I tanti, troppi, problemi connessi ad una manovra economica che
mercati e Ue hanno già più volte e da tempo marchiato come
insufficiente, rendono evidentemente complicata l’azione del
Governo.
Affermare, quindi, che si stia attivando un “cambiamento”
rispetto al passato, se alla parola “cambiamento” si intende
attribuire un valore necessariamente positivo, è quanto meno
azzardato. Per la verità, si dovrebbe ricordare che il cambiamento
di per sé non è un valore: si può cambiare, infatti, anche in
peggio, mentre cambiare tanto per cambiare è esercizio costoso e
inutile.
Se, dunque, non si può certamente essere sicuri di un cambiamento
positivo in generale, tuttavia, dalla manovra e dalle leggi collegate
pare cominci ad emergere almeno una consapevolezza: quella che
davvero moltissime delle scelte e delle connesse norme adottate negli
ultimi anni sono radicalmente sbagliate e, finalmente, iniziano ad
essere oggetto di critica con spiragli di correzione.
Se sicuramente da almeno 25 anni le riforme in generale della
pubblica amministrazione e della contabilità si sono rivelate
inefficaci, contraddittorie, complicate e comunque non in grado né
di assicurare crescita ed efficienza, perché mentre il debito e la
spesa pubblica hanno continuato a salire, il sistema si è complicato
all’inverosimile, è altrettanto vero che rimonta a circa 8 anni fa
la rampa di lancio verso il precipizio di norme e regole che hanno
regalato solo un trionfo della burocrazia e dei vincoli operativi,
senza alcun risultato per il rilancio del Paese.
Ci riferiamo alla vera e propria pietra miliare dello scadimento
delle regole verso il mero adempimento contabile, connesso a vincoli
ottusi, utili solo a complicare scelte e gestioni: il d.l. 78/2010,
convertito in legge 122/2010.
Si trattò della prima manovra economica estiva (la norma risale al
maggio 2010), con la quale il Governo di allora, che per due anni
aveva ostinatamente negato l’esistenza della crisi finanziaria,
economica e produttiva scatenatasi nel 2008, cerò di correre ai
ripari.
Ce lo ricordiamo: è la norma del congelamento dei contratti, della
riduzione dei fondi contrattuali in proporzione alla spesa del
personale cessato, del tetto alla spesa di personale, del tetto alla
spesa del personale a tempo determinato, dei tetti alla spesa per
formazione, per comunicazione, per sponsorizzazioni, per contributi,
per gettoni di presenza, per incarichi, per società partecipate.
Un intrico incredibile di tetti, vincoli, adempimenti, comunicazioni,
dati da caricare, dal quale il Legislatore non è più uscito. Da
quel momento, tutte le leggi successive hanno approfondito l’abisso
di burocrazia nel quale si è sprofondati, con la riforma contabile,
ridicolmente definita “armonizzazione”, con regole sempre più
astruse e mutevoli sui tetti di spesa per le assunzioni, con
modifiche continue alle regole societarie, dall’in house providing
alla spesa per i compensi agli amministratori, per passare poi verso
“strette” agli appalti, con reticoli intricatissimi di obblighi
di acquisizioni ora tramite convenzioni Consip, ora tramite soggetti
aggregatori, ora tramite stazioni uniche appaltanti, fino a giungere
al definitivo cortocircuito della micidiale combinazione tra la
iperburocratica normativa anticorruzione, il codice dei contratti e
la soft law. E mentre lievitavano adempimenti, caricamenti,
pubblicazioni doppie, triple e quadruple, la funzione interpretativa
diveniva una maionese impazzita, ricca di pareri emessi dai più
disparati soggetti, tutti contraddittori, tutti ulteriori cunei posti
a divaricare lo stacco tra comprensibilità della norma e sua
attuabilità.
Bene, apprendiamo che la manovra intende incidere profondamente su
molti degli adempimenti bizantini di questi ultimi anni, iniziando la
demolizione del d.l. 78/2010 e di quanto ad esso si riallaccia.
