dei pagamenti riferito all’anno 2018 deve essere rispettoso dei termini previsti dall’art. 4 del d.lgs. 231/2002 e le fatture ricevute e scadute nell’esercizio 2018 debbono essere state pagate per un importo complessivo superiore al 75% del totale delle stesse;
b)     lo stock di debito commerciale residuo, rilevato al 31.12.2018, deve risultare inferiore di almeno il 10% rispetto a quello del 2017, oppure deve essere costituito esclusivamente da debiti oggetto di contenzioso o contestazione, oppure deve essere nullo.
La norma prevede, inoltre, che la facoltà di ridurre l’accantonamento al Fcde può essere esercitata anche dagli enti che, pur non soddisfacendo i criteri di cui alle superiori lett. a) e b), rispettino le seguenti condizioni:
c)      l’indice di tempestività dei pagamenti, calcolato al 30 giugno 2019, rispetti i termini di cui all’art. 4 del d.lgs. 231/2002 e le fatture ricevute nel semestre gennaio-giugno 2019 risultino pagate per un importo di almeno il 75% del totale delle stesse;
d)     lo stock di debito commerciale residuo al 30 giugno 2019 si è ridotto del 5% rispetto a quello calcolato al 31.12.2018, oppure sia costituito da debiti oggetto di contenzioso o contestazione, ovvero sia nullo.
Tuttavia, il legislatore ha chiarito che tale facoltà di riduzione dell’accantonamento al Fcde non si applica agli enti che, con riferimento agli esercizi 2017 e 2018, non hanno assolto agli obblighi di pubblicazione, entro i termini di legge, degli indicatori concernenti i tempi di pagamento e l’ammontare del debito commerciale residuo e che, con riferimento ai mesi precedenti l’avvio di SIOPE+, non hanno trasmesso alla PCC le comunicazioni relative al pagamento delle fatture[9]. Ne consegue che il comma 1017 della legge di bilancio per il 2019 introduce una vera e propria “sanzione” per la violazione da parte degli enti territoriali degli obblighi di pubblicazione di cui all’art. 33 del d.lgs 33/2013 nonché per la violazione degli obblighi di comunicazione alla PCC previsti dall’art. 7-bis del d.l. 35/2013 e smi. E’, dunque, verosimile che il controllo politico legato all’approvazione del bilancio di previsione renda effettivo il controllo degli organi interni sul corretto assolvimento da parte del responsabile del servizio finanziario degli obblighi procedimentali illustrati, tenuto conto che la loro violazione comporta un maggior accantonamento di risorse al Fcde e, quindi, una minore capacità di spesa.
B.    In secondo luogo, la legge di bilancio rifinanzia le anticipazioni di liquidità e introduce nuove misure strutturali che costituiscono delle vere e proprie sanzioni per gli enti che non rispettano la direttiva europea sui pagamenti, riducendo la capacità dei bilanci di tali enti di autorizzare spesa corrente, con l’obiettivo di garantire quell’allineamento tra capacità di spesa ed entrate effettive che avrebbe già dovuto assicurare il nuovo sistema contabile armonizzato e che, nei fatti, non è stato in grado di assicurare.

