Su Il Fatto Quotidiano dell’1.3.2020,
il direttore Travaglio nel fondo “Mazzettavirus” commenta il caso di corruzione
esploso nel comune di Palermo, connesso ad alcune lottizzazioni abusive.
Osserva il direttore che “La
vera notizia dell'ultima retata al Comune di Palermo per tangenti in cambio di
concessioni edilizie non sono gli arresti” di alcuni componenti della giunta e
del consiglio comunali, bensì il coinvolgimento riguardante “i funzionari e
i professionisti, di cui poco si parla, ma che sono le architravi del sistema
della corruzione, a metà strada fra imprenditori corruttori e politici
corrotti. Presenze costanti e da tutti vissute come ineluttabili: i politici
passano, o almeno c ' è sempre la speranza che vengano trombati, anche se i più
ladri hanno più chance di essere rieletti; ma i dirigenti pubblici restano
fino alla pensione”.
Così racconta e ad un tempo
commenta i fatti il direttore de Il Fatto Quotidiano: “l'ordinanza del gip
Michele Guarnotta sfata questo luogo comune, spedendo ai domiciliari pure i
funzionari municipali Mario Li Castri (Riqualificazione Urbana) e Giuseppe
Monteleone (Attività Produttive), e il progettista architetto Fabio Seminerio.
Quest'ultimo nel 2016 presentò per conto di vari imprenditori tre progetti per
lottizzare aree industriali dismesse e realizzare 350 alloggi in deroga al
piano regolatore. Ad avviare e istruire la pratica provvide Li Castri (in parte
insieme a Monteleone), malgrado il suo palese conflitto d'interessi che lo
rendeva incompatibile per essere stato - secondo gli inquirenti - socio in
affari di Seminerio. In cambio, gli imprenditori avevano promesso di affidare
la direzione dei lavori a Seminerio, che a sua volta avrebbe girato a Li Castri
una parte dei profitti, mentre ricompensavano i consiglieri comunali
compiacenti con "regali". Non solo: nel marzo 2018 i funzionari Li
Castri e Monteleone erano stati condannati in primo grado a 2 anni di
reclusione, insieme ad altri 19 fra dirigenti, tecnici e imprenditori, per una
lottizzazione abusiva nel borgo marinaro di Mondello (nella strada dove
entrambi risiedono e dove i giudici han confiscato 12 villette). E i politici?
Un anno fa Emilio Arcuri (non indagato), allora vicesindaco e ora assessore
della giunta Orlando, confessava bellamente in una conversazione intercettata
di aver autorizzato la modifica al piano regolatore " col mal di pancia
" su pressione di Li Castri. Cioè di un dirigente che non solo non avrebbe
dovuto essere ascoltato, ma non neppure essere dirigente, per la condanna e il
conflitto d ' interessi. E invece continuava a fare il bello e il cattivo tempo
nel Comune”.
Le conclusioni tratte dal diretto
de Il Fatto Quotidiano sono solo parzialmente condivisibili, tuttavia.
Certo, colgono nel segno quando
evidenziano che la corruzione non muove esclusivamente dalla politica. Non è, né
potrebbe essere così, per una ragione semplicissima: le riforme degli ultimi 30
anni, in particolare quella dell’ordinamento degli enti locali, hanno sottratto
agli organi di governo molte decisioni connesse
alla concreta gestione, per attribuirle alla competenza dei dirigenti.
L’edilizia è un esempio
perfettamente calzante: in sostanza, l’ordinamento locale assegna ai consigli
comunali solo la competenza a disciplinare piani regolatori, modifiche e
deroghe, nonché piani di lottizzazione, mentre la decisione sui progettisti ai
quali rivolgersi e sugli atti attuativi è di competenza della dirigenza.
Sempre la dirigenza è chiamata
alla predisposizione delle istruttorie tecniche e delle proposte di deliberazione
da sottoporre ai consigli.
Dunque, perché la macchina della
corruzione funzioni, occorre coinvolgere sia gli organi di governo, sia la
dirigenza.
Sta di fatto, però, che non
tutta la dirigenza è uguale. A differenza di quanto affermato dal fondo de Il
Fatto Quotidiano, non è sempre vero che “i dirigenti pubblici restano fino alla
pensione”.
Proprio la necessità imposta
dalla legge di un intervento attivo della dirigenza nella predisposizione
tecnica degli atti di pianificazione e nella gestione concreta degli atti attuativi,
da anni, sa sempre, fa sì che vi sia un’attenzione spasmodica della politica
agli incarichi dirigenziali.
La parziale sottrazione di
competenze gestionali agli organi di governo è stata “compensata” dall’ordinamento
da una serie di scelte che più di una volta si sono rivelate esiziali: la
previsione di strumenti per sostituire al “governo delle decisioni” il “governo
degli uomini” che quelle decisioni concorrono a formare o ad attuare.
Si è così introdotto il
meccanismo micidiale dello spoil system, contestualmente all’eliminazione (che
negli enti locali è totale) di controlli preventivi di legittimità esterni.
Strumento decisivo dello spoil
system negli enti locali è il famigerato articolo 110 del d.lgs 267/2000, che
consente di coprire posti della dotazione organica dirigenziale incaricando
persone estranee ai ruoli, individuate con modalità che dovrebbero essere
selettive e concorsuali. Tuttavia, una lettura distorta della norma (modificata
nel 2014 proprio per eliminare residui di fiduciarietà), purtroppo avallata
anche dal Consiglio di stato, induce molti a considerare la selezione come “idoneativa”.
Si tratta di un aggettivo della neolingua, volto a sintetizzare procedure
selettive finalizzate di fatto a selezionare un ristretta rosa di candidati
aventi apparentemente tutti le stesse capacità e, quindi, tutti idonei all’incarico,
in modo che sia poi il sindaco a scegliere letteralmente “chi gli pare” tra
essi.
