Sono molte le criticità ed incoerenze dell’articolo 4 del d.l. 124/2019 convertito in legge 157/2019 (decreto cosiddetto fiscale), che scarica sugli uffici contratti o provveditorati delle pubbliche amministrazioni funzioni oggettivamente estranee alle loro specifiche competenze.
Le amministrazioni appaltanti, per effetto della norma citata, come indicato dalle risoluzioni 108 e 109 del 23 e del 24 dicembre dell’Agenzia delle entrate, sono tenute a ricevere dagli operatori aggiudicatari e dalle imprese subappaltatrici copia delle deleghe di pagamento per il versamento delle ritenute sui redditi da lavoro dipendente dei lavoratori impiegati nell’appalto, per controllare l’ammontare totale degli importi versati dalle imprese, nel caso di appalti di opere o servizi caratterizzati dall’utilizzo prevalente di manodopera nelle sedi di attività del committente, utilizzo di beni strumentali di proprietà dell’ente appaltante, o comunque a lui riconducibili, e per un importo complessivo che superi la soglia di 200.000 euro annui. Appalti molto frequenti nella sanità, ove per esempio i servizi mensa sono spessissimo ancora svolti in ambienti degli ospedali.
Gli obblighi normativi creano un groviglio di meri adempimenti del tutto estranei alle funzioni proprie degli uffici deputati agli acquisti. I quali dovranno acquisire entro i 5 giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento delle ritenute le deleghe di pagamento F24 distinte per ciascun committente; un elenco nominativo di tutti i lavoratori impiegati nel mese precedente nell’appalto, con le ore di lavoro prestate; l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione; il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti del lavoratore. E, ancora, verificare l’eventuale omesso o insufficiente versamento delle ritenute fiscali, che, se rilevato obbliga a sospendere, finché perdura l’inadempimento, il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria sino a concorrenza del 20% del valore complessivo dell’appalto stesso, nel limite di quanto non versato. Con connesso obbligo di comunicare il tutto all’Agenzia delle entrate entro 90 giorni.
L’irrazionalità della norma è piuttosto evidente. A parte la circostanza che essa chiede agli uffici appalti competenze da commercialisti e consulenti del lavoro, dovendo districarsi tra circa 900 contratti privatistici per comprendere l’esatta ritenuta fiscale da applicare in rapporto alle retribuzioni regolate da tali contratti, dovrebbe risultare chiaro che è l’Agenzia delle Entrate il solo Ente pubblico istituzionalmente deputato, anche perché dotato di personale in possesso delle specifiche competenze ed adeguatamente formato allo scopo, a verificare il corretto versamento delle ritenute erariali da parte dell’appaltatore. Invertendo totalmente la procedura, dovrebbe essere l’Agenzia a comunicare agli enti appaltanti quali siano i soggetti appaltatori per i quali occorra procedere alla sospensione dei compensi in ragione dell’accertamento dell’irregolarità della loro posizione, sulla falsa riga, a ben vedere, di quanto da anni accade col sistema delle verifiche previsto dall’articolo 48-bis del D.P.R. 602/73.
Il nuovo sistema, oltre a scaricare irrazionalmente sulle amministrazioni appaltanti adempimenti burocratici non rientranti nella professionalità dei dipendenti degli uffici appalti e, comunque, duplicando attività proprie dell’Agenzia delle entrate, introduce un’altra conseguenza incoerente: la sanzione, nel caso di mancata ottemperanza ai complessi obblighi previsti dal decreto fiscale, consistente nel versamento all’erario di una somma pari alla sanzione irrogata all’impresa appaltatrice o subappaltatrice, senza possibilità di compensazione.
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