Su Il Sole 24 Ore del 26 febbraio, il consigliere Luigi Carbone, Presidente di Sezione del Consiglio di stato e fino a pochi giorni fa Capo di gabinetto al Mef, ha espresso delle idee molto à la page sulla riforma della pubblica amministrazione, nell'articolo titolato "Recovery plan e Pa, tre linee d’azione per un salto di qualità".
Nell'intervento, il magistrato osserva che occorre "ripensare il sistema di formazione pubblica, puntando a competenze non prevalentemente giuridico-amministrative, ma più tecniche o più strategiche (project management, negoziazione, consultazione, policy making".
Per poi aggiungere: "va combattuta la “paura della firma” dei decisori pubblici (oggi si preferisce “amministrare per legge” o “per sentenza”, come ha scritto Luisa Torchia)".
Affermazioni, nella loro genericità - indotta anche dallo spazio circoscritto di un quotidiano - che appaiono molto condivisibili, soprattutto per chi ha un occhio molto di riguardo al cosiddetto New Public Management.
Ci permettiamo, però, di essere un po' fuori moda e di chiederci, e retoricamente premettere: giusto, occorrono competenze come quelle descritte nell'articolo e vincere la "paura della firma" (a giudizio di chi scrive inesistente e frutto di pura invenzione dei media), non amministrando solo per legge o per sentenza. Per poi chiederci e chiedere all'Autore:
- siamo capaci di far di conto? Si ritiene davvero che la PA possa infarcirsi di esperti di project management, negoziatori, consulenti ed esperti in polucy making (qualunque cosa voglia dire)?
- vero che occorrono queste professionalità, ma, ad occhio e croce, in quantità non tali da modificare radicalmente la composizione dei bisogni, caratterizzata per oltre un terzo da docenti, per quantità molto significative da medici e infermieri, forze dell'ordine e militari, operai, assistenti sociali, figure operative;
- è stato, per caso, superato il principio di legalità, enunciato dall'articolo 97 della Costituzione, come vincolo insuperabile dell'azione amministrativa?
- se la risposta alla domanda al punto 3 fosse, come ci parrebbe, negativa, risulta chiaro o non chiaro che, comunque, l'azione amministrativa non possa fare a meno di un vaglio di legittimità, oltre che di efficienza ed efficacia e prima ancora dell'efficienza ed efficacia? (Per inciso: un provvedimento molto efficiente ed efficace, se annullato per illegittimità, perde certamente tutta la sua efficacia, ma anche la sua efficienza...);
- se, quindi, quanto evidenziato al punto 4. sia dimostrato, cosa significa, allora, che non è opportuno amministrare "per legge" o "per sentenza"?
- che non si debba rispettare la legge, cioè, che la si possa violare? Se sì, quando, come e a che condizioni?
- che non contino le sentenze come strumento di interpretazione e guida per i casi controversi? Se sì, allora, quali strumenti interpretativi del diritto vivente sono da utilizzare? La Pizia di Delfi? Cos'altro?
- Soprattutto, sarebbe interessante sapere da un Presidente di Sezione del Consiglio di stato se il Consesso di Palazzo Spada è uso - in omaggio all'opportunità di infarcire la PA di project manager che non amministrino per legge e per sentenza - risolvere le controversie:
- ritenendo che la progettazione manageriale sia superiore alla legge e alle sentenze;
- valutando, in sede giurisdizionale, la legittimità dei provvedimenti alla luce non della legge o di pronunce giurisprudenziali, ma sulla base delle decisioni di policy making;
- utilizzando, per le sentenze, dunque, non la legge, non altre sentenze, ma filosofia, matematica, astronomia e scienza dei materiali.
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