sabato 22 febbraio 2014

#Trasparenza in 100 Faq: quando il diritto si fa creativo #Foia de noantri #Anac

L’Italia è quel Paese nel quale nella pubblica amministrazione si mette al bando il fax, ma nascono le Faq come nuova “fonte del diritto”.


L’Autorità Nazionale Anticorruzione, (Anac – ex Civit) si è di recente esibita nell’elaborazione di centinaia di risposte a domande frequenti sull’applicazione del d.lgs 33/2013, dando vita ad un risultato per alcuni versi interessante, per molti altri molto meno confortante.

Le Faq contengono spesso, infatti, indicazioni operative che vanno di molto oltre i limiti della stretta attuazione delle disposizioni normative, dilagando verso la vera e propria interpretazione del diritto, quando non, addirittura, verso la creazione di nuovi e diversi adempimenti rispetto a quelli fissati dalla stessa norma che si vorrebbe interpretare.

Si conferma la tendenza sempre più forte ed evidente di autorità preposte alla funzione di amministrazione di controllo (o di indirizzo), ad estendere in modo inaccettabile la propria sfera di competenza fino alla stessa possibilità di “dettare” le norme, o, comunque, intervenire così da creare regole nuove in forma ritenuta cogente.

Siamo, ormai, davvero quasi alle grida manzoniane. Reperire norme di legge complete e conchiuse in se stesse è impossibile: ormai, spessissimo le leggi sono intrise di deleghe legislative o di rinvii a regolamenti e decreti attuativi, sì da rendere il tutto un mosaico inestricabile. Il d.l. 101/2013, convertito in legge 125/2013 è stato “corredato” da una “circolare esplicativa” di decine di pagine, molto più estesa della norma, contenente, spesso, prescrizioni ed indicazioni completamente diverse.

Ai decreti, alle circolari, ai pareri che esprimono a rotta di collo i più variegati soggetti, dalla Corte dei conti, ai Ministeri, dall’Aran alle Authority, adesso si aggiungono, come se mancassero, le Faq, novella sorgente di nascita del diritto alla quale attingere.

L’ordinamento giuridico italiano, invece di cercare un Triboniano capace di sfoltirlo, semplificarlo, razionalizzarlo, moltiplica come cellule impazzite i propri geni, mostrando i segni di una evidente malattia, che nessuno interviene a curare, auto producendo, più che Pandette, pandemonio, caos, confusione.

Analizziamo alcune delle indicazioni fornite dall’Anac mediante le Faq, allo scopo di evidenziare problemi che le risposte contribuiscono a risolvere, ed altri inopinatamente aggravati e lasciati alla confusione. Sempre ricordando che le Faq non sono fonti del diritto, ma nulla più che un apporto dottrinale, utile finchè le conclusioni cui giungono siano conformi alla norma e alla logica.

1.7 Quando l’amministrazione non svolge le attività alle quali si riferiscono i dati e le informazioni richiesti dalla normativa vigente in quanto, ad esempio, non conferisce incarichi di collaborazione e consulenza o non adotta bandi di concorso o di gara, come deve comportarsi ai fini della pubblicazione sul sito istituzionale?

In questi casi, occorre che l’amministrazione, per ciascuna categoria di dati non pubblicati, espliciti le ragioni della mancata pubblicazione (ad esempio, “nel corso dell’anno 2013 non sono stati conferiti incarichi/non sono stati adottati bandi di concorso o di gara”) .

La Faq 1.7 è interpretabile come “adempimento” ulteriore a quelli stabiliti dal d.lgs 33/2013. A ben vedere, tuttavia, l’indicazione dell’Anac appare corretta.

L’esondazione dei dati da pubblicare non è tanto da addebitare a responsabilità (almeno per questa Faq) all’Anac, quanto al legislatore, che ha frainteso totalmente il significato e la funzione di un FOIA (Freedom Of Information Act). Il d.lgs 33/2013 ha considerato la trasparenza come obbligo di pubblicare in una vetrina quasi ogni aspetto dell’attività amministrativa, commettendo l’errore esiziale per la vita e l’efficienza delle amministrazioni di imporre una quantità semplicemente spaventosa e insostenibile di adempimenti burocratici, che nemmeno Kafka avrebbe saputo immaginare.

La trasparenza poteva essere gestita in modo semplicissimo con pochi articoli e nessuna Faq: modificando la portata del diritto di accesso, regolato dalla legge 241/1990 e rendendolo come diritto di informazione di “cittadinanza”, non più collegato ad un interesse diretto, concreto ed attuale agli atti.

Altra (e deleteria) essendo stata la scelta del legislatore, appare corretto pubblicare per le categorie di dati imposte dalla legge le motivazioni della mancata pubblicazione.

1.11 Le amministrazioni sono tenute a pubblicare documenti, informazioni e dati prodotti antecedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013?

Gli obblighi di pubblicazione di cui al d.lgs. n. 33/2013 si riferiscono a documenti, dati ed informazioni prodotti dall’amministrazione successivamente all’entrata in vigore del decreto e, quindi, a far data dal 20 aprile 2013.
In ogni caso, considerata la finalità del d.lgs. n. 33/2013 di dare diffusione alle informazioni in possesso delle amministrazioni, gli atti che hanno durata pluriennale (ad esempio, gli strumenti urbanistici, i dati relativi agli incarichi, le graduatorie concorsuali) devono essere pubblicati ancorché prodotti precedentemente all’entrata in vigore del decreto qualora continuino a produrre effetti anche successivamente a tale data.
Resta ferma la decorrenza degli obblighi di pubblicazione dei dati previsti da norme antecedenti al d.lgs. n. 33/2013 non abrogate.