B.1 In primo luogo, i commi 849-856 della legge ampliano le possibilità per gli enti territoriali di richiedere anticipazioni di liquidità finalizzate al pagamento di debiti, maturati (certi, liquidi ed esigibili) alla data del 31 dicembre 2018, relativi a transazioni commerciali (somministrazioni, forniture, appalti e obbligazioni per prestazioni professionali). La norma espressamente prevede che l’anticipazione può essere finalizzata anche al pagamento di debiti fuori bilancio purchè essi siano stati riconosciuti: la formulazione letterale del comma 849 non brilla per chiarezza in quanto fa riferimento al mero riconoscimento del debito e non anche alla sua copertura finanziaria; tuttavia, gli approdi della giurisprudenza costituzionale e contabile di cui si è dato conto non lasciano spazi per interpretazioni che trasformino l’anticipazione in risorse aggiuntive, sottraendola dalla funzione di mero ausilio di cassa. La norma prevede (comma 850) che il limite massimo dell’anticipazione concedibile è pari ai 3/12 delle entrate accertate nel 2017 (dati del rendiconto) afferenti i primi tre titoli dell’entrata del bilancio; essa va richiesta entro il 28 febbraio 2019 e restituita entro il 15 dicembre 2019 (853 e 855); come ha sottolineato il Servizio di Bilancio nel dossier sui profili finanziari del disegno di legge “l’adempimento dell’obbligo di restituzione a fine anno potrebbe non essere praticabile qualora l’ente versi in una situazione strutturale di liquidità o nella necessità di rientro da situazioni di squilibrio finanziario”. E’ espressamente previsto che le anticipazioni non costituiscono indebitamento (851) e che a fronte della concessione gli enti debbono rilasciare una delegazione di pagamento (852) e pagare tutti i debiti inseriti nella richiesta di concessione entro 15 giorni dall’effettiva erogazione delle somme (853 e 854). La richiesta di anticipazione deve essere effettuata mediante la PCC. Si richiama l’attenzione sulle disposizioni del comma 857, a mente del quale per gli enti che non hanno richiesto l’anticipazione di liquidità pur avendo debiti scaduti al 31.12.2018 o che pur avendola richiesta non hanno pagato i debiti entro 15 giorni dall’erogazione delle risorse “nell’anno 2020 le misure di cui ai commi 862, 864 e 865 sono raddoppiate”: si tratta del nuovo obbligo di accantonamento di cui parleremo più avanti. La norma solleva dubbi interpretativi in quanto l’anticipazione di liquidità sembra dover essere richiesta in caso di presenza di debiti commerciali non pagati tempestivamente, indipendentemente dal fatto che la carenza di liquidità sia temporanea ovvero strutturale; in quest’ultimo caso, l’ente per evitare di dover accantonare nel 2020 un Fondo di garanzia per debiti commerciali di valore doppio rispetto agli enti che non si trovano al 31.12.2018 con debiti commerciali scaduti e non pagati potrebbero trovarsi nell’impossibilità di restituire a fine anno l’anticipazione richiesta.

B.2 A regime, a decorrere dal 2020, i commi 859 e segg. introducono misure più restrittive a garanzia dell’effettività dei pagamenti nei termini europei, con norme che il comma 858 definisce “principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica” ai sensi degli artt. 117, terzo comma e 119, secondo comma, della Costituzione. E’ opportuno chiarire che secondo la giurisprudenza costituzionale la materia del coordinamento della finanza pubblica non può essere limitata alle norme aventi lo scopo di limitare la spesa, ma comprende anche quelle aventi la funzione di “riorientare” la spesa pubblica, per una complessiva maggiore efficienza del sistema (cfr. Corte Cost. n. 8/2013 e n. 272/2015). In pratica, il legislatore consapevole della grave criticità connessa ai ritardi nei pagamenti dei debiti da parte delle pubbliche amministrazioni, anche al fine di bloccare la procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea, ha previsto (comma 861) che i tempi di pagamento e ritardo sono elaborati mediante la PCC, “tenendo conto anche delle fatture scadute che le amministrazioni non hanno ancora provveduto a pagare”. Non sarà, dunque, più possibile elaborare l’indicatore di tempestività dei pagamenti attraverso le piattaforme in uso da parte dei vari enti o, come spesso succede, mediante fogli di calcolo autonomi; i tempi di pagamento debbono essere elaborati direttamente dalla PCC  cui vengono agganciate le fatture elettroniche e gli ordinativi di pagamento, emessi attraverso l’infrastruttura Siope+. Sarà, dunque, necessario per gli uffici di ragioneria aggiornare tempestivamente la PCC, inserendo eventuali fenomeni di sospensione dei termini, nei casi previsti dall’art. 9 del DPCM 22.9.2014. Allo stesso modo, il calcolo dovrà tenere conto di tutte le fatture scadute e non pagate e non solo di quelle pagate.
La norma prevede che a decorrere dal 2020, una volta elaborato l’indicatore di tempestività dei pagamenti riferito all’esercizio precedente, gli enti che non rispettano i termini di cui all’art. 4 del d.lgs. 231/2002 (calcolato come termine medio complessivo per tutte le transazioni commerciali), entro il 31 gennaio debbono procedere, con delibera di giunta, a stanziare nel proprio bilancio un accantonamento, tra i fondi della missione 20, denominato Fondo di garanzia debiti commerciali, per un importo determinato in misura percentuale degli stanziamenti del bilancio corrente per la spesa di acquisto di beni e servizi, via via crescente[10] in base alla maggiore consistenza dell’entità del ritardo rispetto al termine europeo di pagamento; tale obbligo riguarda anche gli enti che non dimostrino la riduzione dello stock di debito. In particolare, l’importo dell’accantonamento è così determinato:
a)      5% della spesa stanziata per acquisto di beni e servizi, se lo stock di debito commerciale residuo non sia stato ridotto di almeno il 10% rispetto all’anno precedente, o se i ritardi nei pagamenti dell’esercizio precedente siano superiori a 60 giorni;
b)     3% della spesa stanziata per acquisto di beni e servizi, se i ritardi nei pagamenti dell’esercizio precedente siano compresi tra 31 e 60 giorni;
c)      2% della spesa stanziata per acquisto di beni e servizi, se i ritardi nei pagamenti dell’esercizio precedente siano compresi tra 11 e 30 giorni;
d)     1% della spesa stanziata per acquisto di beni e servizi, se i ritardi nei pagamenti dell’esercizio precedente siano compresi tra 1 e 10 giorni.
L’accantonamento deve essere adeguato nel corso dell’esercizio finanziario laddove risultino variate le previsioni di spesa per acquisto di beni e servizi; al fine di determinare l’importo dell’accantonamento non si tiene conto degli stanziamenti di spesa finanziati da entrate con specifico vincolo di destinazione (comma 863).
Per evitare di accantonare ulteriori risorse di parte corrente gli enti territoriali debbono, pertanto, non solo rispettare i tempi di pagamento ma anche ridurre di almeno il 10% annuo lo stock di debito commerciale: il rispetto dei tempi di pagamento in assenza della riduzione dell’ammontare complessivo del debito residuo comporta l’obbligo di accantonamento nella misura massima del 5% (cfr. comma 859).
Sul Fondo non è possibile assumere impegni di spesa né disporre pagamenti; esso a fine esercizio confluisce nella quota libera dell’avanzo di amministrazione. Si tratta, in pratica, di un accantonamento – ulteriore agli altri fondi previsti dall’art. 167 del Tuel e dal principio contabile 4/2- che di fatto limita la capacità di spesa degli enti locali, con l’obiettivo di garantire l’allineamento tra la capacità di spesa e la effettiva disponibilità di cassa.
Le medesime misure previste per gli enti non in regola con gli obblighi di tempestività di pagamento e di riduzione del debito (creazione di un fondo di garanzia di debiti commerciali di ammontare pari al 5% dello stanziamento di bilancio per acquisti di beni e servizi), dal 2020 si applicano anche agli enti territoriali che “non hanno pubblicato l’ammontare complessivo dei debiti di cui all’art. 33 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n.33, e che non hanno trasmesso alla piattaforma elettronica le comunicazioni di cui al comma 867 e le informazioni relative all’avvenuto pagamento delle fatture” (cfr. comma 868).
In estrema sintesi, dunque, il nuovo sistema introdotto dal legislatore per superare definitivamente il problema dei ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni è basato, da un lato, sulla concessione di nuove anticipazioni di liquidità per pagare i debiti scaduti al 31.12.2018, e , dall’altro, su un nuovo obbligo di accantonamento di risorse correnti, di importo crescente in base alla gravità della violazione, applicabile a chi non rispetta gli obblighi di riduzione dell’ammontare del debito complessivo scaduto rispetto all’esercizio precedente, i termini europei di pagamento, gli obblighi di pubblicazione nell’apposita sezione di amministrazione trasparente indicata da Anac nella griglia allegata alla deliberazione n. 1310/2016, dell’ammontare complessivo del debito scaduto e dell’elenco dei creditori, nonché a chi non rispetta gli obblighi di trasmissione alla PCC dello stock di debiti commerciali residui scaduti e non pagati, e le informazioni di cui all’art. 7-bis, commi 4 e 5 del d.l. 35/2013, nei limiti in cui sono ancora esigibili dopo l’entrata in vigore del Siope+.
