giovedì 3 novembre 2022

Il grande caos del decreto anti rave

 Mettendo a confronto gli articoli 17 della Costituzione, l’articolo 633 del codice penale e il nuovo articolo 434-bis del codice penale, introdotto dal d.l. 162/2022, emergono visivamente i problemi di tenuta costituzionale della recente norma.

Costituzione

Art. 633 Codice Penale

Art 434-bis codice penale

Art. 17.

I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi.


Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.


Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.

Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da 103 euro a 1.032 euro.


Si applica la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2.064 e si procede d'ufficio se il fatto è commesso da più di cinque persone o se il fatto è commesso da persona palesemente armata.

1. Dopo l'articolo 434 del codice penale e' inserito il seguente:

«Art. 434-bis (Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica). - L'invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica.


Chiunque organizza o promuove l'invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000.


Per il solo fatto di partecipare all'invasione la pena è diminuita.


E' sempre ordinata la confisca ai sensi dell'articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonchè di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell'occupazione.».


2. All'articolo 4, comma 1, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo la lettera i-ter), e' aggiunta la seguente:

«i-quater) ai soggetti indiziati del delitto di cui all'articolo 434-bis del codice penale.».


3. Le disposizioni del presente articolo si applicano dal giorno successivo a quello della pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

La disposizione costituzionale fonda un diritto generale: i raduni pacifici e senza armi, sono sempre ammessi.

E possono svolgersi in luogo aperto al pubblico, sia pubblico, sia privato, senza dover chiedere nemmeno un permesso. Ovviamente, il permesso di cui si parla è quello del Governo o dell’autorità pubblica.

La Costituzione non afferma di certo che il raduno possa avvenire su immobili o terreni di proprietà di soggetti diversi dagli organizzatori: bastano le ordinarie regole del codice civile a disciplinare la proprietà ed il possesso. In effetti, il reato previsto dall’articolo 633 rafforza il sistema di tutela della proprietà, considerando come delitto l’invasione, cioè l’accesso non consentito dal legittimo proprietario, arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati. Ma, il reato si determina se il fine sia:

1) occuparli: cioè, utilizzarli per un tempo lungo, impedendo al proprietario di esercitare i propri diritti di prorietà;

2) o di trarne altrimenti profitto: cioè, utilizzarli, ovviamente senza il consenso del proprietario, per fini di lucro di chi li occupa, a detrimento sempre dell’esercizio dei diritti del proprietario.

In ogni caso, la Costituzione prevede l’obbligo, nel caso di riunioni in luogo pubblico, di dare preavviso alle autorità: da qui tutta la connessa disciplina del testo unico sulle leggi in materia di pubblica sicurezza, finalizzate ad apprestare tutte le misure necessarie per uno svolgimento senza danni a persone o cose.

Le autorità pubbliche possono vietare le riunoni, dispone la Costituzione, solo “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

Dunque, il potere di vietare le riunioni o i raduni, è condizionato dall’esercizio di una discrezionalità tecnica, che porti all’evidenziazione di una motivazione, da esplicitare ovviamente in modo approfondito, contenente le ragioni alla base del divieto della riunione. Motivazione che però può legittimamente fondarsi solo su motivi di sicurezza o incolumità pubblica, ma “comprovati”.

La Costituzione intende impedire che l’autorità pubblica impedisca l’esercizio del diritto di riunirsi per valutazioni non espresse (occorre la motivazione) o di opportunità. Infatti, non si può sindacare il merito dell’iniziativa dei cittadini di riunirsi, ma si può solo impedire che la riunione si svolga quando dalle verifiche esclusivamente tecniche sia possibile, nella motivazione, comprovare, cioè dimostrare su un piano tecnico in modo non controvertibile, l’esistenza di pericoli per la sicurezza o incolumità pubblica.

L’articolo 633 del codice penale tocca di lasco la previsione costituzionale. In effetti, la disciplina dell’articolo 633 non riguarda le riunioni o i radini, perché guarda al delitto costituente nell’occupazione arbitraria e non consentita di immobili pubblici o privati, per occuparli o trarne profitto. L’invasione non discende né da uno motivo specifico (il raduno), né dal numero degli invasori: nella logica dell’articolo 633 essa dipende dall’utilizzo arbitrario di una proprietà altrui. E il reato ivi disciplinato si commette esclusivamente per il fatto dell’impedimento al libero esercizio del diritto di proprietà al proprietario.