Questa Faq viene sostanzialmente ribadita molte altre volte, anche se non più in termini generali, ma specifici per tipologia di pubblicazione.

L’Anac dice l’ovvio: non debbono essere pubblicati solo i dati e le informazioni attinenti procedimenti e decisioni in vigore successivamente alla vigenza del d.lgs 33/2013, ma anche quelli adottati o vigenti prima, se aventi efficacia pluriennale e comunque successiva alla piena operatività del medesimo d.lgs 33/2013.

Inoltre, l’Anac ricorda che il d.lgs 33/2013 non si sostituisce, ma si aggiunge, ad altre norme di legge che prevedano ulteriori obblighi di pubblicità (il che contribuisce al carico di burocrazia che la norma ha inaccettabilmente creato).

2.1 Che cos’è l’accesso civico?

Secondo quanto previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, l’accesso civico è il diritto di chiunque di richiedere la pubblicazione di documenti, informazioni o dati per i quali sussistono specifici obblighi di trasparenza, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione.
Pertanto, l’accesso civico si configura come rimedio alla mancata pubblicazione, obbligatoria per legge, di documenti, informazioni o dati sul sito istituzionale.


La Faq in questo caso è pregevole e segna la differenza che esiste tra accesso civico e diritto di accesso. Si tratta proprio di quella differenza che rende il d.lgs 33/2013 tutto, tranne che un FOIA.

2.6 L’accesso civico di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 e il diritto di accesso agli atti di cui alla l. n. 241/1990 hanno le medesime funzioni?

No, si tratta di due istituti diversi.
L’accesso civico di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 introduce una legittimazione generalizzata a richiedere la pubblicazione di documenti, informazioni o dati per i quali sussiste l’obbligo di pubblicazione da parte delle pubbliche amministrazioni ai sensi della normativa vigente. Secondo quanto previsto dall’art. 3 del d.lgs. n. 33/2013, tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli.
Il diritto di accesso agli atti di cui alla legge n. 241/1990, invece, è finalizzato alla protezione di un interesse giuridico particolare, può essere esercitato solo da soggetti portatori di tali interessi e ha per oggetto atti e documenti individuati.


 

Anche questa Faq è utile e corretta. Ci fa capire in modo inequivocabile la profonda distinzione esistente fra diritto di accesso, come regolato dalla legge 241/1990, e l’accesso civico. Quest’ultimo è un diritto spettante a qualsiasi cittadino di pretendere che sui portali delle amministrazioni siano riportati tutti i dati e le informazioni previste dalla normativa.

4.4 Gli Istituti Pubblici di Assistenza e Beneficienza (IPAB) sono tenuti ad osservare gli obblighi di trasparenza previsti dalla legge n. 190/2012 e dal d.lgs. n. 33/2013?

Gli Istituti Pubblici di Assistenza e Beneficienza (IPAB), qualora non abbiano provveduto né alla privatizzazione né alla trasformazione in Aziende pubbliche di servizi alla persona, sono da ritenersi enti pubblici regionali e, quindi, in considerazione di tale qualificazione, sono da ricomprendersi fra gli enti cui si applicano le disposizioni del d.lgs. n. 33/2013. Laddove trasformati in Aziende pubbliche restano comunque inclusi nel novero delle “aziende ed amministrazioni” di Regioni, Province e Comuni, che l’art. 11 del d.lgs. n. 33/2013 contempla nell’ambito soggettivo di applicazione. Laddove invece siano stati privatizzati, occorrerà valutare caso per caso se rientrino fra i soggetti privati tenuti alla applicazione della disciplina in materia di trasparenza.

Le Ipab, dunque, non possono sfuggire agli obblighi di pubblicazione imposti dal d.lgs 33/2013. Se, infatti, non siano state privatizzate o trasformate in Aziende pubbliche di servizi alla persona, restano a tutti gli effetti amministrazioni regionali, come tali totalmente ricadenti negli obblighi della norma.

Se trasformate, comunque debbono applicare il d.lgs 33/2013, ai sensi del suo articolo 11 o dell’articolo 22.

5.2 Gli obblighi di pubblicazione di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 si applicano solo ai titolari di cariche elettive?

No, per espressa previsione dell’art. 14, c. 1, del d.lgs. n. 33/2013, gli obblighi di pubblicazione di cui al medesimo articolo si applicano a tutti i titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo.
Inoltre, per gli enti pubblici vigilati, gli enti di diritto privato in controllo pubblico e le società a partecipazione pubblica detti obblighi si applicano ai “componenti degli organi di indirizzo” di cui all’art. 22, c. 3, del medesimo decreto.


Piuttosto folta è la batteria di Faq dedicate alla pubblicità delle informazioni concernenti gli organi di governo. Segno, per un verso, dell’attenzione quasi morbosa ai “costi della politica”, frutto più di demagogia che non di corretta pretesa alla trasparenza cui debbono essere obbligati i governanti. Per altro verso della scarsa chiarezza delle norme contenute nel criptico articolo 14 del d.lgs 33/2013.

