La relazione allegata al disegno di legge Delrio, divenuto poi legge 56/2014 contiene questo peana elegiaco che magnifica le grandi capacità dei nostri sindaci: “A questo scopo tutto il disegno di legge è segnato dalla volontà di fare dei sindaci e dei presidenti delle unioni di comuni la classe politica di base del governo locale e quindi anche, in una misura non piccola, del nostro ordinamento democratico e costituzionale.
Una classe politica, quella costituita dai sindaci e dai presidenti delle unioni, sulla quale si fa poggiare non solo l’amministrazione comunale in senso proprio, ma anche l’intera organizzazione territoriale di area vasta, nel caso delle province, nonché l’istituzionalizzazione di un ente di governo metropolitano quale nuovo livello di governo destinato a dare finalmente al Paese uno strumento di governo delle aree metropolitane flessibile, dalle ampie e robuste competenze di coordinamento e di programmazione, in grado di essere motore di sviluppo per tutto il nostro sistema economico e produttivo, capace di inserire le aree più produttive della nostra realtà nella grande rete delle città nel mondo e, soprattutto, dell’Unione europea e dei suoi programmi di sviluppo.
Tutto questo fa dunque dei sindaci e della classe politica comunale molto di più del tessuto connettivo sul quale poggia la democrazia locale, fondamento e forza di ogni democrazia, come Tocqueville ci ha insegnato.
Nella prospettiva di questo disegno di legge, infatti, essa si configura come la parte della classe politica e dirigente del Paese che, proprio per la sua capacità di essere espressione della base delle nostre comunità ma anche di guardare all’interesse di queste in una prospettiva più ampia, può diventare il tessuto forte sul quale rifondare la fiducia dei cittadini nella politica e nel suo insostituibile ruolo di guida".
La realtà dei fatti, come chiunque puàò constatare, è molto, ma molto diversa. I sindaci delle piccole realtà si arrabattano, cercano di sopravvivere, schiacciati tra patto di stabilità, norme folli e incomprensibili, adempimenti invasivi e carenza di risorse. I sindaci delle grandi città sono famelici idrovore di denaro, produttori di deficit e debiti spaventosi (vedi Roma, Napoli, Torino, reggio calabria tutti luoghi dove i sindaci saranno chiamati anche a dirigere le città metropolitane...), ma del tutto intenzionati a difendere le loro posizioni.
Lamentano sempre di subire forti tagli dallo Stato, ed è vero. Ma non aggiungono che hanno aumentato l'imposizione fiscale in misura simmetrica, sì da aver incrementato la pressione fiscale all'inverosimile (il gettito dal 2002 al 2011 è aumentato del 50%, secondo i ati Istat sui consuntivi), così da non aver mai diminuito le entrate e, di conseguenza le spese.
Il caso Imu-Tasi è emblematico. Per carità: è responsabilità tutta di Letta aver accettato l'ingestibile diktat dell'allora alleato Berlusconi di eliminare l'Imu sulla prima casa, in assenza di coperture. Si trattava, comunque, di 4 miliardi sui circa 70 di entrate comunali, cioè circa il 5,7% dell'entrata. I sindaci hanno imposto al Governo di essere risarciti del mancato introito, cosa puntuialmente avvenuta, sia finanziando in parte in deficit il taglio (per altro operante solo per il 2013), sia sostituendo l'Imu con la Tasi, che avrà un carico ben superiore per i cittadini.
Ma, non contenti di questo, i sindaci si sono rifiutati di stabilire le aliquote della nuova imposta entro il mese di maggio, come previsto dalla normativa. La ragione? Circa 4100 comuni vanno ad elezioni, quasi contemporaneamente con le elezioni europee. Guai, dunque, ad aumentare le aliquote, come praticamente tutti hanno in animo di fare: poteva nuocere al consenso.
Non basta: oltre a questa mossa di stampo beceramente elettoralistico, i comuni alzano la voce e fanno finta che sia il Governo a chiedere loro un rinvio del termine per la fissazione delle aliquote e la riscossione della prima rata a dopo le elezioni (guarda caso). Ma è una finzione. Il Governo è intriso di figure di spicco dell'Anci e dunque del mondo dei comuni: dal premier, ex sindaco di Firenze, a Delrio, ex presidente dell'Anci, a Rughetti, ex direttore generale dell'Anci. In realtà, sindaci e Governo sono d'accordo. Per evitare che aumenti in massa delle aliquote nuocessero alla campagna elettorale governativa, tutti hanno tollerato le inadempienze dei sindaci, costruendo la situazione emergenza che giustifica, ora, il rinvio.
Ma, in piu', i sindaci, mentre non si trovano le coperture per la manovra finanziaria varata per erogare gli 80 euro famosi, pretendono che il Governo dia loro per cassa 2 miliardi sull'unghia, pari alla metà della Tasi che avrebbero riscosso, senza la proroga. 2 miliardi che, verosimilmente, in questo momento lo Stato non saprebbe 9dove reperire.
Giochi elettorali, dunque, di bassa lega, posti avanti alla tenuta dei conti e all'interesse collettivio, muovono i sindaci, così magnificati dalla relazione alla legge Delrio.
E questa classe di politici, i sindaci, che sta dando prova di egoismo e miopia amministrativa senza pari, è chiamata dalla legge 56/2014 a comporre i nuovi organi province e città metropolitane, mentre il disegno di legge di riforma della Costituzione vuole anche assegnare loro scranni al Senato.
In Italia c'è sicuramente la necessità di riformare le istituzioni e la pubblica amministrazione. La cosa che dovrebbe, tuttavia, finalmente risultare evidente è che non basta fare riforme tanto per farle: occorre che siano fatte bene, che possano funzionare e cambiare le cose in meglio. Le proposte di riforma sul tavolo e quella già approvata delle province, invece e purtroppo, spingono totalmente da tutt'altra parte.
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