sabato 27 febbraio 2021

Pubblica amministrazione: non amministrare "per legge" o "per sentenza". Ma, allora, come?

Su Il Sole 24 Ore del 26 febbraio, il consigliere Luigi Carbone, Presidente di Sezione del Consiglio di stato e fino a pochi giorni fa Capo di gabinetto al Mef, ha espresso delle idee molto à la page sulla riforma della pubblica amministrazione, nell'articolo titolato "Recovery plan e Pa, tre linee d’azione per un salto di qualità".

Nell'intervento, il magistrato osserva che occorre "ripensare il sistema di formazione pubblica, puntando a competenze non prevalentemente giuridico-amministrative, ma più tecniche o più strategiche (project management, negoziazione, consultazione, policy making".

Per poi aggiungere: "va combattuta la “paura della firma” dei decisori pubblici (oggi si preferisce “amministrare per legge” o “per sentenza”, come ha scritto Luisa Torchia)". 

Affermazioni, nella loro genericità - indotta anche dallo spazio circoscritto di un quotidiano - che appaiono molto condivisibili, soprattutto per chi ha un occhio molto di riguardo al cosiddetto New Public Management.

Ci permettiamo, però, di essere un po' fuori moda e di chiederci, e retoricamente premettere: giusto, occorrono competenze come quelle descritte nell'articolo e vincere la "paura della firma" (a giudizio di chi scrive inesistente e frutto di pura invenzione dei media), non amministrando solo per legge o per sentenza. Per poi chiederci e chiedere all'Autore:

  1. siamo capaci di far di conto? Si ritiene davvero che la PA possa infarcirsi di esperti di project management, negoziatori, consulenti ed esperti in polucy making (qualunque cosa voglia dire)?
  2. vero che occorrono queste professionalità, ma, ad occhio e croce, in quantità non tali da modificare radicalmente la composizione dei bisogni, caratterizzata per oltre un terzo da docenti, per quantità molto significative da medici e infermieri, forze dell'ordine e militari, operai, assistenti sociali, figure operative;
  3. è stato, per caso, superato il principio di legalità, enunciato dall'articolo 97 della Costituzione, come vincolo insuperabile dell'azione amministrativa?
  4. se la risposta alla domanda al punto 3 fosse, come ci parrebbe, negativa, risulta chiaro o non chiaro che, comunque, l'azione amministrativa non possa fare a meno di un vaglio di legittimità, oltre che di efficienza ed efficacia e prima ancora dell'efficienza ed efficacia? (Per inciso: un provvedimento molto efficiente ed efficace, se annullato per illegittimità, perde certamente tutta la sua efficacia, ma anche la sua efficienza...);
  5. se, quindi, quanto evidenziato al punto 4. sia dimostrato, cosa significa, allora, che non è opportuno amministrare "per legge" o "per sentenza"?
    1. che non si debba rispettare la legge, cioè, che la si possa violare? Se sì, quando, come e a che condizioni?
    2. che non contino le sentenze come strumento di interpretazione e guida per i casi controversi? Se sì, allora, quali strumenti interpretativi del diritto vivente sono da utilizzare? La Pizia di Delfi? Cos'altro?
  6. Soprattutto, sarebbe interessante sapere da un Presidente di Sezione del Consiglio di stato se il Consesso di Palazzo Spada è uso - in omaggio all'opportunità di infarcire la PA di project manager che non amministrino per legge e per sentenza - risolvere le controversie:
    1. ritenendo che la progettazione manageriale sia superiore alla legge e alle sentenze;
    2. valutando, in sede giurisdizionale, la legittimità dei provvedimenti alla luce non della legge o di pronunce giurisprudenziali, ma sulla base delle decisioni di policy making;
    3. utilizzando, per le sentenze, dunque, non la legge, non altre sentenze, ma filosofia, matematica, astronomia e scienza dei materiali.


Nessun commento:

Posta un commento