In ogni caso, la Faq conferma che destinatari dell’articolo 14 non sono solo gli organi elettivi, bensì tutti coloro che dispongano di poteri di indirizzo e controllo dell’ente, anche se non eletti. Si pensi, nel caso degli enti locali, agli assessori.

5.4 I Comuni sono tenuti all’applicazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013?

Tutti i Comuni sono tenuti, indipendentemente dal numero di abitanti, alla pubblicazione dei dati e delle informazioni di cui alle lettere da a) ad e) del c. 1 dell’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013.
Diversamente, l’obbligo di pubblicazione di cui al medesimo art. 14, c. 1, lett. f), si applica unicamente ai Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.


L’Anac ribadisce la sua interpretazione “di compromesso” sul tema, escludendo dagli obblighi di pubblicazione delle informazioni di cui all’articolo 14, comma 1, lettera f), del d.lgs 33/2013, i comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti.

E’ un’interpretazione conforme alla modifica all’articolo 1, comma 1, numero 5, della legge 441/1982, ad opera dell’articolo 52 del d.lgs 33/2013. Per quanto resti da capire perché in comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti la “trasparenza” per la situazione economico-patrimoniale degli amministratore debba considerarsi di grado minore.

5.6 Gli enti locali sono tenuti a pubblicare i dati di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 anche per i Commissari straordinari?

Sì, gli enti locali devono pubblicare i dati relativi al Commissario straordinario ogni qualvolta il decreto di scioglimento gli attribuisca i poteri del Sindaco e/o della Giunta e del Consiglio in quanto, pur preposto all’ordinaria amministrazione, detto Commissario opera con le funzioni e i compiti dei titolari degli organi di indirizzo politico, sostituendosi ad essi nel governo dell’ente locale.
Diversamente, nel caso in cui il Commissario sia nominato per il compimento di singoli atti, l’amministrazione non è tenuta ad applicare l’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013.


Condivisibile è la Faq sopra riportata. I commissari straordinari succedono agli organi di governo in ogni loro competenza. Per quanto non elettivi, esercitano comunque funzioni di governo, dunque debbono rendere le dichiarazioni di cui all’articolo 14 del d.lgs 33/2013.

Appare corretta anche l’ultima affermazione. Quando si tratti di commissari ad acta, chiamati cioè a compiere specifici, per quanto magari complessi, atti al posto dell’amministrazione, non intervengono quali organi di governo, bensì come soggetti gestori.

5.7 Le Circoscrizioni di decentramento comunale di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 267/2000 sono tenute all’applicazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 e quali sono i relativi titolari di incarichi politici e di indirizzo politico?

Si, le Circoscrizioni di decentramento comunale sono tenute alla pubblicazione dei dati di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013, ivi comprese le dichiarazioni patrimoniali. Nell’ambito delle Circoscrizioni sono organi di indirizzo politico il Presidente e i consiglieri di circoscrizione in quanto organi elettivi.

Non può esservi il minimo dubbio che gli organismi di decentramento siano di natura politica, sicchè i loro presidenti ed i consiglieri di circoscrizione debbano rendere le dichiarazioni di cui all’articolo 14 del d.lgs 33/2013. Ma, non in quanto “organi elettivi”, come erroneamente afferma la Faq. Si è visto prima che l’elettività non basta a configurare la funzione di organo di governo.

Presidenti e consiglieri di circoscrizione sono organi di governo perché svolgono funzioni di indirizzo e controllo. Dovrebbero, dunque, rilasciare le dichiarazioni anche se non fossero organi elettivi.

 

5.8 Le forme associative di enti locali sono tenute all’applicazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013?

Tutte le forme associative di enti locali come previste dal Capo V del d.lgs. n. 267/2000, fra le quali, ad esempio, le Unioni di Comuni, sono tenute, indipendentemente dal numero di abitanti, alla pubblicazione dei dati e delle informazioni di cui alle lettere da a) ad e) del c. 1 dell’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013.
Le forme associative la cui popolazione complessiva superi i 15.000 abitanti sono tenute anche all’obbligo di pubblicazione di cui al medesimo art. 14, c. 1, lett. f).


5.9 Le Comunità montane sono tenute all’applicazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013?

Sì, in quanto si tratta di enti locali che hanno propri organi come previsto dall’art. 27, c. 2, del d.lgs. n. 267/2000.

 

Anche queste Faq sono totalmente condivisibili. Le forme associative non possono essere certo una scappatoia per non applicare le norme sulla trasparenza.

 

5.13 Le amministrazioni sono tenute a pubblicare i dati relativi ai titolari di incarichi politici e di indirizzo politico nominati o eletti antecedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 33/2013?

Poiché nel d.lgs. n. 33/2013 manca una specifica disposizione transitoria, l’obbligo di pubblicazione di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 deve intendersi riferito ai titolari di incarichi politici e di indirizzo politico in carica alla data di entrata in vigore del decreto stesso, ossia a partire dal 20 aprile 2013, anche se cessati successivamente. A nulla rileva in questo caso la causa di cessazione, se per scadenza del mandato, per dimissioni o per altre cause previste dalla vigente normativa.

