domenica 18 novembre 2012

Legge #anticorruzione, ennesime modifiche alla 241/1990

La legge 190/2012 introduce l’ennesimo restyling alla legge sul procedimento amministrativo, con alcuni interventi miranti a puntellare l’impianto della norma così da rendere meno attaccabile l’attività amministrativa da tentazioni di reati di corruzione.

Prosegue senza sosta, dunque, l’opera di continua modifica della legge 241/1990, rimasta senza pace a partire dalla prima sostanziosa riforma del 2005, per effetto di interventi ormai periodici e alluvionali.

Estensione ai privati dei principi. La prima modifica riguarda l’articolo 1. Il nuovo testo del comma 1-ter, è il seguente: “I soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princípi di cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge”.

In questo modo i principi di trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa sono imposti anche ai soggetti privati, come società partecipate e, in ogni caso, qualsiasi soggetto dotato di personalità giuridica di diritto privato, che in virtù di qualsiasi titolo esercitino attività amministrative.

Dunque, l’applicazione dei principi della legge 241/1990 non è condizionata dalla soggettività giuridica di chi svolge funzioni amministrative, bensì dalla circostanza oggettiva che un determinato soggetto sia appunto competente a svolgere attività amministrative.

Il legislatore riesce così ad estendere ai cittadini le garanzie di partecipazione e trasparenza previste dalla legge 241/1990, in una tipologia di gestione dell’attività amministrativa molto complessa, in cui concorrono a svolgere le funzioni soggetti dalle più svariate caratteristiche giuridiche.

Chiusura del procedimento in forma semplificata. Una modifica di rilievo riguarda l’articolo 2, comma 1, della legge, il cui nuovo testo è il seguente: “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”.

La novellazione fornisce gli strumenti per la corretta attuazione dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, anche laddove sia negativo in relazione, in particolare, all’assoluta mancanza dei presupposti per lo stesso avvio della stessa istruttoria.

Molte amministrazioni commettono un duplice errore. Da un lato, in presenza di istanze carenti dei presupposti necessari per aprire la trattazione del procedimento si limitano a non darvi semplicemente corso, senza adottare alcun provvedimento e spesso senza nemmeno comunicarlo. E’ una violazione sostanziale alle disposizioni della legge 241/1990 la quale, al contrario, come stabilisce in modo inequivocabile l’articolo 2, comma 1, sin da prima della sua novellazione, pretende che ad ogni istanza corrisponda un provvedimento finale. Vi deve essere, cioè, un rapporto di 1 a 1 tra istanze e provvedimenti finali (quale che sia il loro contenuto sostanziale).

Dall’altro lato, alcune altre amministrazioni per giungere alla reiezione della domanda avviano vere e proprie attività amministrative in piena regola, con pienezza di istruttoria ed attività connesse ed impiego di tempi ed energie.

Il nuovo testo dell’articolo 2, comma 1, individua una strada diversa: la conclusione immediata del procedimento praticamente coincidente con la sua apertura e la semplice analisi della sussistenza dei presupposti stessi per poter attivare un’approfondita attività istruttoria sul merito.

In conseguenza della ricezione di istanze, le amministrazioni debbono affidare ai responsabili del procedimento un’analisi immediata della sussistenza dei requisiti di:

a)      ricevibilità,

b)      ammissibilità,

c)      procedibilità,

d)      fondatezza

da svolgere entro un termine sufficientemente contenuto, non oltre 8 giorni dal ricevimento, per poter dare modo, laddove il procedimento debba andare oltre, di esplicare in modo completo l’istruttoria sul merito.

La novella si presenta immediatamente piuttosto complessa e si preannuncia oggetto di contenzioso e anni di approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali. Si nota, infatti, che il legislatore non si è lontanamente curato di definire i quattro requisiti elencati prima, alla base della delibazione semplificata per il rilascio di un provvedimento a sua volta in forma semplificata di reiezione dell’istanza.

