di Angelo Maria Savazzi
L’art 6 del Decreto del Ministro per la Pubblica amministrazione del 19 ottobre scorso in materia di lavoro agile stabilisce che le pubbliche amministrazioni devono adeguare i sistemi di misurazione e valutazione della performance alle specificità del lavoro agile “rafforzando, ove necessario, i metodi di valutazione, improntati al raggiungimento dei risultati e quelli dei comportamenti organizzativi”.
Una prima considerazione riguarda il fatto che si ritenga necessario un decreto ministeriale per “prescrivere” ciò che la legge già prevede. Infatti, che i sistemi di misurazione e valutazione della performance debbano essere orientati al raggiungimento dei risultati dovrebbe essere già un dato consolidato e imprescindibile di detti sistemi. Quanto scritto nel decreto sembra nascere dalla constatazione che le infrastrutture metodologiche adottate dalle amministrazioni abbiano fino ad ora perseguito la finalità di eludere le disposizioni di principio cui le amministrazioni avrebbero dovuto adeguare da tempo i propri sistemi valutativi.
Lo stesso articolo 6 del medesimo decreto prosegue nel richiedere ai dirigenti di monitorare e verificare le prestazioni rese in modalità agile “da un punto di vista sia quantitativo sia qualitativo, secondo una periodicità che tiene conto della natura delle attività svolte dal dipendente, in coerenza con i princìpi del sistema di misurazione e valutazione della performance adottato dall’amministrazione”. A questo punto si è sorpresi nello scoprire: 1) che in modalità “non agile” non sia necessario monitorare e verificare la prestazione lavorativa; 2) e che, a maggior ragione, laddove ciò avvenga non è detto che venga fatto con la periodicità connessa alla “natura delle attività svolte dal dipendente”. Avrò scritto e detto centinaia di volte che spetta al titolare del potere valutativo assegnare gli obiettivi e, quindi, definire i risultati attesi e affinché la valutazione possa esplicarsi è necessario orientare l’azione dei collaboratori, monitorare lo stato di attuazione degli obiettivi ed affrontare le criticità che ne rallentino o ne rendano difficoltoso il raggiungimento e per rimuovere se possibile gli ostacoli. Ma questo è nella logica dei sistemi, non ci sarebbe nemmeno bisogno che una norma lo prescrivesse. Ma non è forse insito nei compiti di direzione e di organizzazione e di gestione del rapporto di lavoro quello di monitorare e verificare le prestazioni, indipendentemente da come vengano espletate (perché il lavoro agile è una delle modalità, oggi quella più utile e idonea a limitare la diffusione del virus COVID-19, di svolgimento della prestazione lavorativa)?
L’emergenza epidemiologica determinata dalla diffusione pandemica del virus COVID-19 ha posto certamente le amministrazioni pubbliche di fronte a problematiche di gestione dei rapporti di lavoro che hanno riguardato la maggior parte degli istituti giuridici ed economici. Ed è anche vero che la stessa previsione secondo la quale la prestazione lavorativa deve svolgersi prioritariamente secondo il paradigma del lavoro agile, impone nuove modalità spazio-temporali di gestione del rapporto di lavoro che richiedono un deciso cambio di approccio all’organizzazione del lavoro ed implicano una conoscenza dei processi presidiati e dei risultati che tali processi sono in grado di restituire; solo in questo modo il nuovo paradigma potrà prevedere modalità di verifica della prestazione lavorativa, ancora fortemente condizionata dalla struttura dell’orario di lavoro e dalla rilevazione della presenza in servizio secondo sistemi automatizzati. Ma bisogna però sottolineare con la necessaria risolutezza che la conoscenza dei processi presidiati e la verifica dei risultati sono connaturati alle posizioni dirigenziali e sono indipendenti dalla modalità di espletamento della prestazione lavorativa.
Se ciò è vero allora i riflessi sul sistema valutativo e sul ciclo della performance costituiscono una opportunità da cogliere e sviluppare adeguatamente non tanto perché siamo in presenza di una situazione particolare ma perché i sistemi valutativi fino ad oggi sono stati impostati in modo funzionale solo all’esigenza di legittimare la distribuzione degli istituti premiali più che come una delle leve di gestione del rapporto di lavoro e di orientamento verso risultati certi, tangibili e verificabili.