Ultimamente è invalsa, nel dibattito politico e dottrinale, una strana concezione del principio di irretroattività della legge. In particolare, la questione, come ben si ricorda, riguarda proprio il pacchetto complessivo della normativa anticorruzione, che molte volte i media qualificano come “legge Severino”. Eclatante è il caso dell’applicazione della decadenza al leader di Forza Italia.

Il d.lgs 33/2013 introduce norme che impongono agli amministratori in quanto tali di pubblicare le informazioni concernenti il proprio stato patrimoniale.

Non si tratta di una legge che incide sullo status della persona, costituendolo o modificandolo, ma che, sulla base del possesso di uno status, obbliga a rendere certe informazioni a nulla rilevando che lo status di amministratore pubblico (nel senso ampio indicato dalla norma) si sia acquisito prima o dopo l’entrata in vigore della norma stessa.

 

5.15 Rientrano tra i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica da pubblicare ai sensi dell’art. 14, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 33/2013, i rimborsi effettuati da un ente locale per i permessi retribuiti dei propri amministratori ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. n. 267/2000?

I rimborsi effettuati dall’ente ai datori di lavoro dei propri amministratori che siano anche lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici per le assenze dal servizio di cui all’art. 79, cc. da 1 a 4, del d.lgs. n. 267/2000, non sono da ricomprendere tra i dati da pubblicare ai sensi dell’art. 14, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 33/2013, in quanto gli stessi sono già resi trasparenti attraverso la pubblicazione della dichiarazione dei redditi.

Questa Faq è un’interpretazione di dettaglio piuttosto utile, perché evita un’incombenza burocratica. Anche se occorre specificare che il contenuto della risposta appare del tutto ovvio.

5.18 Tra gli altri incarichi con oneri a carico della finanza pubblica, da pubblicare ai sensi dell’art. 14, c. 1, lett. e), del d.lgs. n. 33/2013, rientrano anche le attività svolte in qualità di libero professionista?

Gli incarichi svolti in qualità di libero professionista devono essere pubblicati laddove la relativa spesa gravi sulla finanza pubblica. Ad esempio, gli incarichi conferiti da parte di amministrazioni statali, Regioni, Province e Comuni, quali difesa in giudizio, consulenza tecnica etc., rientrano, qualora sia previsto un compenso, nella categoria degli incarichi gravanti sulla pubblica finanza per i quali sussiste, ai sensi dell’art. 14, c. 1, lett. e), del d.lgs. n. 33/2013, l’obbligo di pubblicazione.

L’esemplificazione contenuta nella Faq in esame appare quanto mai opportuna. Non si richiede di pubblicare tutti gli elementi della vita professionale dei componenti degli organi di governo, ma solo ciò che rileva ai fini della trasparenza del loro mandato, anche ai fini dell’integrità e della lotta alla corruzione.

Il fine della norma è comprendere se, per effetto dell’assunzione della carica pubblica, il pubblico amministratore si sia giovato di un maggiore numero di incarichi professionali attribuiti (e compensati) da pubbliche amministrazioni.

Si tratta, certo, di un dato informativo di per sé non implicante certo comportamenti scorretti. Tuttavia, è opportuno che si sappia come la carriera professionale possa modificarsi, in coincidenza con l’assunzione di cariche politiche.

5.25 Nel caso di mancato consenso del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado alla pubblicazione dei dati di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 è necessario pubblicare i loro nominativi?

Nel caso in cui il titolare dell’incarico politico o di indirizzo politico dichiari il mancato consenso alla pubblicazione delle attestazioni e delle dichiarazioni di cui all’art. 14, c. 1, lett. f), del d.lgs. n. 33/2013, del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado, sussiste, ai fini della pubblicazione, l’obbligo di indicare il legame di parentela con il titolare dell’incarico politico o di indirizzo politico, ma non quello di identificazione personale del coniuge e dei parenti.
Resta fermo l’obbligo in capo all’amministrazione di pubblicare l’atto dal quale risulta il mancato consenso. Detto atto deve essere prodotto dal titolare dell’incarico.


Altra Faq condivisibile, per quanto ovvia. L’articolo 14 del d.lgs 33/2013 non richiede la pubblicazione della “biografia” dell’amministratore, ma solo dei dati rilevanti.

Non vi è alcuna necessità di identificare le generalità dei parenti. Si tratta, semplicemente, di applicare il principio della “non eccedenza” dei dati, ricavabile dal d.lgs 196/2003, valevole in termini generali per tutta l’attività amministrativa.

Non ci poteva essere, poi, il minimo dubbio che onere di produrre le dichiarazioni connesse all’attuazione dell’articolo 14 del d.lgs 33/2013 fosse a carico del titolare della carica pubblica.

5.26 Quali sono i parenti entro il secondo grado ai fini dell’applicazione dell’art. 14, c. 1, lett. f), del d.lgs. n. 33/2013?

Sono considerato parenti entro il secondo grado i nonni, i genitori, i figli, i nipoti in linea retta (figli dei figli), i fratelli e le sorelle.

Giusto che l’Anac si presti a chiarire le linee di parentela. Ma, risulta davvero inconcepibile che le amministrazioni non siano in grado di ricavare da se stesse, e dal codice civile, queste nozioni che sono la base minima di qualsiasi approccio al diritto.

