martedì 23 novembre 2021

Appalti, l'iscrizione alla camera di commercio non può essere requisito necessario per tutti gli operatori economici

La sentenza TAR Puglia, Lecce , Sez. I, del 15 novembre 2021, n.1635 è importantissima e molto chiara. Evidenzia un elemento che sfugge spesso agli operatori: l’iscrizione alla camera di commercio non può essere considerato come requisito obbligatorio che qualifica gli operatori economici.

Non si deve dimenticare quanto prevede l’articolo 3, comma 1, lettera p), del d.lgs 50/2016, ai sensi del quale “operatore economico” è “una persona fisica o giuridica, un ente pubblico, un raggruppamento di tali persone o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, che offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi”.

Non tutti tali soggetti possono essere tenuti all’iscrizione alla camera di commercio, specie se la loro attività nel mercato risulti non costante e tale da non poterli qualificare come imprenditori secondo la normativa italiana, che, per altro, è recessiva rispetto a quella europea in questo ambito.

L’equivoco trae certamente origine dall’infelice disposizione contenuta nell’articolo 83, comma 3, del d.lgs 50/2016, a mente del quale ai fini della sussistenza dei requisiti di idoneità professionale “i concorrenti alle gare, se cittadini italiani o di altro Stato membro residenti in Italia, devono essere iscritti nel registro della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura o nel registro delle commissioni provinciali per l'artigianato, o presso i competenti ordini professionali”. Ma, tale iscrizione può essere pretesa solo nei confronti dei soggetti che svolgano attività imprenditoriale o professionale continuativa, qualificabili come imprenditori o, appunto, professionisti.

Vi sono, invece, soggetti, come in particolare gli enti del Terzo Settore, che ai sensi della normativa vigente non sono obbligati ad iscriversi al registro delle imprese o al registro economico amministrativo (Rea), ma tenuti, invece, ad iscriversi nei registri speciali previsti dalla particolare normativa cui sono soggetti, dai quali possono evincersi i medesimi elementi di prova del possesso dei requisiti di idoneità evincibili dal registro delle imprese.

E’ per questo che anche l’Anac nella deliberazione 767/2018, ha chiarito la portata della clausola del punto 7.1 del Bando tipo n. 1 (nella parte in cui richiede “l’iscrizione a registri o albi diversi da quelli della Camera di Commercio”), precisando che “la previsione di cui al punto 7.1. lett. b) è da intendersi riferita sia ad abilitazioni specifiche ulteriori (ad es. Albo Nazionale Gestori Ambientali), sia all’iscrizione ad altri registri o albi (ad es. registri regionali/provinciali del volontariato o al registro unico nazionale del Terzo settore), qualora la stazione appaltante, valutato il relativo mercato di riferimento prevede la partecipazione alla gara di quei soggetti ai quali la legislazione vigente non imponga, per l’espletamento dell’attività oggetto di gara, l’iscrizione alla Camera di Commercio”.

Poichè, ancora, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza del 23 dicembre 2009 nella causa n. 305/2008 ha ribadito che la normativa comunitaria deve essere interpretata nel senso che non può essere impedita la partecipazione alle gare di pubblici appalti ai “soggetti che non perseguono preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato”, laddove i servizi oggetto di gara possano essere realizzati da soggetti non perseguenti scopi di lucro e non obbligati all’iscrizione nel registro delle imprese, non v’è alcuna ragione di escluderli dalle gare.

Sul tema, appare una pietra miliare la sentenza del Tar Veneto Sez. I, 26/3/2009 n. 881. Il giudici hanno ritenuto che laddove un bando di gara apra agli enti del terzo settore l’assenza di iscrizione al registro delle imprese, di partita IVA e di posizioni INPS e INAIL attive “non è sufficiente per escludere il carattere imprenditoriale di una ONLUS nell’ambito dell’attività di prestazione di servizi. A tal proposito, la giurisprudenza comunitaria ha affermato che in ambito europeo la nozione di impresa “comprende qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento”, mentre l’attività economica consiste nell’offerta di beni o servizi su un determinato mercato contro retribuzione e con assunzione dei rischi finanziari connessi, anche se non viene perseguito uno scopo di lucro (Corte Giustizia CE, V, 18.6.1998 n. 35; Trib. di I grado CE 4.3.2003 n. 319). La nozione di impresa fornita a livello comunitario ha, pertanto, parametri molto ampi, che prescindono da una particolare fattispecie organizzativa, essendo sufficiente l’esercizio di un’attività economica che sia ricollegabile al dato obiettivo inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro (che riguarda il movente soggettivo che induce l’imprenditore ad esercitare la sua attività): il carattere imprenditoriale dell’attività va, invece, escluso nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito, atteso che non può essere considerata imprenditoriale l’erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti (Cass. Civ. III, 19.6.2008 n. 16612). Il Consiglio di Stato, dal canto suo, ha affermato la sussistenza di una nozione di “impresa” più ampia di quella sottesa all’art. 2082 c.c.: nozione che, “alla luce del principio comunitario dell’effetto utile, non può che sussumere nell’ambito delle attività di impresa, ai fini dell’applicazione della disciplina della concorrenza, a prescindere dalla qualifica formale del soggetto che la svolge, qualsiasi attività di natura economica tale da poter ridurre, anche solamente in potenza, la concorrenza nel mercato. Ai predetti fini possono essere considerate imprese tutti i soggetti, comunque strutturati ed organizzati, che compiano atti a contenuto economico idonei a restringere la concorrenza” (CdS, VI, 27.6.2005 n. 3408)”.

Il Consiglio di stato ha poi confermato l’assunto del Tar Veneto, con l’altrettanto importante sentenza della Sezione V, 26/8/2010, n. 5956/2010: “Anche di recente, con sentenza della Corte di Giustizia CE sez. IV 23 dicembre 2009 . C 305/08, è stato ribadito che le disposizioni della direttiva 2004/08 devono essere interpretate “nel senso che consentono a soggetti che non perseguono preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato… di partecipare ad un appalto pubblico di servizi” e che tale direttiva osta all'interpretazione di una normativa nazionale che vieti a soggetti che “non perseguono preminente scopo di lucro di partecipare ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico”.

Pertanto, l'assenza di fini di lucro non esclude che le associazioni di volontariato possano esercitare un'attività economica, né rileva la carenza di iscrizione alla Camera di Commercio o al registro delle imprese, che non costituiscono requisito indefettibile di partecipazione alle gare di appalto (C.S. 4236/09) né, nella fattispecie, ciò era espressamente stabilito dalle norme di gara.

Vanno, di conseguenza, confermate le motivazioni di reiezione del giudice di primo grado”.

1 commento:

  1. Lo stesso vale per il possesso della PIVA, di cui il Codice Appalti per fortuna non parla, ma qualche PA esige anche da lavoratori autonomi O-C-C-A-S-I-O-N-A-L-I (non tenuti per legge ad avere la PIVA !!!), ma guarda un po'!!!

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