Rifacendosi in generale alle definizioni reperibili nella normativa codicistica dei procedimenti giurisdizionali, si possono qualificare la ricevibilità, l’ammissibilità e la procedibilità alla stregua di presupposti procedimentali la cui assenza consente il rigetto della domanda non per valutazioni di merito, ma per l’impossibilità di farla valere.

L’irricevibilità consiste nell’assoluta carenza della possibilità stessa di ricevere l’istanza, ad esempio per assoluta carenza di competenza da parte dell’ente (non così se incompetente è l’ufficio dell’amministrazione competente: l’ufficio ha il dovere di trasmettere gli atti all’organizzazione competente).

E’ bene chiarire che irricevibilità non significa divieto o possibilità per l’ente o l’ufficio di nemmeno protocollare l’istanza e, dunque, non valutarla.

La novellazione introdotta dalla legge 190/2012 si incastra pur sempre nella norma che impone di concludere ogni provvedimento con un provvedimento espresso, ma la amplia permettendo un esame semplificato limitato ai presupposti fondamentali per la stessa apertura del procedimento, che deve comunque concludersi con un provvedimento, sia pure in forma semplificata. Dunque, tutte le istanze debbono essere protocollate ed esaminate. L’irricevibilità è solo una delle motivazioni, uno dei presupposti di fatto che consentono di rigettare l’istanza senza entrare nella fase di istruttoria di merito.

L’inammissibilità può essere considerata la mancanza assoluta dei requisiti soggettivi che la norma pretende in capo all’istante, come la carenza di interesse ad agire o di qualificazione giuridica.

L’improcedibilità, ancora, è una ragione ostativa all’avvio del procedimento, causata dall’omissione di un’attività esterna o di un’azione oggettiva obbligatoriamente richieste dalla legge all’istante (mancata effettuazione di un tentativo di conciliazione, violazione dei termini entro i quali depositare atti).

Molto più problematico è il quarto presupposto, l’infondatezza. In questo caso, infatti, non si determina il rigetto della domanda per l’assenza di un presupposto finalizzato all’avvio dell’istruttoria di merito, come nei tre casi precedenti. L’assenza della fondatezza è necessariamente rilevata sulla base di un’analisi non solo di fatti e presupposti, ma anche degli elementi di diritto e del merito.

L’infondatezza, dunque, presuppone comunque un’istruttoria estremamente snella, ma che in ogni caso deve dare conto non solo di fattori oggettivi o esterni, bensì anche di elementi intrinsechi al merito dell’istanza.

L’infondatezza deve, però, emergere in modo evidente: vi deve essere un punto di diritto o di merito risolutivo, manifesto, che rende inutile proseguire l’istruttoria oltre.

Ovviamente quest’ultimo strumento di chiusura del procedimento in forma semplificata è il più delicato in assoluto e quello che maggiormente si potrà prestare a contestazioni e ricorsi.

Il legislatore non ha chiarito, nel disciplinare la conclusione espressa in forma semplificata del procedimento amministrativo, se la semplificazione procedurale riguardi solo la fase istruttoria o l’intera sequenza procedimentale.

Il testo della norma lascia propendere per la sola semplificazione del provvedimento. Il che significa che:

a)      occorre inviare in ogni caso la comunicazione di avvio del procedimento;

b)      laddove la delibazione semplificata induca a ritenere di rigettare l’istanza per uno dei quattro presupposti visti sopra, occorre comunque inviare la comunicazione del preavviso di rigetto, ai sensi dell’articolo 10-bis.

A ben vedere, dunque, la semplificazione operativa non appare così efficace, a meno che non si ritenga, nell’approfondimento giurisprudenziale, che il fine semplificatorio prevalga anche sulla procedura, sì da considerare le amministrazioni non tenute a questi adempimenti procedurali.

Conflitto di interessi del responsabile del procedimento e dei dirigenti. L’articolo 1, comma 41, della legge 190/2012 introduce un nuovo articolo 6-bis: “Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.