6.2 Tra i dati da pubblicare nella sezione “Amministrazione trasparente” con riferimento ai titolari di incarico dirigenziale, di collaborazione e consulenza di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 33/2013 sono da includersi anche i dati concernenti la situazione reddituale e patrimoniale come previsti dall’art. 14 del medesimo decreto?

No, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 33/2013 non sussiste un obbligo di pubblicazione dei dati patrimoniali e reddituali dei titolari di incarico dirigenziale, di collaborazione e consulenza.

L’articolo 14 è norma di stretta interpretazione, applicabile esclusivamente agli organi di governo delle amministrazioni e di indirizzo degli enti e delle società.

Non si capisce come possa immaginarsi di estenderne la portata a soggetti, quali dirigenti a contratti, collaboratori e consulenti, che non sono – non a caso – ricompresi tra coloro che risultano soggetti alla disciplina dell’articolo 14 del d.lgs 33/2013.

6.6 L’amministrazione è tenuta a pubblicare i dati di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 33/2013 relativamente ad un professionista a cui conferisce un incarico di difesa e rappresentanza dell’ente in giudizio ?

Nel caso in cui siano attribuiti ad un professionista uno o più incarichi per la difesa e la rappresentanza dell’ente in relazione a singole controversie, l’amministrazione affida incarichi di patrocinio legale che possono essere inquadrati come incarichi di consulenza e, pertanto, è tenuta, ai sensi dell’art. 15, cc. 1 e 2, del d.lgs. n. 33/2013, a pubblicare i relativi dati sul sito istituzionale nella sezione “Amministrazione trasparente”, sotto-sezione di primo livello “Consulenti e collaboratori”.
Qualora, invece, l’amministrazione affidi all’esterno la complessiva gestione del servizio di assistenza legale, ivi inclusa la difesa giudiziale, ha luogo una procedura di appalto di servizi. Pertanto, in virtù di quanto previsto dall’art. 37 del d.lgs. n. 33/2013, dall’art. 1, c. 32, della l. n. 190/2012, nonché dal d.lgs. n. 163/2006, l’amministrazione appaltante deve pubblicare sul sito istituzionale le informazioni stabilite dalle norme richiamate all’interno della sezione “Amministrazione trasparente”, sotto-sezione di primo livello “Bandi di gara e contratti”.


Questa è una delle non poche Faq quanto meno inopportune elaborate dall’Anac, la quale entra, a ben vedere, in un merito che non rientra per nulla nell’ambito delle proprie competenze: definire quali prestazioni siano considerabili servizi, piuttosto che collaborazioni o consulenze.

A tali domande sono chiamati, semmai, a rispondere ben altri soggetti: la Corte dei conti mediante le Sezioni regionali di controllo, forse l’Aran, probabilmente l’Autorità di vigilanza sui contratti e gli appalti pubblici, ma, soprattutto, la giurisprudenza e, auspicabilmente il legislatore.

Infatti, la pletora di organismi giurisdizionali, amministrativi, autorità, che si sono occupate della questione non è riuscita ancora a dare una risposta univoca.

L’Anac aderisce, acriticamente, alla tesi secondo la quale risulterebbe attratta nella sfera dei servizi solo la “complessiva gestione del servizio legale”, sostenuta da parte della giurisprudenza amministrativa. Ritenendo, dunque, che gli incarichi di patrocinio legale non costituiscano prestazione di servizi, ma siano “incarichi di consulenza” e, dunque, oggetto di pubblicazione ai sensi dell’articolo 15 del d.lgs 33/2013 e non dell’articolo 37 del d.lgs medesimo.

Si tratta di una conclusione errata e non meritevole di condivisione, per almeno due ragioni decisive.

In primo luogo, è certamente sbagliato configurare il patrocinio legale come “consulenza”. In cosa consista l’attività di consulenza lo ha chiarito a più riprese la Corte dei conti: è l’espressione di un parere in merito ad una certa questione di natura tecnica o giuridica, che un professionista rivolge all’amministrazione, la quale ne fa uso per meglio istruire e definire i presupposti della propria decisione.

La consulenza è, dunque, uno strumento del quale l’amministrazione si avvale per poi adottare la propria decisione. Essa, pertanto, è una prestazione “intermedia”, che non esaurisce la fattispecie, non esternalizza verso l’operatore economico il compimento dell’attività con assunzione di responsabilità (oltre che di utilizzo dei mezzi necessari) come avviene nel caso dell’appalto.

E’ evidente a chiunque, invece, che il patrocinio legale consista in una prestazione “finale”. L’avvocato ha la cura e responsabilità di condurre l’attività di tutela legale in giudizio in ogni sua fase. Nell’ambito di tale attività, spesso quale suo mero presupposto, l’avvocato può anche esprimere pareri, ma il patrocinio legale non è certo una consulenza, bensì un vero e proprio servizio.

In secondo luogo, le conclusioni cui perviene, con la Faq in commento, l’Anac trovano puntuale smentita nella nuova direttiva europea sugli appalti pubblici.

Essa, all’articolo 10 dispone che essa stessa “non si applica agli appalti pubblici di servizi concernenti” alcuni servizi legali e, in particolare, quelli indicati al comma 1, lettera d), punto i), secondo capoverso: “rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell'articolo 1 della direttiva 77/249/CEE del Consiglio:

– [omissis]

oppure

in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o un paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali”.

