domenica 7 aprile 2013

sblocco #pagamenti Alcuni conti che non tornano sulle scelte di spending review

Alcune considerazioni, in base alle prime informazioni riguardanti il decreto sui pagamenti si impongono.

La prima riguarda la misura sull'allentamento del patto di stabilità interno, che permette  i pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili (rilevati al 31 dicembre 2012) in conto capitale (cioè le spese, per intendersi, per lavori pubblici ed investimenti).

Il decreto escluderà dai conteggi per il patto di stabilità tali pagamenti nella misura di 5 miliardi di euro per gli enti locali, 1,4 miliardi per le regioni, mezzo miliardo per le amministrazioni centrali e 800 milioni per investimenti cofinanziati da fondi Ue. 

L'osservazione che discende da questo dato è che il sistema delle autonomie locali, come si è sempre denunciato, è quello maggiormente colpito dalle regole del patto di stabilità. Del resto, mediamente, le ultime manovre finanziarie hanno inciso per l'80% sugli enti locali, solo per il restante 20% nei riguardi delle amministrazioni centrali.

In secondo luogo, colpiscono anche i numeri concernenti il fondo da 26 miliardi istituito presso il ministero dell'Economia

Per gli enti locali, il fondo copre 4 miliardi (2 nel 2013 e 2 nel 2014); 8 per le regioni per debiti diversi da quelli sanitari (3 nel 2013 e 5 nel 2014); 14 sempre delle regioni per debiti sanitari (5 nel 2013 e 9 nel 2014).

Anche in questo caso è facile dedurre che gli enti più colpiti dal patto di stabilità, comuni e province, sono quelli più virtuosi, quelli che hanno accumulato un debito inferiore e, per altro, in toto causato dalla follia del computo del patto mediante saldi basati sul criterio misto di competenza (somme che si prevede di incassare e ci si obbliga a pagare) e di cassa (somme che effettivamente si incassano e si pagano). Insomma se si hanno riscossioni inferiori agli accertamenti o si pongono in essere pagamenti superiori agli impegni i saldi, parametrati di anno in anno a basi di computo diversi, finiscono per peggiorare ed impedire proprio i pagamenti in conto capitale.

Il maggior debito, in modo schiacciante, appare essere quello delle regioni; il doppio di quello locale, senza la sanità; la sola sanità è quasi il 4 volte quello locale, la somma dei due debiti regionali è circa 6 volte quello degli enti locali.

Quest'ultimo non è stato disaggregato tra comuni e province, ma è evidente che nel rapporto province/comuni che è di 100/8100 il debito finanziario delle province risulterà proporzionalmente molto basso.

Sembrano indicatori seri. Questi dovrebbero essere presi in considerazione per stabilire in quali settori ed enti operare una vera spending review, abbandonando definitivamente pulsioni demagogiche e populiste, indirizzati verso le province, capri espiatori di problemi organizzativi immensi, causati sia dal patto di stabilità, sia da una disciplina della finanza regionale senza alcun controllo.

Basti pensare che ancora, a 16 anni dalla legge 127/1997 nelle regioni ancora il principio di separazione tra politica e gestione è attuato pochissimo, la dirigenza, quasi tutta cooptata, non svolge funzioni gestionali vere, la politica dilaga e non vi sono norme rigorosissime, come invece negli enti locali, che impongano di assumere spese solo in presenza di risorse a copertura certe e regolate da procedure di controllo molto pervasive.

Il risanamento dei conti non può passare per ordini di grandezza irrisori (l'intera spesa mossa dalle province costituisce l'1,37% del totale della spesa pubblica), ma deve aggredire volumi grandi, nei quali è più facile manovrare. La spesa sanitaria e delle regioni è la prima a dover essere messa sotto esame, se si vuol fare sul serio.

Se, invece, si vuole agire col metodo di Patroni Griffi o Crocetta, sumulando abolizioni delle province, sostituendole, invece, con enti di dimensioni territoriali più vasti e meno competenze (modello Patroni Griffi) o con con 4 volte tanti consorzi, con maggiori competenze, ci si accomodi: da nessuna parte

1 commento: