Si parla tanto della presunta "paura della firma", ma per molti, nella PA, nemmeno è chiaro cosa significhi sottoscrivere un documento.
Prova ne sia la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, 8.11.2021, n. 7419. La pronuncia riguarda l'incompatibilità tra il ruolo di dirigente dell'ufficio che approva gli atti di una gara e la funzione di presidente della medesima gara, disposta (sciaguratamente) dall'articolo 77 , comma 4, del d.lgs 50/2016.
L'ente resistente, per evidenziare la legittimità del proprio operato, tra le altre argomentazioni afferma che "non sussisteva la violazione dell’art. 74, comma 4, D. Lgs. n. 50/16, tenuto conto che il direttore del (…) non aveva predisposto gli atti di gara, limitandosi ad indire la procedura e a sottoscrivere gli atti redatti da altri soggetti, senza mai definirne il relativo contenuto" (!).
Insomma, si avanza - in giudizio amministrativo... - la teoria della firma "all'insaputa": il soggetto che firma, secondo questa visione tanto risibile e assurda, quanto diffusa, resterebbe estraneo al contenuto degli atti sottoscritti, quasi fosse poco più che un "visto", un timbro o una mera formalità per ammantare con la competenza formale di un organo l'imputazione formale della decisione a quell'organo, restando ferma, invece, ed esclusiva, la responsabilità del provvedimento a carico non di chi firma ma di chi "predispone".
E' una modalità di intendere il lavoro sciatta, negligente, disastrosa, che certifica la visione della funzione della dirigenza come una sorta di carica senatoriale da sinecura: il dirigente benevolmente guarda il lavoro degli altri, lo benedice con l'augusta firma di atti che nemmeno conosce, tanto per far apparire che provengono dall'organo competente, ma con irresponsabilità soggettiva.
Dietro questa visuale stanno moltissime delle imperdonabili inefficienze che affliggono l'amministrazione, tra le quali la convinzione che le posizioni di vertice siano una sorta di rendita, una vincita alla lotteria, che porta ogni tanto al dovere di sottoscrivere qualcosa, senza nemmeno sapere cosa.
Il Consiglio di stato, ovviamente, rigetta simile deprimente modo di vedere e dà la sveglia: "deve evidenziarsi come la sottoscrizione svolga una funzione identificativa ed impegnativa, consentendo di individuare l’autore dell’atto e imputando in capo a questi la responsabilità derivante dalla sua adozione. Per l’effetto, attraverso la sottoscrizione, l’organo procedente non si limita a recepire l’altrui volontà dispositiva, ma, facendo proprio il lavoro preparatorio svolto dall’Ufficio, manifesta in via immediata e diretta la volontà provvedimentale dell’Amministrazione di appartenenza, attuando un definito assetto di interessi sul piano sostanziale. Non potrebbe, dunque, ritenersi che il Direttore (…), attraverso la sottoscrizione, non abbia partecipato alla formazione sostanziale degli atti di indizione e di disciplina della gara, bensì si sia limitato ad approvare le risultanze dell’altrui attività: il Direttore non svolgeva, infatti, una mera attività di controllo dell’altrui attività provvedimentale – nel qual caso, effettivamente, sarebbe stato possibile distinguere sub specie iuris la formazione dell’atto e l’approvazione di un atto ad altri imputabile, già perfetto nei suoi elementi costitutivi -, bensì ha manifestato, quale organo di amministrazione attiva, la volontà dispositiva della stazione appaltante, prendendo atto dell’attività istruttoria svolta dall’Ufficio, condividendone le risultanze e adottando la decisione conclusiva, in tale modo assumendo sia la paternità del contenuto degli atti sottoscritti, allo stesso direttamente riferibili, sia, per l’effetto, la responsabilità in ordine agli effetti giuridici in concreto prodotti".
Oggettivamente, cascano le braccia. Ma, occorre una sentenza del Consiglio di stato per comprendere il ruolo e le funzioni di un preposto al vertice di una struttura e le responsabilità connesse alla firma?
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