La nuova direttiva appalti, dunque, risolve ogni residuo (incomprensibile) dubbio circa la natura della prestazione degli avvocati: si tratta, senza ombra di incertezza, di appalti pubblici di servizi. La conferma è data dal venticinquesimo “considerando” della direttiva: “Taluni servizi legali sono forniti da prestatori di servizi designati da un organo giurisdizionale di uno Stato membro, comportano la rappresentanza dei clienti in procedimenti giudiziari da parte di avvocati, devono essere prestati da notai o sono connessi all'esercizio di pubblici poteri. Tali servizi legali sono di solito prestati da organismi o persone selezionate o designate secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti, come può succedere ad esempio per la designazione dei pubblici ministeri in taluni Stati membri. Tali servizi legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall'ambito di applicazione della presente direttiva”.

Dunque, la nuova direttiva interviene sulla questione con due modalità. In primo luogo, affermando, anzi, confermando che la rappresentanza dei clienti in giudizio (altro modo per definire il patrocinio) è espressamente da qualificare come prestazione di servizio. In secondo luogo, tuttavia, dando atto che il sistema di designazione dei prestatori dei servizi legali non è opportuno che segua le disposizioni della direttiva, sicchè il sistema di individuazione degli avvocati non deve trovare disciplina nella normativa sugli appalti.

Questa seconda conclusione non deve trarre in inganno. La circostanza che il patrocinio non sia regolamentato dalla direttiva appalti non implica che non si tratti di un servizio, sicchè la prestazione degradi da servizio a “consulenza”. Il patrocinio è e resta un servizio. Semplicemente, le procedure per il suo affidamento non dovranno obbedire alle regole generali fissate per gli appalti, essendo un “appalto escluso”.

Pertanto, anche il semplice esame connesso alla disciplina europea, evidentemente sfuggita ai componenti dell’Anac, conferma che sempre di prestazione di servizi si tratta. Di conseguenza, la pubblicità per gli incarichi agli avvocati non deve essere regolata dall’articolo 15, bensì dall’articolo 37 del d.lgs 33/2013.

 

6.11 Per i componenti del Collegio dei revisori dei conti devono essere pubblicati i dati relativi all’art. 15 del d.lgs. n. 33/2013?

Sì, in quanto il relativo incarico è riconducibile a quelli di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 33/2013.

Quanto afferma in questa Faq l’Anac è molto problematico. In sostanza, la laconica risposta sostiene che l’attività dei revisori dei conti, escluso che possa consistere in un incarico dirigenziale a contratto, possa essere una collaborazione o una consulenza.

Basta andare a riguardare quanto ha deciso la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, con deliberazione n. 6/CONTR/0 del 15 febbraio 2005, per rendersi conto che l’attività dei revisori dei conti non rientra in alcuna delle fattispecie di consulenza, studio o ricerca o, comunque, nell’alveo delle collaborazioni coordinate e continuative. Fattispecie, queste, tutte disciplinate dall’articolo 7, commi 6 e seguenti, del d.lgs 165/2001, i quali, per altro, escludono proprio gli incarichi dei revisori dal proprio campo di applicazione.

Un conto, allora, è affermare un’opportunità di pubblicare anche i dati relativi ai revisori dei conti, quale misura ulteriore di trasparenza. Altro è considerare detti incarichi alla stregua di ciò che non sono, collaborazioni o consulenze.

 

8.2 Sono soggetti agli obblighi di pubblicazione di cui all’art. 18 del d.lgs. n. 33/2013 gli incarichi a dipendenti finanziati con le risorse a carico dei fondi della contrattazione integrativa?

No, in quanto si tratta di incarichi che rientrano nel quadro del rapporto di lavoro.

Si tratta di una risposta opportuna. La parola “incarico” assume più significati e non deve ingannare. Lo è, certo, l’assegnazione di compiti a personale non dipendente dell’ente, chiamato a svolgere funzioni di supporto all’attività dell’amministrazione.

Incarico è, anche, un insieme di attività che si richiede siano svolte dal prestatore di lavoro, costituente il potere di conformazione e direttivo del datore di lavoro.

Se un dipendente riceve l’“incarico” di realizzare una certa attività o, anche, quella di assumere un certo ruolo o status (si pensi all’“incarico” di responsabile del procedimento), non per questo, cioè non per l’identità del vocabolo, si ricade nella disciplina dell’articolo 15 del d.lgs 33/2013.

 

11.2 Quali tipologie di accordi rientrano nel novero degli accordi stipulati dall’amministrazione di cui all’art. 23, c. 1, lett. d), del d.lgs. n. 33/2013?

Tra gli accordi di cui all’art. 23, c. 1 lett. d), del d.lgs. 33/2013, rientrano anche gli accordi sostitutivi e integrativi dei provvedimenti, i protocolli d’intesa e le convenzioni, a prescindere che contengano o meno la previsione dell’eventuale corresponsione di una somma di denaro.
Al contrario, non vi rientrano i contratti stipulati dall’amministrazione con soggetti privati o con altre pubbliche amministrazioni in quanto soggetti agli specifici obblighi di pubblicazione di cui all’art. 37 del d.lgs. n. 33/2013.


Altra Faq opportuna, anche se del tutto ovvia. Nell’articolo 23 ricadono tutte le forme di prestazione di consenso tra parti, diverse dai contratti di appalto regolati dal codice dei contratti e, per quel che concerne le pubblicazioni, dall’articolo 37 del d.lgs 33/2013, e dall’articolo 1, comma 32, della legge 190/2012.