Si prevede che dall'esercizio 2019, i comuni e le loro forme
associative capaci di approvare il consuntivo entro il 30 aprile e il
bilancio di previsione entro il 31 dicembre dell'anno precedente
siano finalmente esentati dagli assurdi vincoli di spesa per
automezzi, acquisto di immobili, missioni; questi enti potranno anche
finalmente non compilare più gli inutili e ridondanti “piani di
razionalizzazione delle dotazioni strumentali” e fare a meno delle
assurde comunicazioni delle spese pubblicitarie.
Tutti minuti e polverizzati (oltre che polverosi) meri adempimenti,
che intasano l’operatività, dirottano energie lavorative dalla
gestione efficiente all’amministrazione “difensiva” attenta al
cavillo, per evitare responsabilità: sì, perché ogni minimo atomo
burocratico è sempre accompagnato da sanzioni, generale per il
comune (blocchi di assunzioni, ad esempio) o specifiche per i
dipendenti: valutazione negativa, riduzione dei premi, revoca degli
incarichi.
Un modo di gestire iperburocratico ed ingessante, degno della
peggiore burocrazia militare esistente nell’Italia di fine ‘800 e
inizio ‘900, impersonata dalla triste figura del generale Cadorna,
colui che imponeva le decimazioni dei propri soldati, per “mantenere
la disciplina” disposta in migliaia di regole assurde e totalmente
inadatte, per altro, alle nuove tecniche di guerra.
Forse si è capito che quelle regole attivate a partire dal 2010 non
sono la cura, ma parte del male. Certo è tardi, certo il clima
complessivo è sfavorevole, sicuramente l’azione del Governo è
criticabile e debole. Ma, è importante che finalmente si mettano in
discussione norme assurde, non più solo in dottrina.
Contestualmente, si dà anche l’avvio ad una profonda riforma del
codice dei contratti, che passa per la reintroduzione dell’incentivo
per la progettazione riferito appunto alla progettazione, riscrivendo
la più incredibilmente assurda norma del codice, l’articolo 113,
manifestamente figlia di un’incredibile azione di lobbismo,
lasciata passare come acqua fresca ed alcuni correttivi
immediatamente inseriti nel decreto “semplificazione”.
Ma, è già in rampa di lancio una delega finalizzata a riscrivere da
zero il d.lgs 50/2016, a quanto pare basata su due cardini
fondamentali e, finalmente, corretti: il primo è il rispetto del
divieto di gold plating, con
l’eliminazione di tutte quelle assurde norme di diritto interno che
aggravano e modificano i livelli di regolazione previsti dalle
direttive Ue (si spera che in questo modo si giunga alla definitiva
cancellazione, con tanto di damnatio memoriae
dell’inutile e dannoso principio di “rotazione”); il secondo è
l’addio alla soft law
(della quale in ben pochi sentiranno la mancanza), per il ritorno ad
una regolazione attuativa tramite specifici decreti legislativi o
tramite regolamento. Il Legislatore si riappropria della funzione
normativa, che la Costituzione mai ha consentito di demandare ad
autorità diverse.
Non si ha idea di come si uscirà
dalle troppe nebbie della manovra, visto che la rotta non pare
precisa.
Non si può non sottolineare che
mentre sale la consapevolezza che l’insieme di norme che dal 2010
pesano in modo insopportabile sull’efficienza della pubblica
amministrazione, proprio il Ministero della Funzione pubblica limita
ancora la sua idea di riforma all’esasperazione dell’idea
brunettiana dei fannulloni, introducendo la timbratura del badge con
sistemi di rilevazione biometrica.
In ogni caso, un segnale viene dato. Quasi un decennio di scelte
organizzative e legislative, affidate a “tecnici” che di pubblica
amministrazione non sapevano molto e obnubilati dagli slogan di
inchieste superficiali della stampa generalista, è messo in
discussione. Vedremo se accanto alla demolizione – necessaria e,
purtroppo, tardiva – di questo delirio burocratico vi sarà una
ricostruzione dell’organizzazione tale da renderla finalmente utile
ed efficiente.
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