Per rendere effettivo e tracciabile il nuovo sistema, la legge prevede –infatti- che a decorrere dal 2020 tutte le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate dall’Istat comunicano entro il 31 gennaio di ogni anno l’ammontare dello stock di debiti commerciali residui scaduti e non pagati alla fine dell’esercizio precedente tramite la piattaforma PCC; per l’anno 2019 tale comunicazione deve essere effettuata dal 1° al 30 aprile 2019. Tuttavia, secondo le previsioni del comma 867, tale obbligo sussiste esclusivamente fino alla chiusura dell’esercizio finanziario nel corso del quale l’ente adotta lo standard Ordinativo Informatico di cui all’art. 14, comma 8-bis della legge 196/2009 e smi: e, quindi, per gli enti locali solo per il 2019 con riguardo ai debiti residui al 31.12.2018, perché nel corso dell’esercizio 2018 tutti gli enti locali sono transitati al Siope+. I commi 869 e 870 prevedono, inoltre, che a decorrere dal 2019 sul sito web della Presidenza del Consiglio dei Ministri sono pubblicati ed aggiornati per ciascuna pubblica amministrazione:
1)     a cadenza trimestrale, i dati riguardanti gli importi complessivi delle fatture ricevute dall’inizio dell’anno, i pagamenti effettuati e i relativi tempi medi ponderati di pagamento e di ritardo, desunti dalla PCC;
2)     con cadenza mensile i dati riguardanti le fatture ricevute nell’anno precedente, scadute e non ancora pagate da oltre 12 mesi, desunti dalla PCC;
3)     entro il 30 aprile, l’ammontare dello stock di debiti commerciali residui scaduti e non pagati alla fine dell’esercizio precedente.
Infine, il sistema si chiude con due previsioni afferenti i controlli:
a)      il comma 872 demanda all’organo di controllo di regolarità amministrativa e contabile la verifica della corretta attuazione di tutte le misure introdotte e qui analizzate;
b)     il comma 871 dispone che le informazioni pubblicate sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri relativamente alle fatture scadute e non pagate da più di 12 mesi, costituiscono “indicatori rilevanti ai fini della definizione del programma delle verifiche” da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica del MEF.
Insomma, gli enti locali sono chiamati ad una revisione complessiva dell’organizzazione del ciclo passivo per assicurare la tempestività dei pagamenti, puntando sulla digitalizzazione, nonché alla riqualificazione degli uffici e delle procedure di riscossione delle entrate al fine di garantire l’allineamento dei tempi di riscossione a quelli di scadenza delle obbligazioni. Il tutto, ovviamente, in assenza di strumenti efficaci di riscossione coattiva, che si attendono da oltre vent’anni.
E’ cambiato il Governo, ma la musica è sempre stessa, perché gli spartiti restano quelli di sempre; si interviene con sanzioni e obblighi di pubblicazione e comunicazione, mentre non viene introdotta alcuna misura concreta a tutela della liquidità del sistema, la vera causa dei ritardi di pagamento. Non è un caso che il Servizio Bilancio dello Stato nel dossier in cui analizza i profili finanziari del disegno di legge nella sua versione finale segnala la necessità di “acquisire la valutazione del Governo circa l’eventuale aggravio e i relativi riflessi sulla funzionalità amministrativa degli enti interessati, in relazione al complesso degli obblighi informativi previsti dalle disposizioni in esame”.

28.12.2018



[1]  La Commissione europea, nell’ambito di una formale procedura di infrazione, il 15 febbraio 2017 ha inviato al Governo italiano un motivato parere ex art. 258 del TFUE dichiarando l’Italia inadempiente agli obblighi previsti dalla normativa europea e nel luglio 2017 ha notificato  una lettera di costituzione in mora al Governo italiano “nel quadro di un impegno costante volto a garantire la tempestività dei pagamenti a favore degli operatori economici e a migliorare l’attuazione della direttiva europea sui ritardi di pagamento (direttiva 2011/7/UE)”.
