La strada sbagliata per la riforma dei concorsi è stata imboccata e ormai sembra che il Governo non abbia intenzione di tornare indietro.
Nelle bozze del Pnrr che circolano per le redazioni dei giornali, si evidenzia la ferma intenzione di seguire una china formalmente intesa a reclutare i “giovani”, ma che di fatto per molti aspetti parla di “concorsi” per, di fatto, reclutare in altro modo, senza dimostrare alcuna capacità di valorizzare realmente i “giovani”.
Si prenda a riferimento l’articolo “Nella Pa misure per 9,8 miliardi: caccia ai giovani più qualificati” di Gianni Trovati, su Il Sole 24 ore del 24.4.2021.
Si riportano i ragionamenti che inducono il Governo alle linee di riforma tracciate nelle bozze del Pnrr. Tutti caratterizzati da evidenti contraddizioni in termini, irrisolte.
Si parte dalla constatazione che la PA è stata fortemente indebolita da 10 anni (in realtà sono 17) di tetti ai concorsi, che hanno ridotto il numero complessivo dei dipendenti pubblici in rapporto all’occupazione totale, oggi al 13,4%, sotto la media Ocse che è del 17,7% e, contestualmente hanno determinato un eccessivo invecchiamento di chi lavora nella PA. Si prosegue, però, affermando che occorre attirare i giovani più qualificati, che disponendo di lauree di “alto livello” (quali sarebbero? Qual è la classifica delle lauree?), di dottorati e di master, non sarebbero interessati ad investire il loro futuro per un posto di lavoro pubblico. Possibile: ma, se da 17 anni i concorsi nella PA praticamente non ci sono, e molti di quei pochi sono stati per altro attivati a seguito di ondate di stabilizzazioni, un laureato di alto profilo e successive specializzazioni, anche fosse stato interessato a svolgere funzioni nella PA, come avrebbe potuto?
Un ragionamento viziato nei suoi presupposti, non può che condurre a soluzioni a loro volta inefficaci.
Il Pnrr individua tre linee direttrici per modificare i concorsi ed il reclutamento nella PA. La prima è dedicata a coloro che volano alto, i cosiddetti High Flyers. Si tratta proprio di quei “giovani” dotati di un curriculum di rilevante livello: laurea, dottorati, master e anche esperienze all’estero. Per loro non si pensa, sostanzialmente, a reclutamento tramite concorsi, ma mediante non precisati “percorsi rapidi” (più rapidi ancora, dunque, del cosiddetto “concorso” composto da una sola prova scritta di un’ora possibile, nella fase di emergenza ai sensi dell’articolo 10 del d.l. 44/2021...), ai quali agganciare, informa Trovati, “formazione su misura”.
Ma, quanto “giovani” possono essere dei “giovani” che abbiano conseguito una laurea, almeno un master, almeno un dottorato e svolto all’estero anche un’esperienza, si presume di lavoro? Certo, è possibile che i più brillanti, o quelli inseriti in circuiti particolari (i cognomi contano), conseguano questi titoli in breve tempo. In effetti anche Mozart a 5 anni componeva. Ma, di Mozart se ne conosce uno solo. Generalmente, per un percorso di questo genere si impiegano molti anni: difficile concluderlo prima dei 30. Indubbiamente, un trentenne è giovane, specie in rapporto all’età media di 50 dei dipendenti pubblici. Ma oggettivamente la gioventù dei laureati è ancora maggiore.
E poi: se si decide di assumere questi High Flyers con modalità iper semplificate in ragione della loro elevata qualificazione, qual è la ragione di agganciare alla loro assunzione un “percorso formativo”?
In secondo luogo, l’articolo mette in evidenza che un altro strumento di reclutamento riguarderebbe “profili specialistici”, da individuare mediante accordi tra lo Stato e Università ed Ordini professionali.
Qualche domanda si pone anche in questo caso. Si tratta, in relazione all’Università, dell’idea di costruire lauree abilitanti? Potrebbe essere un’ottima idea. Ma, nel frattempo? Si parte dall’idea che un laureato non sia valido, laddove l’Università di provenienza non abbia stipulato alcun “accordo”? E, in quanto agli Ordini: a che servirebbe l’accordo con loro? A fare in modo che l’Ordine sia meno “affollato” e vi sia minore concorrenza, grazie al dirottamento dei giovani verso la PA? E siamo sicuri che verrebbero dirottati i migliori e non gli scarti? E che in ogni caso la manovra non determinerebbe barriere ulteriori, informali, all’accesso alle professioni (anche in questo caso, i cognomi contano).
Infine, il Pnrr, ricorda il Trovati, parla di “esperti multidisciplinari” da assumere a tempo determinato per svolgere le specifiche attività di gestione dei progetti del Pnrr, con prospettiva di successiva stabilizzazione, se i progetti avranno successo.
A parte la circostanza che nella PA (come anche nel privato) si dovrebbe assumere a tempo determinato per fabbisogni a loro volta a termine, quindi non si capisce come sia possibile assumere a termine per progetti che potrebbero invece entrare a regime, non dovrebbe sfuggire che se si per sé un “esperto”, a meno di possibili eccezioni (torniamo all’esempio di Mozart), proprio in quanto esperto, dispone di esperienza. Difficile che un esperto, davvero esperto, possa anche essere un “giovane”.
Questo terzo strumento sembra un modo (sotto certi aspetti anche condivisibile) per trasformare le molte consulenze e esterne delle quali si è avvalsa la PA negli anni, in assunzioni a tempo determinato, con “prenotazione” della stabilizzazione. Non il massimo.
Non pare, sostanzialmente, vi sia coerenza, né concreta volontà e possibilità di aprire davvero a giovani, nel rispetto di princìpi di pari opportunità ed efficienza.
Chi scrive resta convinto che il sistema dovrebbe essere profondamente diverso (come qui esemplificato).
E si resta convinti che l’inserimento nella PA sia opportuno avvenga mediante contratti di lavoro a causa mista, con periodi di formazione obbligatoria: apprendistato e contratti di formazione e lavoro.
Il primo, non è mai decollato, per la decennale assenza di decreti attuativi che avrebbero dovuto disciplinarlo nella PA.
Il contratto di formazione e lavoro esiste da decenni, ma è pochissimo utilizzato. Ah, piccola annotazione; modalità semplificate di reclutamento possono avere un senso, proprio se l’assunzione sia abbinata a finalità anche formative, che completino il percorso, ad un tempo formativo e selettivo. Infatti sia l’apprendistato, sia il contratto di formazione e lavoro possono concludersi con una valutazione negativa post formazione, con la risoluzione del rapporto di lavoro. La disciplina del contratto di formazione e lavoro, negli enti locali, prevede da 21 anni (ventuno) la possibilità di concorsi veloci e semplificati: lo stabilisce l’articolo 3, comma 3, del Ccnl 14.9.2000. Forse, invece di inventare riforme di dubbia funzionalità, sarebbe il caso anche di rileggersi le regole vigenti.
Nessun commento:
Posta un commento