L’articolo 434-bis del codice penale, invece, va ad impattare anche con la previsione dell’articolo 17 della Costituzione.

In primo luogo, non si capisce la ragione per la quale il Legislatore nella sostanza duplichi la disciplina di un reato già esistente. Quanto meno, poteva rivelarsi opportuno modificare l’articolo 633 del codice penale, invece di introdurre un articolo nuovo, che ne disciplina la medesima materia. Sul piano della tecnica legislativa questo è esattamente il metodo per creare confusione operativa ed interpretativa, aumentando il volume delle norme, senza coordinarle, così dando vita esattamente all’effetto “gride manzoniane”.

In ogni caso, il nuovo articolo introduce una serie di elementi di novità, mal scritti (si guardi alla difficoltà di definire l’invasione: praticamente si ripetono concetti e parole, senza riuscire ad indicare esattamente il significato del lemma) ed in contrasto chiaro col sistema complessivo:

  1. si introduce l’invasione finalizzata a raduni pericolosi per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica. Questo sarebbe il tratto distintivo rispetto all’invasione di cui all’articolo 633. Ma, esso è scritto in modo tale da “coprire” anche la fattispecie dell’invasione finalizzata al raduno. Dunque, non si comprende la ragione del nuovo articolo del codice penale;

  2. non qualsiasi raduno è oggetto della norma, ma solo quelli pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica. Anche in questo caso, il tutto è già di per sé compreso nella disciplina vigente, perché le autorizzazioni richieste dal Tulps in fondo a questo servono, sebbene la specificazione dell’ordine pubblico introduce quegli elementi di eccessiva discrezionalità, fino all’arbitrio, del potere pubblico, che analizzeremo di seguito;

  3. il “raduno” non coincide col rave party, che non è mai esplicitamente menzionato. Un raduno è un raduno e come tale è una riunione di cittadini, qualunque ne sia lo scopo: è, quindi, attratto necessariamente nell’articolo 17 della Costituzione. Per questo l’articolo 434-bis va guardato allo scopo di verificare la sua legittimità costituzionale;

  4. nella sua prima parte, la definizione proposta del reato di invasione a scopo di raduno, ripete nella sostanza la previsione dell’articolo 633: “invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati”;

  5. poi, prosegue introducendo un elemento oggettivo: il reato si commette, in primo luogo, se l’invasione sia portata avanti “da un numero di persone superiore a cinquanta”. Salta all’occhio l’incoerenza di questa norma col sistema. Per un verso, se si effettua un raduno pericoloso per l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la salute pubblica composto da 49 persone, il reato non si commette: quindi, la tutela della norma è parziale e non uniforme. In secondo luogo, si apre una contraddizione con l’articolo 633 del codice penale, che punisce l’invasione qualunque ne sia il fine e qualunque sia il numero di persone che la commettono. A questo punto, diventa complicato esercitare l’accusa, perché è complicato distinguere le due fattispecie di reato e si rischia di attivare un processo alle intenzioni: l’invasione è quella “pura” di cui all’articolo 633, o quella finalizzata a raduno di cui all’articolo 434-bis?;

  6. la definizione del reato, poi, prosegue con la finalizzazione dell’invasione all’organizzazione di un raduno (infatti, le pene sono in primo luogo rivolte a chi organizzi il raduno);

  7. e infine si conclude con la specificazione che la fattispecie di reato si completa se dal raduno “può derivare un pericolo per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica”. Questo è l’elemento di evidente criticità per la compatibilità della norma con l’articolo 17 della Costituzione. Infatti, la norma costituzionale, come visto, impone una motivazione tecnica che provi in modo incontrovertibile l’esistenza di un pericolo che non si può evitare se non negando l’autorizzazione. L’articolo 434-bis, invece, disciplina una fattispecie di reato in parte in bianco: il completamento della fattispecie è lasciato alla completa discrezionalità, ma diremmo arbitrio, dell’autorità pubblica, che non deve comprovare l’esistenza del pericolo, ma può limitarsi a ritenere che vi sia un pericolo anche solo potenziale. E non si capisce, in assenza di un obbligo di motivazione connesso alla realtà fattuale ed empirica, ma legato invece ad una valutazione del tutto connessa ad un’opinione, come si possa eventualmente agire in giudizio avverso la valutazione di merito sul potenziale pericolo. In sostanza, il completamento della fattispecie di reato viene rimesso totalmente alla sfera di volontà dell’autorità pubblica.