Sono decenni che si chiede alle pubbliche amministrazioni il superamento della cultura “adempimentale” per concentrare l’attenzione sui risultati e sono almeno dieci anni, dall’entrata in vigore del D. Lgs. 150/2009, che tra i requisiti degli obiettivi di performance troviamo, cristallizzato in un testo normativo, la capacità di “tendere al miglioramento della qualità dei servizi e degli interventi”. Si tratta di un requisito che non risponde tanto all’esigenza di migliorare i livelli prestazionali in termini assoluti, ma che richiede e interroga sulla necessità che gli obiettivi di performance siano accompagnati da un apparato motivazionale (o analisi di contesto) che consenta di spiegare le ragioni per le quali gli obiettivi siano in grado, secondo la situazione di contesto organizzativo e sulla base delle risorse disponibili, di restituire un effettivo miglioramento qualitativo o anche “solo” di impedire un peggioramento quando ci si trova di fronte a criticità esogene al sistema pubblico che siano inesorabilmente non governabili con gli strumenti a disposizione.
Non è il lavoro agile che impone di correlare la prestazione lavorativa ai risultati ma ne evidenzia l’urgenza, e non è il lavoro agile che richiede, per pianificare e valutare i risultati, che gli organi di direzione abbiano una piena e completa conoscenza dei processi presidiati; è la logica che presiede la gestione del rapporto di lavoro, prima ancora che la rilevanza ai fini della performance organizzativa e individuale, a richiedere che i risultati diventino rilevanti e quindi che occorre essere in grado di valorizzarne l’importanza, la tangibilità e la significatività e valutare l’impegno aggiuntivo, in termini qualitativi, che si richiede al personale coinvolto.
Non è un caso che le criticità più rilevanti nell’avvio del lavoro agile si sono colte in quelle amministrazioni che non hanno proprio definito un percorso di adeguamento alle prescrizioni di cui all’art. 14 della Legge 124/2015, il quale, nella versione originaria, imponeva alle amministrazioni di adottare le misure organizzative in grado di rendere possibile l’accesso al lavoro agile, per finalità che non erano legate alla diffusione epidemiologica di un virus, bensì di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ad almeno il 10% dei dipendenti interessati nel triennio successivo all’entrata in vigore delle disposizione.
Oggi, in piena emergenza sanitaria che impone misure di limitazione della circolazione delle persone e di distanziamento sociale, abbiamo assistito in alcuni casi all’assurdo di dirigenti che chiedevano ai propri collaboratori l’attestazione della presenza in servizio ovvero l’attestazione dell’ora di inizio e di fine della prestazione lavorativa, oppure di dipendenti che chiedevano l’erogazione del buono pasto; nel primo caso emergeva in modo evidente l’impreparazione verso una gestione del paradigma basato obbligatoriamente sul controllo e la verifica dei risultati della prestazione e non sulla sua articolazione oraria. Ed è il caso di ripeterlo: se non si conoscono i processi presidiati non possono essere governati ovvero è più semplice controllare la presenza in servizio piuttosto che valutare i risultati.
Ed è in questa situazione emergenziale che affiorano i limiti del corretto sviluppo del potere valutativo dei propri collaboratori che, come è ormai pacifico, è connaturato alla posizione dirigenziale in base all’art. 17 del D.Lgs. 165/2001, in modo complementare all’assegnazione tempestiva degli obiettivi individuali: come si fanno a valutare i risultati prestazionali se non si conoscono i processi e conseguentemente non si riescono a governare? Come si fa a definire e assegnare gli obiettivi individuali se non si è capaci di governare i processi?
Partendo da ciò le amministrazioni che più di altre sono state favorite in questo periodo sono quelle che avevano già fatto una mappatura dei processi reale, che ha consentito loro di focalizzarsi sulle attività e sui risultati. Si tratta di quelle amministrazioni che avevano già impostato un percorso per individuare e distinguere le attività (articolazioni dei processi) in ragione del tipo di prestazione e di interazione richieste (es. attività intellettuali fondate sulla concentrazione o sull’elaborazione di proposte, di tipo comunicativo o collaborativo), nonché in ragione dello spazio fisico più idoneo a svolgerle.
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