Viene codificata come disposizione di legge un’ovvia norma che avrebbe dovuto da sempre trovare il suo posto nei codici di comportamento ed in ogni piano interno posto a garantire l’imparzialità e la trasparenza.

Si tratta di un dovere di astensione assoluto, che coinvolge non soltanto la fase decisoria, ma anche quella istruttoria (valutazioni tecniche ed atti endoprocedimentali) e tutti i soggetti comunque chiamati anche ad esprimere solo pareri.

Il dovere non è solo di natura passiva, ma anche attiva: ciascuno dei soggetti coinvolti, responsabile del procedimento e dirigente o qualsiasi altro soggetto titolare del potere decisionale debbono segnalare la situazione anche solo eventuale di conflitto di interessi, in modo che l’amministrazione possa adottare per tempo strumenti per sostituirli.

Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento. Modificato anche l’articolo 11, comma 2 della legge 241/1990:“Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Gli accordi di cui al presente articolo devono essere motivati ai sensi dell’articolo 3”.

Come è noto l’articolo 11 della legge 241/1990 (uno dei meno attuati) consente, accogliendo osservazioni e proposte presentate a norma dell’articolo 10, l’amministrazione procedente “può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo”.

Per quanto si tratti di accordi di natura privatistica, in particolare quelli che sostituiscono il provvedimento finale, essi scaturiscono comunque da un’attività amministrativa e, dunque, non possono sottrarsi alle regole generali che la disciplinano.

Pertanto, opportunamente la legge 190/2012 specifica che anche gli accordi debbono essere completati dalla motivazione, sulla base della quale le parti hanno stabilito di avvalersi dello strumento consensuale e a specificazione delle ragioni del merito che li caratterizza.

Monitoraggio dei termini. Il controllo dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi fa parte del piano anti-corruzione previsto dalla legge 190/2012 che ha introdotto disposizioni che si aggiungono a quanto già prevede l’articolo 2, commi 9 e seguenti, della legge 241/1990, i quali prevedono responsabilità disciplinari e contabili nei confronti dei dirigenti che non rispettino i termini dei procedimenti, oltre a sistemi sostitutivi nel caso di inerzia.

Dietro il mancato rispetto dei termini dei procedimenti amministrativi possono, in effetti, annidarsi situazioni di corruttela o, comunque, azioni volte a favorire la conclusione di procedimenti con strade privilegiate rispetto ad altri. Col rischio che i procedimenti conclusi prima per “favorire” qualcuno, possano comportare ritardi ingiusti nei confronti degli altri.

Nell’articolo 11 del codice di comportamento allegato ai contratti collettivi di lavoro, è specificato che “nella trattazione delle pratiche egli rispetta l'ordine cronologico e non rifiuta prestazioni a cui sia tenuto motivando genericamente con la quantità di lavoro da svolgere o la mancanza di tempo a disposizione”.

Gli uffici ed i dipendenti, dunque, debbono rispettare la tempistica, secondo l’ordine di ricezione delle istanze o di attivazione delle pratiche, evitando di anticipare i tempi o ritardarli ad arte, allo scopo di suscitare elementi di possibile corruttela.

La legge anticorruzione non solo indica il monitoraggio dei tempi come uno degli elementi costitutivi del piano triennale di prevenzione della corruzione, ma in ogni caso impone alle amministrazioni il controllo periodico del rispetto dei tempi procedimentali, allo scopo di eliminare tempestivamente le anomalie e di esporre i risultati del monitoraggio sul sito web.

I cittadini, in questo modo, potranno contare sulla possibilità di capire il grado generale di puntualità e rispetto dei termini procedimentali.

Le amministrazioni, comunque, dovranno fare ancora di più. La legge le obbliga ad attivare definitivamente sistemi telematici di relazione con i cittadini. Tramite strumenti di identificazione informatica da mettere in azione nel rispetto del codice dell’amministrazione digitale, ciascun cittadino dovrà poter accedere a tutte le informazioni concernenti i procedimenti ed i provvedimenti che lo riguardano. In particolare, il singolo soggetto interessato, potrà verificare lo stato della procedura ed i relativi tempi.