 

11.4 Cosa si intende per “estremi relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento” da pubblicare negli elenchi dei provvedimenti di cui all’art. 23, c. 2, del d.lgs. n. 33/2013?

Per “estremi relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento” si intendono le indicazioni che rendono il documento identificabile quali, ad esempio, la data, il numero di protocollo, l’ufficio o il soggetto che lo ha formato.

Uno dei maggiori carichi di burocrazia e lavoro di mero editing e caricamento dati, discende dal mal concepito articolo 23 del d.lgs 33/2013. In sostanza, tale norma impone di pubblicare, per sintesi, dati da essa definiti di tutti i provvedimenti finali amministrativi.

Il legislatore sogna l’esistenza di uno strumento informatico che sia in grado, automaticamente, di produrre una scheda di sintesi dei provvedimenti amministrativi, riportante i dati richiesti.

Ovviamente, tale strumento immaginifico non esiste. E si pone il problema di riportare gli estremi non solo del provvedimento finale, ma anche quelli dei principali documenti contenuti nel fascicolo al quale attiene l’atto da pubblicare.

La Faq aiuta a comprendere che tali estremi non possono che essere la “marcatura” dei documenti, che avviene, ovviamente, attraverso la segnatura di protocollo.

La previsione dell’ufficio o del soggetto che ha formato l’atto, suggerita dall’Anac, non ha nulla a che vedere con gli “estremi” dei documenti, in quanto, invece, si tratta di informazioni attinenti al flusso procedimentale. Semmai, si ricade nell’esigenza del “tracciamento” delle attività, richiesta dalla legge 190/2012, dal piano triennale anticorruzione e dall’articolo 9, comma 2, del Dpr 62/2013.

 

13.4 Quali atti di erogazione di risorse, tra gli altri, non rientrano sicuramente nella categoria degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici per i quali vigono gli obblighi di pubblicazione di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013?

Non sono ricompresi nella categoria degli atti di concessione di vantaggi economici di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013:
- i compensi dovuti dalle amministrazioni, dagli enti e dalle società alle imprese e ai professionisti privati come corrispettivo per lo svolgimento di prestazioni professionali e per l’esecuzione di opere, lavori pubblici, servizi e forniture;
- l’attribuzione da parte di un’amministrazione ad altra amministrazione di quote di tributi;
- il trasferimento di risorse da un’amministrazione ad un’altra, anche in seguito alla devoluzione di funzioni e competenze;
- i rimborsi a favore di soggetti pubblici e privati di somme erroneamente o indebitamente versate al bilancio dell’amministrazione;
- gli indennizzi corrisposti dall’amministrazione a privati a titolo di risarcimento per pregiudizi subiti;
- le prestazioni sanitarie erogate dal servizio sanitario nazionale.


Questa in commento risulta essere una delle Faq di maggiore pregio, che aiuta molto ad identificare i provvedimenti da escludere dal campo di applicazione degli articoli 26 e 27 del d.lgs 33/2013.

Tra essi, dunque:

a)      tutto ciò che attiene ai rapporti sinallagmatici di appalto di lavori, servizi e forniture;

b)      il trasferimento di quote di tributi percepiti, che non configura alcun vantaggio economico, ma semplice adempimento all’attività che un ente può essere chiamato a svolgere di “riscossore”, alla quale deve corrispondere il versamento;

c)      le somme che vengono attribuite a titolo di refusione del sacrificio subito da privati. Ne discende, ad esempio, che non rientrano nella pubblicità in esame le somme pagate a terzi a titolo di indennità di espropriazione.

 

13.5 Quali sono le modalità di pubblicazione dei dati relativi agli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ausili finanziari e vantaggi economici di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013?

Le informazioni relative agli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ausili finanziari e vantaggi economici di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013 devono essere organizzate su base annuale in unico elenco per singola amministrazione.
Suddivise per anno, esse devono essere pubblicate in elenchi, consultabili sulla base di criteri funzionali, quali, tra gli altri, il titolo giuridico di attribuzione, l’ammontare dell’importo, l’ordine alfabetico dei beneficiari.


Con questa Faq, invece, l’Anac si “inventa” un adempimento ed una modalità operativa, dandole un’aura di obbligatorietà ed imprescindibilità.

Le Faq non possono avere natura di integrazione delle norme, ma solo valore di interpretazione collaborativa, qualcosa certamente in meno della circolare illustrativa.

Il suggerimento dato dalla Faq può essere utile ed interessante. Ma, sul piano giuridico, resta comunque solo un suggerimento.

13.8 Ai fini dell’assolvimento degli obblighi di pubblicazione di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013 è corretto pubblicare i provvedimenti di impegno e liquidazione degli importi relativi a benefici concessi?

No, in quanto l’obbligo di pubblicazione di cui agli artt. 26 e 27 del d.lgs. n. 33/2013 si riferisce ai provvedimenti e agli atti con cui vengono concessi sovvenzioni, contributi, sussidi e vantaggi economici e non agli atti contabili di impegno e di liquidazione.

La risposta dell’Anac è da considerare corretta e condivisibile, anche se merita alcune integrazioni e chiarimenti.