[2] La sentenza richiama espressamente il parere della Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati sul disegno di legge n. 676-A, il quale ha ritenuto che l'istituto dell’anticipazione di liquidità non viola l’art. 119, comma 6 della costituzione “in quanto nel caso di specie si tratterebbe di un’erogazione avente natura di anticipazione di liquidità…le somme medesime non rilevano ai fini della copertura e, per i riflessi sui saldi di finanza pubblica, incidono solo sul fabbisogno e sul debito, ma non sull’indebitamento…di conseguenza non si tratta di un vero e proprio prestito da includere nel campo di applicazione dell’art. 119, comma sesto, della costituzione, in quanto non comporta un ampliamento di copertura finanziaria in termini di competenza, ma si configura come mera anticipazione di liquidità, a fronte di coperture già individuate”. Il MEF ha in seguito chiarito che l’anticipazione può essere richiesta anche per pagare debiti fuori bilancio, a condizione che gli stessi siano stati previamente riconosciuti e sia stata individuata una forma di copertura finanziaria: l’anticipazione di liquidità soccorre, infatti, solo il piano della cassa. La Corte dei Conti ha, poi, chiarito le corrette modalità di contabilizzazione dell’anticipazione di liquidità, al fine di sterilizzarne gli effetti sul risultato di amministrazione ( cfr. Corte Conti, Sez. Aut. n. 33/2015/QMIG)
[3] L’art. 1, comma 533, della legge n. 232 del 2016 ha introdotto l’obbligo per le PA di effettuare gli ordini di incassi e di pagamenti al proprio tesoriere esclusivamente attraverso ordinativi informatici, emessi secondo lo standard Ordinativo Informatico emanato dall’Agid, tramite l’infrastruttura gestita dalla Banca d’Italia nell’ambito del servizio di tesoreria ( Siope+). I tempi di attuazione di tale nuova funzionalità sono stati disciplinati dai decreti del MEF del 14 giugno e del 24 settembre 2017 che, dopo un periodo di sperimentazione, ha previsto l’avvio a regime entro il 1° ottobre 2018 per tutti gli enti
[5] L’obbligo di adottare misure organizzative per consentire il rispetto dei tempi di pagamento dei debiti commerciali era stato introdotto dall’art. 9 del d.l. 78/2009, che prevede l’obbligo di pubblicazione delle misure adottate nel sito istituzionale.
[6] Da ultimo modificato, anche sul punto, dall’art. 29 del d.lgs. 97/2016.
[7] Si vedano anche le indicazioni di cui alla circolare MEF-RGS n. 3 del 14.1.2015.
[8] La norma prevedeva una dura sanzione per gli enti che registravano tempi medi dei pagamento superiori a regime a 60 giorni rispetto a quelli di cui al d.lgs. 231/2002, disponendo per l’anno successivo il blocco delle assunzioni di personale a qualunque titolo. La Corte Costituzionale con sentenza n. 272/2015, pur evidenziando che l’introduzione di un termine aggiuntivo per il pagamento dei debiti commerciali e la previsione di una sanzione per il loro mancato rispetto non rappresentano strumenti incompatibili con l’autonomia costituzionale delle regioni in quanto diretti a fronteggiare una situazione che provoca gravi conseguenze per il settore produttivo e a favorire la ripresa economica, con effetti positivi anche sulla finanza pubblica, ha –tuttavia- dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 41, comma 2 del d.l. 66/2014 in quanto si pone in contrasto con il principio di proporzionalità, il quale deve sempre caratterizzare il rapporto tra violazione e sanzione, soprattutto in casi come quello in esame in cui la sanzione introdotta dalla norma statale comporti una significativa compressione dell’autonomia organizzativa degli enti territoriali. In pratica, la Corte ha ritenuto che la norma è incostituzionale laddove “prevede che qualsiasi violazione dei tempi medi di pagamento da parte di un’amministrazione debitrice, a prescindere dall’entità dell’inadempimento e dalle sue cause, sia sanzionata con una misura a sua volta rigida e senza eccezioni, come il blocco totale delle assunzioni per l’amministrazione inadempiente
[9] Dalla data di operatività in ciascun ente del SIOPE+ i dati di pagamento delle fatture implementato automaticamente la PCC ed è, pertanto, venuto meno l’obbligo di comunicazione manuale di ciascun pagamento.
[10] La norma sembra aver recepito l’obiezione che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 272/2015 formulò avverso il comma 2 dell’art. 41 del d.l. 66/2014. Vedi nota 8.

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Ringraziamo il dott. Vito Antonio Bonanno per il pregevole contributo che ha voluto concedere a questo blog.


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