C’è ancora chi crede nella performance, nella “reingegnerizzazione” e si fa affascinare dal “valore pubblico”. Le supercazzole, insomma, funzionano.
Sarà interessante vedere come un ente locale sarà in grado non solo di programmare, ma soprattutto di misurare il “valore pubblico” in termini di “l'incremento del benessere economico, sociale, educativo, assistenziale, ambientale, per i cittadini e il tessuto produttivo”. Mancano totalmente, infatti, rilevazioni così pulviscolari da parte di enti (Istat, in primo luogo), capaci di evidenziare se in un comune il reddito pro-capite sia salito o sceso, se il fatturato delle imprese ivi localizzate aumenti, se il disagio sociale (che a sua volta andrebbe definito) sia ridotto, se il livello di studio si elevi, se l’ambiente risulti maggiormente tutelato. Per altro, settori come scuola, ambiente, economia e lavoro sono totalmente o in grandissima parte al di là di competenze e funzioni locali. Certo, i comuni realizzano l’edilizia scolastica, che aiuta l’educazione, ma il valore pubblico dell’educazione lo garantisce il Ministero dell’istruzione; certo, i comuni hanno competenze sull’ambiente, ma estremamente residuali, visto che è sono il Ministero, le regioni e le province a curarsene in via principale; le politiche del lavoro, poi, sono totalmente al di là delle competenze locali, così come le ricadute economiche dell’azione di governo sono estremamente astratte e labili, e difficilissime da riconnettere all’esercizio delle funzioni locali. Solo l’azione sociale appare misurabile, anche mediante strumenti di diretta gestione degli enti, in modo immediato e locale. Ma, ci si crogiola continuando ad inventare strumenti di programmazione sempre più barocchi e bizantini al tempo stesso, perchè il significante, il piano e la sua struttura, sono ormai prevaleti sul significato, la gestione ed i suoi effetti.
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