Quanto indica l’authority è conforme con la previsione dell’articolo 27 del d.lgs 33/2013, che prevede una precisa griglia delle informazioni da pubblicare:

a) il nome dell'impresa o dell'ente e i rispettivi dati fiscali o il nome di altro soggetto beneficiario;

b) l'importo del vantaggio economico corrisposto;

c) la norma o il titolo a base dell'attribuzione;

d) l'ufficio e il funzionario o dirigente responsabile del relativo procedimento amministrativo;

e) la modalità seguita per l'individuazione del beneficiario;

f) il link al progetto selezionato e al curriculum del soggetto incaricato.

La semplice lettura dell’elenco dei dati da pubblicare esclude di per sé, senza ombra di dubbio, che occorra pubblicare né “il provvedimento di impegno” (sul quale torniamo dopo), né soprattutto la liquidazione.

L’intento del legislatore è conoscere chi è il destinatario del sussidio o del vantaggio economico, come sia stato individuato, sulla base di quale titolo beneficiato. La liquidazione proprio non ha nulla a che vedere con il combinato disposto degli articoli 26 e 27.

Invece, il legislatore intende rendere trasparente, come detto, il titolo dell’assegnazione. Per questo, alla “griglia” vista sopra, occorre aggiungere un altro dato: l’atto di concessione, previsto dal comma 2 dell’articolo 26.

Ora, nell’ordinamento locale, l’atto di concessione (delibera di giunta o determinazione che sia) di regola dovrebbe coincidere con l’assunzione dell’impegno della spesa. Infatti, la concessione del contributo o sussidio coincide con la decisione di destinare una somma di denaro, o altra utilità avente valore economico. Dunque, si agisce sulle grandezze del bilancio, che se sono finanziarie possono essere manovrate esclusivamente mediante l’assunzione dell’impegno di spesa.

Laddove gli enti, contravvenendo, a ben vedere, alla ripartizione delle competenze tra organi di governo e dirigenza (ma è una violazione estesa, sostanzialmente, al 99,9% delle amministrazioni locali) individuino nella giunta la competenza all’assegnazione dei sussidi, allora, dal momento che l’impegno della spesa accede inscindibilmente all’adozione della decisione, l’atto di concessione del beneficio e l’impegno di spesa sono un unicum. Lo stesso, a maggior ragione, se invece la concessione sia disposta con atto gestionale dirigenziale.

Probabilmente, l’Anac incorre nell’errore di dare per buona una prassi, illegittima e scorretta, ma ancora presente: quella, cioè, della scissione tra provvedimento contenente la decisione di concedere il contributo e provvedimento successivo di assunzione della spesa. Il caso, insomma, della delibera che stabilisce di assegnare il contributo, e demanda poi al dirigente o responsabile di servizio l’assunzione dell’impegno di spesa.

La Faq, sotto questo punto di vista, ha il torto di riconoscere, quasi, una prassi che si rivela contraria al corretto assetto della regolazione delle competenze tra organi politici e tecnici e sconta, evidentemente, una conoscenza non approfondita delle regole di contabilità pubblica.

 

13.10 Nel caso in cui l’amministrazione modifichi o revochi un atto di concessione di vantaggi economici, cosa occorre fare ai fini della pubblicazione?

Qualora l’amministrazione provveda a modificare o revocare un atto di concessione di vantaggi economici, le informazioni già pubblicate sul sito istituzionale non devono essere sostituite ma soltanto integrate da apposita comunicazione in cui si dia atto delle avvenute modificazioni.

Altro caso di Faq magari opportuna, che però aggiunge, crea nuovi adempimenti, non previsti dalla legge.

E’ probabilmente corretto completare l’informazione, con eventi successivi al rilascio della concessione. Ma, l’Anac non può scrivere in termini quasi “ultimativi” e di obbligatorietà.

Avrebbe dovuto redigere la Faq consigliando di dare corso ad un adempimento, che si rivela ulteriore a quanto prescrive la legge.

 

17.3 Le amministrazioni sono tenute a pubblicare la delibera a contrarre ai sensi dell’art. 37, c. 2, del d.lgs. n. 33/2013?

Ogni qualvolta l’amministrazione per l’affidamento di lavori, servizi e forniture proceda in assenza di gara pubblica, è tenuta a pubblicare la delibera a contrarre in quanto atto sostitutivo del bando di gara.

Che la deliberazione a contrattare sia sostitutiva del bando di gara, è opinione solo dell’Anac e totalmente non condivisibile.

Il bando di gara assolve alla funzione di rendere pubblica il confronto concorrenziale. Laddove non vi sia gara, non c’è bando e nessun documento, atto o provvedimento lo sostituisce, semplicemente non c’è.

La determinazione a contrattare ha un altro scopo: quello di assicurare l’evidenza pubblica. Nel caso delle procedure non precedute da bando, di specificare le motivazioni che legittimano la pubblica amministrazione a non avvalersi della gara.

E’, comunque, prescrizione chiarissima quella dell’articolo 37, comma 2, del d.lgs 33/2013 di imporre la pubblicazione della determinazione a contrattare nel caso di affidamenti mediante procedura negoziata, non preceduti da bando di gara.

1 commento:

  1. ottimo lavoro,mi vorrei associare. Sono un dirigente dello Stato con un alto incarico di Direzione di Ufficio

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