Nei giorni successivi alla promulgazione del decreto in molti si sono concentrati su due temi, affrontati in modo fuorviante:

  • la “centralità” del Parlamento che può modificare la norma, correggendola;

  • la funzione di controllo della costituzionalità da parte del Presidente della Repubblica.

Sono due temi impostati falsamente. La centralità del Parlamento non è certo garantita dal suo necessario intervento per convertire i decreti del Governo in legge.

La centralità del Parlamento è da troppo tempo compressa per almeno due elementi:

  1. la circostanza che la grandissima parte delle iniziative normative non sia esercitata dal Parlamento, ma dal Governo, appunto con un diluvio di decreti-legge, che poi intasano i lavori parlamentari connessi alle leggi di conversione;

  2. l’ulteriore circostanza che, spessissimo, l’intervento del Parlamento a correzione e/o modifica dei decreti legge è limitato dalla frequentissima posizione della questione di fiducia.

In ogni caso, il tentativo eventuale di recuperare la centralità del Parlamento (nel caso di specie, però, sia consentito di affermare che si tratti solo di una scusa) non giustifica il procedere per tentativi, cioè con decreti legge scritti frettolosamente e male, contando poi sull’eventuale correzione. Compito del Legislatore, cioè della fonte di produzione delle leggi, è scriverle sempre in modo corretto, efficace, comprensibile, attuabile, coerente con l’ordinamento. Sempre.

In quanto alla presunta funzione di controllo di legittimità costituzionale delle leggi da parte del Presidente della Repubblica, basta leggere con attenzione la Costituzione per comprendere che tale funzione assolutamente non esiste.

Il Presidente della Repubblica non può essere configurato come organo di controllo preventivo delle leggi, perché se così fosse l’autonomia politica del Parlamento verrebbe irrimediabilmente compromessa.

Infatti, il sindacato sulla costituzionalità delle leggi è solo e soltanto successivo all’iniziativa politica del Parlamento, cioè attivabile solo quando la legge è promulgata e vigente, e si svolge nei modi e nei termini previsti per il giudizio di legittimità costituzionale, che è competenza esclusiva della Corte costituzionale.

Il Presidente della Repubblica non dispone di poteri di controllo. Il potere di chiedere una nuova stesura dei decreti-legge o una nuova deliberazione alle camere è usato, correttamente, con estrema parsimonia, perché il rischio di sconfinare nell’ingerenza sulla libera iniziativa politica della maggioranza è altissimo.

In ogni caso, si tratta di un’opera di moral suasion e non dell’esercizio di un potere di controllo. Infatti, Governo e Parlamento restano perfettamente liberi di confermare in toto l’iniziativa normativa.

D’altra parte, la circostanza che il Presidente della Repubblica promulghi un decreto legge o una legge, non attribuisce né all’uno, né all’altra una sorta di “bollino blu” va garanzia della costituzionalità. Se così non fosse, allora la Corte costituzionale non dichiarerebbe, come invece avviene da anni, da sempre, l’illegittimità costituzionale delle leggi: e si tratta di leggi tutte, senza eccezione alcuna, promulgate dal Presidente della Repubblica.

Infine qualche parola sulla necessità e urgenza. L'urgenza, qualcuno ha detto, è una valutazione di merito che il Governo assume, anche in considerazione dell'attualità e di questioni che, sulla base dell'indirizzo politico e delle indicazioni dell'elettorato, come rilevanti.

Ma, i decreti legge sono legittimati da un'inscindibile connessione: l'urgenza deve camminare con la necessità e viceversa, non sono requisiti alternativi e ciascuno autosufficiente. L'urgenza, allora, non sembra facile individuarla: i rave party non sono certo all'ordine del giorno e, per altro, come già rilevato la norma è scritta in modo tale da ricomprendere ogni possibile raduno, col rischio di far considerare urgente ogni intervento anche per pic nic (che succede col classico pranzo fuori porta di Pasquetta: al parco della Favorita a Palermo, tutti in galera?). La necessità? Pare meno ancora sussistente, proprio perchè già esistono molteplici norme a contro le invasioni, le occupazioni, a prevenzione dei rischi delle manifestazioni e a tutela della proprietà privata (e pubblica).

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