E’ evidente che se qualcuno si
insedia in incarichi politici con intenti non del tutto commendevoli, ritenendo
di dover utilizzare il munus publicum per interessi privati, questo qualcuno ha
tutto l’interesse di circondarsi di funzionari “di fiducia”, che non solo non
ostacolino il disegno, ma se ne facciano parte attiva.
L’assenza di controlli
preventivi sugli atti, mista al potere dei sindaci di incaricare e revocare i
dirigenti di ruolo praticamente in modo arbitrario e, comunque, di inserire nei
gangli i “dirigenti a contratto” scelti di volta in volta fiduciariamente,
costituiscono un mix esplosivo, potenzialmente capace di scatenare sistemi corruttivi
micidiali.
Ora, i due dirigenti pubblici
coinvolti nel caso del comune di Palermo, guarda caso, sono, anzi erano, perché
gli incarichi sono scaduti, proprio dirigenti a contratto (qui gli incarichi
tratti da Amministrazione trasparente del comune di Palermo: https://www.comune.palermo.it/js/server/uploads/trasparenza_all/_17072017111522.pdf;
https://www.comune.palermo.it/js/server/uploads/trasparenza_all/_17072017111959.pdf;
https://www.comune.palermo.it/amministrazione_trasparente.php?sel=4&asel=201&tipo=15&csel=399;
https://www.comune.palermo.it/amministrazione_trasparente.php?sel=4&asel=201&tipo=15&csel=407).
Si dimostra così che il problema
non sta affatto nella circostanza che i politici passano, mentre i dirigenti
restano fino alla pensione.
Nel caso di specie è avvenuto
esattamente l’opposto: il sistema corruttivo ipotizzato dall’inchiesta palermitana
si basa sull’azione di dirigenti non appartenenti ai ruoli della dirigenza
comunale, ma scelti dall’esterno e quindi per nulla appartenenti alla dirigenza
che resta tale fino alla pensione.
Non abbiamo modo né di
affermare, né di pensare, che i due fossero stati incaricati esattamente allo
scopo di attivare i sistemi sospettati di corruzione. Certo, la coincidenza è
allarmante.
E’ da sottolineare che i
provvedimenti di incarico sono intrisi di clausole “di stile”, cioè
stereotipate e sostanzialmente vuote, sulla necessità, sulla competenza, sulle
modalità selettive; tra queste, anche la dichiarazione resa da entrambi sull’assenza
di conflitti di interesse, che invece l’inchiesta sembrerebbe dimostrare vi
fossero e in abbondanza.
La vicenda palermitana, purtroppo,
conferma un altro elemento di tremenda debolezza ordinamentale: l’inefficacia
delle misure di prevenzione della corruzione regolate dalla legge 190/2012 e
dalla miriade di piani nazionali anticorruzione, Linee Guida dell’Anac e piani
triennali locali.
Ovviamente, il comune di Palermo
si è dotato di doviziosi ed ampi piani
triennali, con tanto di coinvolgimento degli “stakeholders” e approfondite “analisi
del contesto esterno ed interno”, come chiede l’Anac. Non manca di certo la
scheda relativa al rischio connesso proprio ai procedimenti di pianificazione
urbanistica (estratta dal ptpc valevole negli anni ai quali si riferisce l’inchiesta):
Come si nota, né il piano
triennale di prevenzione della corruzione è servito a nulla, né i dirigenti
interessati hanno minimamente evidenziato un proprio conflitto di interesse, né
i componenti degli organi di governo si sono particolarmente sperticati nel
verificare le loro dichiarazioni.
Insomma, anche in questo caso l’ipernormazione
e pianificazione teoricamente anticorruzione non è servita a nulla.
La reticenza dei due dirigenti
sul conflitto di interessi dimostra l’inutilità assoluta della polemica recentissima
sui dati patrimoniali da pubblicare: pare possibile che dirigenti determinati a
non rendere alla propria amministrazione alcuna dichiarazione su conflitti di
interesse, siano poi così ingenui da pubblicare dati patrimoniali tali da permettere
eventualmente di risalire a loro attività corruttive ed illecite?
E’ l’assenza totale ed assoluta
di controlli, mista al potere arbitrario di scelta dei dirigenti a contratto,
il vero, enorme problema, che scatena la corruzione, rispetto alla quale le
misure della legge 190/2012 e i piani e le linee guida dell’Anac puntuamente si
dimostrano solo burocrazia. Se non si prende definitivamente atto di questo,
non vi sarà mai alcuna possibilità concreta di mettere un argine reale alla
mala amministrazione.
Nulla garantisce, ovviamente, che si predispongano a delinquere anche i dirigenti di ruolo. Soprattutto, perchè l'ordinamento attuale mette anche i loro incarichi concreti nelle mani della politica, esponendoli quindi a pressioni rilevanti. La Corte costituzionale con la sua sentenza 23/2019 ha inferto un ulteriore colpo alla solidità della soggezione dei dirigenti pubblici alla sola Nazione, di fatto legittimando lo spoil system devastante sui segretari comunali, privando i comuni di un presidio di legalità, nonostante la stessa legge 190/2012 consideri proprio i segretari comunali i naturali e predeterminati responsabili anticorruzione negli enti locali.
Quindi, nei comuni perfino il responsabile anticorruzione è soggetto esattamente, e anche più della dirigenza, a quello spoil system che è l'humus, insieme con l'assenza di controlli preventivi da parte di autorità neutre ed esterne, degli episodi di corruzione, che alla fine vengono scoperti sempre e solo dalle indagini della magistratura ordinaria e mai impedite o svelate dai sistemi anticorruzione.
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