In questo modo, oltre al controllo interno sul rispetto dei tempi, si crea anche un sistema di controllo esterno, generalizzato sul monitoraggio e specifico, invece, per i singoli procedimenti.

Si chiude così il cerchio del sistema di garanzia delle tempistiche procedimentali, innescando una piena trasparenza che dovrebbe costituire un deterrente per la corruzione.

Posta elettronica certificata. La legge 190/2012, all’articolo 1, comma 29, punta nuovamente al rilancio della Pec, obbligando ogni amministrazione pubblica a rendere “noto, tramite il proprio sito web istituzionale, almeno un indirizzo di posta elettronica certificata cui il cittadino possa rivolgersi per trasmettere istanze ai sensi dell'articolo 38 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445, e successive modificazioni, e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo riguardano”.

Il canale di contatto tra cittadini ed amministrazioni, a meno che non siano messi a punto sistemi di accesso diretto in visualizzazione ai fascicoli elettronici gestiti in modo informatico, dovrà, dunque, essere, la Pec. Attraverso la Pec i cittadini potranno esercitare tutti i diritti di partecipazione ed informazione ai procedimenti amministrativi. Anche perché, ai sensi del successivo comma 30, “Le amministrazioni, nel rispetto della disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui al capo V della legge 7 agosto 1990, n.241, e successive modificazioni, in materia di procedimento amministrativo, hanno l'obbligo di rendere accessibili in ogni momento agli interessati, tramite strumenti di identificazione informatica di cui all'articolo 65, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n.82, e successive modificazioni, le informazioni relative ai provvedimenti e ai procedimenti amministrativi che li riguardano, ivi comprese quelle relative allo stato della procedura, ai relativi tempi e allo specifico ufficio competente in ogni singola fase”.

 

6 commenti:

  1. [...] – Modifiche all’art. 2 Sono previste dal comma 38, per cui tutto il comma 1 del’articolo oggi risulta così formulato “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilita’, inammissibilita’, improcedibilita’ o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione puo’ consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo“. I concetti di inammissibilità – irricevibilità – improcedibilità sono piuttosto nuovi in materia di procedimento amministrativo (dal punto di vista normativo), più consueti nell’ambito giurisprudenziale. Un approfondimento interessante su questi concetti lo si può trovare qui. [...]

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  2. scusi ma se il responsabile del procedimento opera ugualmente in conflitto di interessi, il provvedimento amministrativo finale resta valido?

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  3. sì, non è prevista una sanzione. A meno di non far valere in giudizio un vizio di eccesso di potere.

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  4. dato che non ne capisco molto di diritto pubblico ma dovrei fare un esame a breve, in sintesi ,cioè a parole semplici,come potrei rispodere alla domanda" Parlami della legge 241"??

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  5. E' la legge che ha fissato i principi generali che reggono l'azione amministrativa. In particolare, essa punta a rendere trasparente l'azione, evidenziando al cittadino o all'impresa quale sia l'ente competente, quale struttura interna procede, quale dipendente svolge l'attività istruttoria, quale organo decide, in che tempi.
    Essa contiene, anche, strumenti di semplificazione del procedimento, finalizzati a comprimere le fasi: ad esempio, la conferenza di servizi, oppure la segnalazione certificata di inizio attività (che sostituisce autorizzazioni e concessioni ad attivare attività imprenditoriali), o, ancora, il silenzio-assenso, cioè l'accettazione della domanda presentata per il decorso del termine.
    Ancora, la legge 241/1990 regola e garantisce il diritto di ogni cittadino di ottenere le informazioni e gli atti detenuti da un'amministrazione.
    E' una sintesi estrema, di una legge estremamente più complessa ed articolata.

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