giovedì 24 novembre 2022

Niente Reddito di cittadinanza a chi non ha un diploma? Le proposte del commissario Javert

 L'uscita del Ministro dell'istruzione e MERITO,  secondo il quale non si deve assegnare il reddito di cittadinanza a chi non abbia un diploma, dà purtroppo la conferma dell'accezione fuorviante che di "merito" si intendeva dare.

Il problema non è tanto riconoscere, come è giusto, ai meritevoli incentivi e possibilità, quanto comprendere quel che si prospetta per i non meritevoli.

Ora, posto che non tutti hanno la capacità precoce di Mozart o il genio di un premio Nobel, sembra vi siano le premesse per assistere ad una suddivisione polarizzata della società: chi meriti il "merito" avrà diritti di serie A; chi si distingua per il de-merito scende in serie B.

La proposta del Ministro è davvero bizzarra (cit.). Parte dall'idea che chi non abbia conseguito il titolo di studio "violi la legge". Lo leggiamo nell'articolo pubblicato su La Stampa del 24.11.2022 a firma di Flavia Amabile "Valditara: "Niente Reddito a chi non termina le scuole"", ove si riporta il pensiero del Ministro, secondo il quale si deve prevedere "l'obbligo di completare il percorso scolastico per chi lo abbia illegalmente interrotto o un percorso di formazione professionale nel caso di persone con titolo di studio superiore ma non occupate nè impegnate in aggiornamenti formativi, pena in entrambi i casi la perdita del reddito, o dell'eventuale misura assistenziale che dal 2024 lo sostituirà".

In sostanza, si introduce anche il "merito" per i sussidi. Non basta, cioè, come nel caso del Reddito di Cittadinanza (o qualunque altro tipo di sostegno pubblico all'indigenza) essere sotto la soglia della povertà per ottenere un aiuto, ma occorre essere "meritevole" dell'aiuto.

Una spinta a non considerare la situazione soggettiva della persona ed il perchè sia scaturita, ma a guardare presupposti e condizioni. Lo Stato aiuta il povero, sì, ma "solo se" consegua un titolo di studio o si formi. Almeno fino ad oggi.

Domani, si potrà pensare di imporre (cosa per altro giù in parte prevista dal Reddito di Cittadinanza, con i PUC, Progetti Utili alla Collettività), il lavoro coatto, oltre alla formazione coatta o anche l'obbligo di ripagare i debiti, possedere un'abitazione, pagare regolarmente e senza morosità le bollette, disporre di un mezzo di trasporto, come presupposto, pena decadenza, per ottenere un aiuto.

L'idea di aiutare finanziariamente e anche nella ricerca di lavoro solo chi non abbia un diploma è ontologicamente contraria a qualsiasi principio di efficienza. E' evidente che la mancanza del titolo di studio è con-causa ed al tempo stesso effetto di una condizione familiare, sociale, psicologica, che porti la persona nella soglia di indigenza.

Sarebbe il caso di curarsi molto approfonditamente del problema del tasso di dispersione scolastica troppo elevato, o delle carenze strutturali di troppe scuole dimenticate delle periferie, delle irrisolte difficoltà di reclutamento di un corpo docente che possa stabilmente seguire i ragazzi, di metodologie di studio capaci di coinvolgerli ed interessarli, di un tempo prolungato che possa offrire opportunità di studio ed approfondimento, ma anche sport e socialità. Tutte esigenze che si rivelano maggiormente indispensabili nei quartieri difficili ove si concentrano povertà, condizioni sociali disagiate, criminalità, assenza di strutture e servizi sociali.

Pensare di condizionare un aiuto alla povertà a chi per un insieme di ragioni, soggettive ed oggettive, abbia deciso, in maniera per altro certamente sofferta, di non completare o proseguire gli studi, implica negare l'utilità stessa dell'aiuto.

La condizione da guardare dovrebbe essere quella oggettiva della povertà (oltre, ovviamente, alla fedina penale pulita).

E l'aiuto dovrebbe mirare, prima ancora che alla velleità di un inserimento immediato nel lavoro oggettivamente difficilissimo se non in possibile anche a causa dei titoli di studio, ad accompagnare la persona proprio verso la reintroduzione nella scuola o verso l'acquisizione di qualifiche professionali.

Decidere di non attribuire sostegni a chi non li "meriti" è come scegliere di non curare chi non se lo può permettere. Ma, lasciare senza cure troppe persone, accentua i costi del sistema ed i rischi di diffusione delle malattie. Così come creare ghetti e settorializzare le persone rischia di diffondere il disagio, il basso reddito, la povertà.

Forse, si vuole proprio mirare al lavoro coatto, mettere chi "non merita" nella condizione di dover accettare lavoro mal pagato, occasionale, non tutelato e "grigio". Ma, questo è quel che accade da troppo tempo, ad esempio, in settori come l'agricoltura, ancora incapaci di eliminare definitivamente la piaga del caporalato.

Un conto è mirare l'aiuto finanziario alla formazione, cucendo addosso del beneficiato un "assegno" di sostegno che paghi non solo le esigenze primarie, ma anche appunto l'accompagnamento verso titoli e qualifiche utili per un futuro lavoro (la formazione costa e costa anche tanto). Un conto è pretendere che il titolo di studio possa essere requisito per accedere ad aiuti finanziari. Purtroppo, non si tratta di concorsi pubblici, per titoli ed esami, ma di scegliere quali interventi allestire per fasce di popolazione, per altro in costante aumento, che rischiano di restare ai margini, trainando consumi ed economia sempre più verso il basso.

Vestire i panni del commissario Javert che non riconosce possibilità di redenzione per il "miserabile" Jean Valjean (il povero con titoli di studio insufficienti), non porta da nessuna parte.

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