domenica 30 settembre 2012

Fiducia? Non dei politici verso i loro staff, ma dei cittadini verso le istituzioni, questo serve

 

Quasi 600 milioni di spese per consulenti e collaborazioni. Questo il conto che nel 2010 hanno presentato le regioni al bilancio pubblico.

Dieci volte di più di quanto gli uffici studi parlamentari avevano stimato si sarebbe risparmiato con la manovra di riduzione delle province col d.l. 401/2012, appena 65 milioni, mai contabilizzati, comunque, negli effetti delle leggi; così come nemmeno un centesimo di risparmio è stato stimato, sempre con riferimento alle province, per il “riordino” previsto dalla “spending review”.

La cifra della spesa complessiva per “consulenze e collaborazioni” è, comunque, decisamente più elevata se si prende a riferimento l’intera pubblica amministrazione: 2,5 miliardi nel 2010, stando al Conto del personale rilevato dalla Ragioneria generale.

C’è da chiedersi se con la perdurante necessità di risanare i conti, a partire dalla riduzione della spesa pubblica, sia possibile immaginare di consentire ancora una spesa così elevata per i consulenti.

La risposta alla domanda è fin troppo ovvia. No. Un Paese che è alla ricerca di risorse per gli ammortizzatori sociali a protezione degli esodati o dei disoccupati, come può ancora consentire un flusso di miliardi di spesa corrente di tale misura? Cui ci sarebbe da aggiungere l’ulteriore spesa, per la verità non stimata, derivante dai costi della “dirigenza a contratto”, cioè dei dirigenti incaricati direttamente dagli organi di governo e preposti, di solito, ai vertici estremi. E, ancora, la spesa per gli staff, segretari, addetti alla comunicazione e altro ancora. A stimare poco, un altro miliardo di spesa di tal fatta è più che plausibile.

Invece di cercare avventurosi riordini di enti previsti dalla Costituzione e molto probabilmente incostituzionali, improduttivi di effetti finanziari, si stenta a credere che un Governo tecnico, chiamato dall’emergenza a ridurre la spesa pubblica in emergenza, trascuri una scelta così ovvia e inevitabile come quella di abolire da subito, con caducazione immediata dei contratti in corso (la ragione della garanzia della tenuta dei conti non può non prevalere sui rapporti privati), tutti questi istituti che consentono di acquisire lavoratori subordinati o autonomi al di fuori dei dipendenti di ruolo.

Per anni, e ancora si continua, si è giustificata questa massa di spesa con la necessità, per i politici, di avere staff “di fiducia”.

Come inevitabile, l’approfondirsi delle indagini (non certo delle inchieste populistiche) sulle regioni evidenzia quanti siano fratelli, sorelle, fidanzati, mogli, mariti, parenti e affini (come diceva il grande Totò), oltre ai tanti “contigui” alla “linea politica”, che hanno beneficiato di questo immane flusso di spesa.

Rimane senza risposta la domanda a un perché semplice: ovvero, perché la segreteria di un amministratore pubblico deve essere composta da “persone di fiducia”? Prendere un appuntamento, archiviare documenti, verbalizzare e supportare cosa ha di così “personale” tanto da richiedere un rapporto connesso non alle professionalità, ma alle caratteristiche individuali dell’incaricato?

La risposta è ovvia. Nulla. Nulla che non possa essere svolto con le medesime caratteristiche di professionalità dai dipendenti di ruolo, già operanti nei ranghi della pubblica amministrazione.

Non ci sarebbe alcun problema, se le risorse pubbliche troppo spesso non fossero sprecate senza alcun controllo. La “persona di fiducia” pare proprio debba essere quella che non vuole e non sa accorgersi della fattura gonfiata, del rimborso ingiustificato, della contrarietà a legge dell’atto, della motivazione inesistente di una scelta, del favoritismo ingiustificabile.

Ci si dimentica che la “fiducia” non debbono averla i politici su “propri uomini” (a meno di non considerare i mandati politici e gli staff una specie di setta), bensì dovrebbero riporla i cittadini sui governanti e gli uffici. Fiducia nella capacità di conoscere, affrontare e risolvere i problemi, a partire dall’obbligo di utilizzare le risorse di personale esistenti, senza ricorrere ad incarichi esterni, costosissimi.

I politici, se hanno bisogno di delineare linee strategiche o colloqui di delicatezza istituzionale, debbono poter contare sull’obbligo di riservatezza dei dipendenti pubblici. Se hanno da fare incontri solo politici, non dovrebbero nemmeno avvalersi degli staff pubblici, ma utilizzare gli apparati di partito. Quegli apparati che si ha troppo la sensazione siano stati sostituiti, visti i costi, dagli staff, dai consulenti e dai dirigenti esterni.

Al costo di miliardi di euro, vicini a quella quantità di miliardi che risolverebbe il gravissimo ed irrisolto vulnus degli esodati.

Luigi Oliveri

 

 

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